I tre demoni - John ConnollyGioite, fan di John Connolly: vi presentiamo oggi I tre demoni, titolo con cui esce finalmente dopo tre anni di attesa The Whisperers, nono capitolo della saga di Charlie “Bird” Parker. Era il 2010 quando segnalavamo la pubblicazione dell’edizione in lingua originale, e prospettavamo tempi lunghi, invocando la Rizzoli affinché si sbrigasse. Sul ritardo nella traduzione non ci sbagliavamo, purtroppo, ma notiamo anche che Connolly in Italia cambia casa, passando a timeCrime. Una novità che se da un lato sembra un segnale di poco mercato dell’autore irlandese qui da noi, dall’altro ci fa sperare che le pubblicazioni riprenderanno ora con più puntualità, e semmai sarà recuperato anche The reapers, incomprensibilmente saltato e vitale nella serie, vista la forte correlazione tra i romanzi di Connolly. Si tratta per ora di speculazioni che potrebbero essere confermate o meno, ma intanto godiamoci questo ritorno in libreria per uno degli autori che più sa coinvolgere il lettore, e per l’empatia nei confronti del suo Charlie Parker, e per quella inquietante presenza di eventi inspiegabili razionalmente nelle sue trame.

In I tre demoni ritroviamo Parker che, da poco riavuta la sua licenza di investigatore privato, viene contattato da Bennett Patchett affinché indaghi sul presunto suicidio del figlio, reduce dell’Iraq. A Parker basta poco per scoprire che Joel Tobias, ex comandante della squadra di Damien Patchett, va e viene dal Canada di continuo e per viaggi che certo non sono di lavoro.
Intanto, i suicidi nell’ex brigata Stryker si susseguono a ritmo impressionante. Stanno morendo tutti i membri che dal Museo di Baghdad hanno prelevato un misterioso scrigno da cui sembrano provenire inquietanti sussurri.
Una vicenda torbida, in cui si affacciano due personaggi sospetti. Herod, deturpato nell’aspetto da un male incurabile, non vuole altro che portare a termine il proprio folle percorso di morte e rigenerazione. Il Collezionista, invece, già apparso in Anime morte, e Gli amanti continua la sua caccia nell’ombra come sicario di Dio, per appropriarsi di macabri trofei.
A Parker sarà richiesto a stringere una terribile alleanza, per poi scoprire, ancora una volta, che non c’è soluzione senza ambiguità.

Dall’estratto reso disponibile dall’editore, e che trovate qui in PDF, vi riportiamo l’incipit.

Era arrivata l’estate, la stagione dei risvegli.
Questo Stato, questa terra del Nord, non era come i suoi parenti più a sud. Qui la primavera era un’illusione, una promessa fatta mai mantenuta, la finzione di una nuova vita delimitata dalla neve annerita e dal lento sciogliersi del ghiaccio. La natura aveva imparato ad attendere accanto alle spiagge e agli acquitrini, nelle grandi foreste settentrionali della contea e nelle paludi costiere di Scarborough. Che l’inverno dominasse pure febbraio e marzo, battendo lentamente in ritirata fino al quarantanovesimo parallelo, rifiutandosi di concedere un solo centimetro di terreno senza dare battaglia. Con l’avvicinarsi di aprile, salici e pioppi, noccioli e olmi erano fioriti fra i cinguettii degli uccelli. Aspettavano dall’autunno, i loro fiori nascosti ma pronti, e presto gli acquitrini si erano ricoperti del viola-bruno degli ontani. Gli scoiattoli e i castori erano usciti dalle tane, e i cieli si erano riempiti di beccacce, oche selvatiche e gracole sparse come semenze su campi azzurri. E adesso maggio aveva finalmente portato l’estate, e ogni cosa si era destata.
Ogni cosa.
La luce del sole si riversava sulla finestra, scaldandomi la schiena, mentre la mia tazza veniva riempita di caffè appena fatto. «Brutta storia» disse Kyle Quinn. Kyle, un uomo lindo e compatto in divisa bianca, era il proprietario del Palace Diner di Biddeford. Ne era anche lo chef, e si dava il caso che fosse il cuoco di tavola calda più pulito che avessi mai visto. Mi era capitato di mangiare in bettole in cui la vista del cuoco mi aveva fatto balenare l’idea di assumere un ciclo di antibiotici, ma Kyle si presentava così bene, e la sua cucina era così impeccabile, che c’erano ambulatori dove l’igiene era meno curata che al Palace e chirurghi con mani più sporche di quelle del suo titolare.
Il Palace era il più vecchio ‘vagone ristorante’ del Maine, costruito su ordinazione dalla Pollard Company di Lowell, Massachusetts; la vernice rossa e bianca era ancora fresca e perfetta, e la scritta dorata sul finestrino, che confermava che le signore erano le benvenute, scintillava come fosse stata marchiata con il fuoco. Era aperto dal 1927, e da allora aveva avuto cinque proprietari, l’ultimo dei quali era Kyle. Serviva soltanto la colazione, chiudeva prima di mezzogiorno, ed era uno di quei piccoli tesori che rendono la vita quotidiana un po’ più tollerabile.
«Sì» confermai. «Che più brutta non si può.»
Il Portland Press Herald era spiegato davanti a me sul bancone. Nella parte inferiore della prima pagina, sotto la piega, campeggiava il titolo:

Nessun indizio nell’omicidio
dell’agente della polizia di stato.

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