Uscito il 18 settembre, il nuovo romanzo di Jussi Adler-Olsen edito da Marsilio (traduzione di Maria Valeria D’Avino) s’intitola Il messaggio nella bottiglia. Si tratta del terzo volume con protagonista l’ispettore Carl Mørck, apparso per la prima volta ne La donna in gabbia, e quindi in Battuta di caccia; la serie, nota come Dipartimento Q conta al momento cinque titoli (i successivi sono Journal 64 e Marco Effekten).
La vicenda narrata ne “Il messaggio nella bottiglia” comincia, manco a dirlo, con l’arrivo sulla scrivania di Mørck di un disperato grido d’aiuto affidato a una bottiglia. Col sangue, due fratelli dicono di essere imprigionati in una rimessa di barche e supplicano di essere liberati. Come mai nessuno ne ha denunciato la scomparsa, e soprattutto: sono ancora vivi? Carl Mørck e il suo assistente siriano Assad dovranno usare tutte le risorse disponibili per svelare la spaventosa verità che le onde del mare hanno trascinato alla deriva troppo a lungo.
Ve ne riportiamo qui a seguire un estratto dal prologo:
La mattina del terzo giorno i loro vestiti erano ormai impregnati dall’odore del catrame e delle alghe. Sotto il tavolato della rimessa per le barche, la poltiglia di ghiaccio sciabordava piano contro i pali di sostegno, evocando il ricordo di giorni felici.
Sollevò il busto dal giaciglio di giornali vecchi e si chinò in avanti per vedere il viso del fratello minore, che perfino nel sonno sembrava sofferente e irrigidito dal freddo.
Tra poco si sarebbe svegliato, guardandosi intorno confuso. Avrebbe sentito le cinghie di cuoio stringergli i polsi e la vita e udito il suono crepitante della catena che lo teneva prigioniero. Avrebbe visto la neve vorticare nell’aria e la luce penetrare tra le assi incatramate delle pareti. E poi avrebbe cominciato a pregare.
Ormai non contava più le volte in cui aveva visto la disperazione negli occhi del fratello. Le volte in cui l’aveva sentito invocare la misericordia di Geova sotto il nastro isolante che gli chiudeva la bocca.
Ma sapevano entrambi che Geova non li avrebbe degnati di uno sguardo, perché avevano bevuto il sangue proibito. Sangue che il loro carceriere aveva versato goccia a goccia in un bicchiere d’acqua, per poi farli bere da quel bicchiere, prima di rivelare cosa contenesse. Avevano bevuto acqua e sangue e ora erano dannati per sempre. E la vergogna bruciava più della sete.
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