Di quanto il “viver d’arte” di Letizia Triches dovuto sia all’ambiente familiare (il padre Guglielmo è stato Direttore Generale del Ministero dei Beni Culturali) sia ai suoi studi e alla sua attività professionale (è stata insegnante nei licei artistici e anche critico ed organizzatrice di eventi e mostre di arte contemporanea) abbia influenzato la sua produzione letteraria ne ho già ampiamente parlato nella precedente recensione, sempre su Thriller Café, di Delitto a Villa Fedora per cui non mi soffermo ulteriormente. Mi preme però aggiungere un tassello: come si coniuga l’arte con il delitto? Per aiutarci a rispondere a questo quesito ci viene in soccorso un’intervista della stessa autrice che ci racconta un aneddoto curioso. Nel 1968 la giovane Letizia, al primo anno di università, rimase sconcertata e destabilizzata da una frase che lesse in un libro scritto da un professore da lei tanto stimato, il filosofo Theodor Adorno, e cioè: “ogni opera d’arte è un crimine mancato”. Non capì, allora, che cosa potesse accomunare un artista ad un assassino, un uomo che costruisce ad uno che distrugge. Si rese però conto, quando si approcciò alla scrittura, che la spiegazione poteva essere nell’interpretazione dell’arte come esorcismo al male e come forma di educazione al bello per allontanare dall’uomo gli impulsi malvagi che ognuno di noi ha.

Con Omicidio a regola d’arte, prequel di Delitto a Villa Fedora, l’autrice ci regala un tassello fondamentale per far luce sul dramma profondo di Chantal dovuto alla morte del marito Giovanni Aiello.

Siamo in una Napoli torbida e inquietante degli anni ‘80. La morte, a distanza di pochi giorni, di due artisti ha sconvolto il mondo accademico napoletano. Si tratta di Giovanni Aiello, artista di grande talento ma di scarsa fortuna che per la sua produzione prediligeva paesaggi e soggetti sacri in stile partenopeo, e del famoso Michele Mosti, artista sovrastimato e dalla pennellata inquietante le cui opere raffiguravano spesso soggetti senza volto, ucciso insieme alla sua giovane amante Sofia secondo un rituale raccapricciante, costruito come un’opera d’arte (il viso di entrambi è stato deturpato da un sacchetto di plastica a cui è stato dato fuoco quasi come una raffigurazione del Burri). Al funerale del primo è presente solo uno sparuto drappello di gente comune e la sua adorata moglie Chantal che noi già, appunto, abbiamo conosciuto nelle vesti del Commissario Chantal Chiusano. Al funerale del secondo, invece, è presente tutta la società bene insieme a tutti coloro che “contano” nel mondo dell’arte da galleristi, a restauratori, a mercanti e critici, oltre che, ovviamente, alla bellissima moglie romana, la psichiatra Sara Steno. È questo il modo in cui il destino delle due donne si incrocia. Toccherà proprio al Commissario Chantal Chiusano indagare, non senza una viscerale sofferenza, su queste ed altre precedenti e successive morti che all’apparenza non sembrano essere accomunate da nulla se non dall’arte e dalla frequentazione del mondo artistico ma sarà proprio così?

