Per portarsi sulle spalle pressoché l’intera produzione letteraria del proprio creatore (più di venti romanzi e svariati racconti) bisogna essere prestanti, imponenti, addestrati alla fatica… e non ci sono dubbi che Jack Reacher, l’ex militare nato dalla penna di Lee Child, sia tutto questo e molto di più.

Molto di lui – non solo dal punto di vista dell’aspetto fisico – rivela l’interrogatorio che subisce all’inizio del primo romanzo in cui appare, Zona pericolosa, uscito in lingua originale nel 1997 ed arrivato in Italia nel 2000 per Longanesi.

«Lo sa già di che cosa si tratta», disse alla fine. «Omicidio. Con alcune caratteristiche molto inquietanti. La vittima è stata trovata stamattina nei magazzini Kliner, sulla vecchia strada della contea in direzione nord, allo svincolo autostradale. Un testimone ha riferito di aver visto un uomo allontanarsi di là a piedi poco dopo le otto. Lo ha descritto come un bianco molto alto che indossava un soprabito, capelli biondi, niente cappello, nessun bagaglio.»

Di nuovo silenzio. Io sono bianco, molto alto, ho i capelli biondi. Indossavo un soprabito nero mentre ero seduto in quel locale. Non avevo il cappello e nemmeno bagaglio. Quella mattina avevo camminato per quasi quattro ore sulla strada della contea. Dalle otto alle undici e tre quarti circa. (…) «Niente dichiarazioni. Si limiti a rispondere alle mie domande. Lei si chiama Jack Reacher, senza secondo nome, nessuna dimora stabile, nessun documento di identità. Che cos’è, un mendicante, un vagabondo?» incalzò.

Sospirai. Era venerdì, già trascorso a metà stando all’orologio sulla parete, e a quanto pareva quel Finlay aveva intenzione di tirarla per le lunghe, costringendomi a passare il fine settimana in cella. Non sarei uscito prima di lunedì, probabilmente.

«Non sono un vagabondo, Finlay, sono uno cui piace la vita nomade. C’è una grossa differenza.».

(…) Lui mi fissò, poi decise di cambiare tattica. Scelse la pazienza. Paziente ma ostinato, stile «niente riuscirà a smuovermi». «Di dove sei? Qual è il tuo ultimo indirizzo conosciuto?»

«Che vuol dire esattamente ‘di dove sei’?»

Stringeva le labbra… lo avevo decisamente innervosito. Ma non perse la pazienza, si limitò a rivestirla di un sarcasmo gelido. «Okay», riprese. «Non capisci le mie domande, perciò cercherò di spiegarmi meglio. Ciò che voglio sapere è dove sei nato o dove sei vissuto per quel periodo importante della vita che si può considerare istintivamente come predominante in un contesto sociale o culturale.»

Continuai a fissarlo. (…) «Secondo la tua elegante definizione, devo concludere che non sono di nessun posto. O piuttosto di un posto che si chiama esercito. Sono nato in una base americana a Berlino Ovest. Mio padre era nei marines e ha conosciuto mia madre, una francese, in Olanda. Si sono sposati in Corea.»

Finlay annuì, prendendo nota.

«Sono il classico figlio dell’esercito, insomma. Fammi vedere un elenco delle basi americane di tutto il mondo… lì io sono cresciuto. Sono stato a scuola, comprese le superiori, in due dozzine di Paesi diversi, più quattro anni a West Point.»

«Vai avanti», disse Finlay.

«Sono rimasto nell’esercito. Polizia militare. Di nuovo ho vissuto e ho prestato servizio in tutte quelle basi. Poi, dopo trentasei anni, prima come figlio di un ufficiale e poi come ufficiale io stesso, di colpo si scopre che non c’è più bisogno di un grande esercito, perché i sovietici sono andati a gambe all’aria. E così, viva la pace. Il che per voi significa che le tasse le pagate lo stesso, ma per qualche altra cosa; per me invece significa che sono un poliziotto dell’esercito, un disoccupato a trentasei anni, definito un vagabondo da civili bastardi e presuntuosi che non resisterebbero cinque minuti nel mondo dove sono sopravvissuto io.»

Finlay rifletté un momento, ma non mi parve impressionato. «Continua», borbottò.

Mi strinsi nelle spalle. «E così per ora me la prendo comoda. Forse più avanti troverò qualcosa da fare e forse no. Forse mi sistemerò da qualche parte e forse no. Ma è ancora presto.».

Ecco, dalle sue stesse parole, chi è Jack Reacher… personaggio interessante, no? Lo diventa ancor di più se aggiungiamo che a soli 36 anni è un veterano pluridecorato, eroe di guerra in Medio Oriente. Essendo stato per tanto tempo nell’Esercito, ha un addestramento militare, è un abile cecchino, ha i riflessi pronti e sa come mettere fuori combattimento gli avversari con pochi colpi mirati. Ha, per sua stessa ammissione, uno stile di combattimento che deriva da anni di esperienza, nell’Esercito e per le strade dei molti posti in cui è stato: quand’era piccolo, dovendosi continuamente spostare per il lavoro del padre, era sempre considerato l’ultimo arrivato, perciò era vessato dagli altri bambini e doveva difendersi.

Nonostante questo suo talento nel combattere, non si può dire che sia un attaccabrighe: se ne sta per i fatti suoi, osservatore taciturno, ma all’occorrenza non esita a soccorrere chi è in difficoltà. È scaltro, acuto, lucido, sa fiutare il pericolo e, se serve, far perdere le sue tracce. A completamento del suo identikit va detto che non si tratta di un omone tutto muscoli e niente cervello: è estremamente intelligente, ama la matematica, la musica ed ha una formazione umanistica.

Mission

Ok, ma perché Jack Reacher è uno dei personaggi più longevi, iconici e seguiti della scena thriller degli ultimi anni? Non certo – o non solo – per la sua prestanza fisica. Certamente deve molto alla curiosità destata dal suo essere un senza patria e senza legami, un girovago che porta con sé solo quel che può stare nelle tasche, un gigante silenzioso che si muove in autobus o autostop, si lava in bagni pubblici e, piuttosto che lavarli, ricompra un cambio di vestiti ogni pochi giorni. Ma ciò che probabilmente lega di più i lettori a questo personaggio così singolare è la sua strenua difesa della verità, del bene e della giustizia. Mafiosi, signori della droga, mercenari, avvocati, colletti bianchi, cospiratori sono i suoi principali nemici, chiunque pensi di approfittare di un debole sappia che avrà in lui un ostacolo decisamente temibile e spietato.

Senza legami, ma sempre pronto a schierarsi con i più deboli; pacato e schivo, sa trasformarsi in un killer preciso che colpisce senza esitazioni né troppi ripensamenti. È questo mix di forza e cuore, efficienza e inafferrabilità che lo ha reso così caro a tanti lettori e scrittori. Non bisogna trascurare, comunque, il suo essere così televisivo: sebbene Jack sia un personaggio originariamente letterario, il suo creatore, Lee Child nasce come autore e programmatore per la televisione britannica e quest’impronta non può che rendere il suo Reacher così popolare e d’impatto.

I romanzi con Jack Reacher

Reacher compare per la prima volta nel romanzo del 97, Zona pericolosa (titolo originale Killing floor), in Italia pubblicato nel 2000 da Longanesi (che pubblicherà anche tutti i successivi). Da quel momento non ha mancato di far parlare di sé. Lo troviamo nei romanzi seguenti:

Compare nel romanzo Oro sporco (HarperCollins, 2019) in cui divide la scena con l’agente segreto Will Trent (Creato da Karin Slaughter).

Film con Jack Reacher

Dai romanzi di Lee Child con protagonista Jack Reacher sono stati tratti due film: Jack Reacher – La prova decisiva (2012, tratto dal romanzo del 2005) e Punto di non ritorno (2016, tratto dal romanzo del 2013); in entrambi Jack era interpretato da Tom Cruise.

È ufficiale anche l’arrivo di una serie Tv, che sbarcherà su Amazon Prime Video, nella quale i panni di Reacher saranno vestiti da Alan Ritchson (Smallville, La leggenda di Beowulf, Blue mountain state, Hunger games-La ragazza di fuoco). Proprio l’attore ha svelato qualche dettaglio in più sul progetto che pare molto ambizioso: sembrerebbe che si voglia adattare un libro di Child per ogni stagione, a cominciare dal primo, Zona pericolosa. Per ora possiamo solo sperare ed attendere sviluppi.

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Articolo protocollato da Rossella Lazzari

Lettrice compulsiva e pressoché onnivora, una laurea in un cassetto, il sogno di lavorare nell'editoria e magari, un giorno, di pubblicare. Amo la musica, le serate tra amici, mangiare e bere bene, cantare, le lingue straniere, i film impegnati e cervellotici, il confronto, la condivisione e tutto ciò che è comunicazione.

Rossella Lazzari ha scritto 166 articoli: