Il libro di ossa - John Connolly - recensione

Oggi, agli avventori del Thriller Cafè, proporremo l’ultima avventura di Charlie Parker. Non il sassofonista ovviamente, ma il detective creato dalla fantasia dello scrittore irlandese John Connolly, che dal celebre jazzista trae ispirazione. Fanucci ha infatti recentemente pubblicato, nella collana Time Crime, “Il libro di ossa”, scritto dall’autore irlandese nel 2019 e tradotto ora da Stefano Bortolussi, storico traduttore di Connolly (oltre che apprezzato scrittore). Il romanzo segue da vicino la penultima traduzione italiana dell’autore, “La donna nel bosco”, di cui è anche in un certo senso la continuazione, anche se come tutte le opere di Connolly, può essere letto tranquillamente come opera a sé stante.

Se qualcuno di voi avesse difficoltà a comprendere bene il significato del termine “saga”, potrebbe essere certamente aiutato dalla lettura di Connolly. Le sue opere infatti spaziano con disinvoltura nell’arco dei secoli, qualche volta addirittura dei millenni, narrando le epiche gesta di eroi senza tempo, con frequenti incursioni in dimensioni ultraterrene, universi paralleli e storie al confine tra mito e realtà. Ne “Il libro di ossa” ritroverete un po’ di Tolkien, qualche nota che vi farà pensare ai gialli storici di Umberto Eco, ma anche atmosfere alla Stephen King e alla sua capacità di legare atmosfere noir a scenari da paranormale. E se vi è venuto in mente Re Artù e il Santo Graal non siete fuori strada. Perché qui la mitica coppa è sostituita da un Atlante, che però è un Atlante spezzato, che proprio a causa della sua incompletezza costringerà Charlie Parker a lotte senza fine.

Tutto comincia, come nelle migliori tradizioni del thriller, da una scena del crimine. In Arizona, dove Parker si reca ad analizzare quello che a una prima sommaria analisi sembra essere l’ennesimo omicidio della glaciale serial killer soprannominata “Pallida Mors”, già introdotta ne “La donna nel bosco” e che in questo romanzo continua con la sua scia di sangue. Ma, in questo caso, non abbiamo a che fare con un serial killer localizzato, ma con una vera e propria viaggiatrice del crimine, perché le pagine dell’Atlante spezzato sono state disperse un po’ in tutta Europa e i crimini a esso collegati viaggeranno con lui, costringendo Charlie Parker a un vagabondaggio planetario (o interplanetario? Ma non voglio privarvi del piacere della lettura).

Se avete amato Connolly e Parker nelle opere precedenti, non potete perdervi quest’ultima che conferma l’indubbio talento dello scrittore irlandese. “Il libro di ossa” ha infatti tutti gli ingredienti fondamentali della poetica di Connolly. Un chiaro e manifesto amore per il passato. Non tanto per un passato che lui immagina come reliquia, ma per un passato capace ancora oggi di parlarci delle sue storie senza tempo. Un passato nel quale a ognuno di noi piacerebbe essere trasportato, per vivere in prima persona la vita dei cavalieri della tavola rotonda, degli amanuensi delle abbazie medievali, dei commercianti di Fiandra o dei druidi celtici del nord dell’Inghilterra. Fino quasi ad annullare la dimensione temporale, in un continuo sovrapporsi e contaminarsi di epoche diverse.

Connolly è affascinato dai segni. Segni che tramandano la loro esistenza nel corso dei secoli. Attraverso i dipinti, le opere monumentali, ma anche attraverso i libri. Che cosa più di un libro può attraversare epoche diverse? Tramandare i suoi insegnamenti fino ai giorni nostri, fino a distillare il proprio contenuto in una sorta di messaggio spirituale che non ha fine e quindi non ha nemmeno una precisa epoca di riferimento. In questo senso, Connolly ci racconta l’eterna lotta tra bene e male, tra demoni e angeli. Ma, forse per non sembrare troppo astratto o per aumentare la suspense, Connolly è anche capace di mescolare a queste atmosfere un po’ fantasy, il crime più nero dei giorni nostri. Poliziotti, periferie, sparatorie e degrado sono l’altro polo di tensione del romanzo, in un dialogo continuo tra passato e presente che oltre a essere molto originale è anche molto ben riuscito.

Unico piccolo appunto che possiamo muovere al nostro autore irlandese è forse l’eccessivo amore per il dettaglio della narrazione, che talvolta rischia di far disorientare il lettore. Ci sono in questo romanzo mille rivoli laterali, minuscole miniature che richiedono un’attenzione molto alta, dettagli incredibili, che come in una tela di Bosch (spesso citato da Connolly), generano una moltitudine di narrazioni dentro il filone principale che forse avrebbero potuto essere un po’ sfrondate.

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