Facendo tesoro degli insegnamenti dell’amato Giovanni e cioè che l’arte è lo specchio che ci permette di guardare la realtà rifuggendo dalle abitudini mentali che non ci consentono di avere uno sguardo basato su molteplici punti di vista, la nostra Chantal passo dopo passo, con tenacia e resilienza, riuscirà a ricomporre il puzzle di un mondo torbido fatto di traffici illegali, sfruttamento di giovani artisti, consumo di stupefacenti, prostituzione e tanto altro… portando alla luce una squallida realtà. Infatti toccherà con mano che un artista, in quel contesto, o emigra o deve adattarsi ai gusti dei committenti ma anche che ci sono artisti abili a usare la tecnica in modo spregiudicato e non lo fanno su suggerimento dei critici ma per accontentare la smania di lucro dei galleristi di potere. La prima parte del libro è narrata, in prima persona, proprio dalle due donne che raccontano e si raccontano il proprio percorso sentimentale con il defunto marito ma una terza voce, presente fin dall’incipit, e ovviamente sentita solo dal lettore, lancia un grido di aiuto. Di chi si tratta? È un morto che parla, un’anima persa che definisce la morte come “essere avvolti da una nebbia disordinata in cui atomi di tempo fluiscono e vorticano” e che cerca disperatamente di capire quale sia la propria identità al fine di raggiungere la pace interiore. La seconda parte, quando inizia l’indagine vera e propria, è raccontata in terza persona e il soggetto narrante sembra essere proprio la stessa Napoli. Proprio quella Napoli con i suoi vicoli in cui “la gente vive, grida, scola la pasta, mangia, soffre e litiga” ma anche quella opposta delle ricche ville, dei palazzi nobiliari e dell’Accademia piena di fermento e di aperture creative ma anche di chiusure per il mercato. Numerosi sono i contrasti messi in evidenza all’interno di questo giallo: dall’amore inteso come armonia e rispetto a quello possessivo e disturbante, dalla vita dell’artista bohémien a quella di chi mette la propria arte alla mercé del miglior acquirente, dall’arte sacra a quella profana, dalle opere classiche a quelle contemporanee e astratte, dalla Napoli popolana e verace a quella arrivista e trasgressiva…

Omicidio a regola d’arte ha una trama intrigante e godibile con tutti i cinque sensi: a partire dagli odori che la commissaria percepisce (da quello dei pigmenti, dei tubetti di colore, dei solventi, delle colle, fino a quello dei profumi dei cibi, delle delizie della cucina); alle bellezze mozzafiato dei panorami partenopei che vanno da Bacoli a Posillipo; al fascino dei colori e di tutte le loro sfumature; al piacere di gustare una ricetta della tradizione napoletana o di sorseggiare “na tazzulella ‘e café”…

Il ritmo subisce durante il racconto un’accelerazione infatti si passa dal lento della prima parte, prevalentemente descrittiva e intimista, al veloce della successiva relativa all’indagine vera e propria per giungere, verso la fine, ad incalzare il lettore con un susseguirsi di eventi e colpi di scena che trascinano verso una imprevedibile matrioska di finali.

Uno degli aspetti più interessanti del libro sta nel processo continuo di scavo nel profondo dell’animo umano alla ricerca del lato in ombra e di quello in luce presente in tutti i personaggi come in ognuno di noi che Letizia Triches svolge con incredibile maestria evidenziando debolezze, invidie, passioni, emozioni positive o devastanti e che descrive utilizzando una variegata tavolozza di colori narrativi. Ritroviamo così il rosso della passione e del sangue, il giallo dell’invidia, il nero del torbido e della morte… senza tralasciare, naturalmente, il verde, napoletano ovviamente.

In conclusione posso dire che Omicidio a regola d’arte è un giallo dalla costruzione impeccabile come non ne leggevo da tempo, ma anche elegante e garbato, intrigante ed originale… un vero giallo di classe che si chiude con una promessa che ha il sapore di un arrivederci. Quindi mi viene da chiedere… a quando il prossimo?

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Articolo protocollato da Luisa Ferrero

Mi chiamo Luisa Ferrero, sono nata a Torino e vivo a Torino. Dopo una laurea in Materie Letterarie ho ricoperto il ruolo, per tre anni, di assistente ricercatore presso l’Università degli Studi di Torino e ho poi, successivamente, insegnato nella scuola per oltre trent’anni. Divoro libri di ogni genere anche se ho una predilezione per i gialli, i thriller e i noir. Le altre mie passioni sono: il cinema, il teatro, il mare, la mia gatta e la compagnia degli amici... Di recente mi sono approcciata anche alla scrittura partecipando a numerosi corsi di scrittura creativa. Il mio racconto giallo "Un, due, tre… stella!" è stato inserito nell’antologia crime "Dieci piccoli colpi di lama" - Morellini Editore (luglio 2022) e il mio romanzo d’esordio "Cicatrici", finalista alla quinta edizione del concorso "1 giallo x 1000", è stato pubblicato il 31 marzo 2023 da 0111 Edizioni. Ah, dimenticavo... dal 2016 sono non vedente ma questo, in realtà, non è un problema in quanto per dirla come Antoine de Saint-Exupéry "l’essenziale è invisibile agli occhi".

Luisa Ferrero ha scritto 122 articoli: