La condanna del sangue – Maurizio de Giovanni
La primavera arrivò a Napoli il 14 aprile 1931, poco dopo le due del mattino.
Arrivò in ritardo e, come al solito, con un colpo di vento nuovo dal Sud, dopo un’acquazzone.
[…]
La primavera non pretese accoglienze, non richiese applausi. Invase le strade e le piazze. E si fermò paziente fuori dalle porte e dalle finestre serrate, ad aspettare.
La condanna del sangue è un romanzo del 2008 scritto da Maurizio de Giovanni. Edito per Fandango e ripubblicato da Einaudi nel 2012, è il seguito de Il senso del dolore e costituisce il secondo atto delle famose Stagioni dedicate al commissario Luigi Alfredo Ricciardi, della Regia Questura di Napoli. Ce ne occupiamo oggi al Thriller Café.
Napoli, aprile 1931. Il tanto atteso arrivo della primavera porta finalmente aria nuova e calore tra i vicoli e le piazzette dei Quartieri Spagnoli e nei grandi palazzi di via Toledo e del Centro.
Questo, mentre Carmela Calise, anziana cartomante e usuraia, giace cadavere in casa propria, massacrata a forza di pugni, e calci. Sulla scena, oltre al sangue, la Polizia rinviene un quaderno, uno “di quelli per la scuola, copertina nera e bordo dei fogli rosso. […] Sopra ogni foglio […] un numero, forse una data. Una lista di nomi, con un numero vicino simile a un orario”.
È l’unico indizio d’un caso che subito promette d’essere vero e proprio rompicapo. Perché ogni debito nasconde una storia, ogni storia un movente, ogni movente una possibile soluzione.
Chi è, dunque, il colpevole?
Forse Antonio Iodice, triste pizzaiolo strangolato dai debiti? Oppure Emma, nobile adulterina innamorata? O sarà invece Ruggero, vecchio professore tradito e abbandonato?
Per scoprire la Verità, Ricciardi, insieme col fido Maione, si ritrova a scavare in una trama complessa, inaspettata ed emozionale, dove Fame Amore e Miseria conformano l’agire umano, lo modellano seguendo le linee d’un destino che “non esiste”, perché “’o padreterno nun è mercante, ca pava ‘o sabbato”.
Diversamente dal precedente Il senso del dolore, nel quale la penna dell’autore conferisce scientemente particolare risalto alla figura del commissario e a quella del tenore Arnaldo Vezzi, degni antieroe e anti-antieroe d’una narrazione altrimenti zeppa di personaggi sì accattivanti ma soltanto sfocati, abbozzati, La condanna del sangue è invece un romanzo corale, dove ogni personalità è ben sviluppata e contribuisce al dispiegarsi d’un intreccio che prende dalla prima all’ultima pagina. E ciò nonostante, o forse proprio per lo stile “atipico”, col quale de Giovanni racconta la Sua storia: uno stile che non colpisce il lettore, ma lo avvolge, che alla crudezza tipica del noir “classico” contrappone un’atmosfera quasi trasognata eppure comunque concreta, comunque adatta a rappresentare un mondo ugualmente puro e corrotto, pacifico e violento, umano e disumano.
Concludendo, per de Giovanni il giallo sembra più un espediente, che un fine. Così Ricciardi. Ciò che veramente conta, invece, per l’autore, è l’Emozione: l’emozione ch’è Vita, esperimento dell’esserci, dell’esistere, e non testimonianza d’un qualcosa d’estrinseco meramente osservabile “da una finestra”.
Perché, dice Ricciardi a Maione, verso il finale: “l’uomo che guarda è quello che non vive, [è quello che] può solo veder scorrere la vita degli altri e vivere attraverso di loro.
[Perché] Chi guarda non ce la fa, a vivere”.
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