Nell’avvincente Quella dolce follia, sesto romanzo di Patricia Highsmith, pubblicato nel 1960, il protagonista vive due vite: durante la settimana lavorativa è David Kelsey, solerte impiegato in una azienda chimica di New York, persona per bene, ottimo coinquilino. Nei weekend è William Neumeister, proprietario di una villetta fuori città in cui trascorre in solitudine la maggior parte del tempo in attesa che si unisca a lui Annabelle, la donna che conosce dall’infanzia e di cui è innamorato alla follia. Il fatto che Annabelle sia sposata a un altro uomo, per David/William è solo un inconveniente momentaneo, un disguido di poco conto che, ne è assolutamente convinto, non avrà alcun tipo di ripercussione sull’unica strada destinata ad entrambi, ovvero quella di vivere insieme. L’ambiguo sdoppiamento messo in atto, che nelle primissime pagine appare come l’impulsivo e passeggero atteggiamento di un innamorato non corrisposto, in realtà è una lacerante, famelica ossessione che deve essere totalmente assecondata. A ogni costo.

Il duplice binario inizierà a scricchiolare rovinosamente e a fondersi in un’unica realtà, accerchiando e stritolando il protagonista come le spire di un serpente attraverso una soffocante e vertiginosa discesa negli inferi, in un crescendo di ansia che non porterà altro che alla rovinosa implosione della ragnatela di finzione e menzogne costruita dal protagonista.

Molto spesso, dietro a un libro, fa capolino una storia personale intensa, complicata, dolorosa, e per certi versi più affascinante. Basta leggere qualche scampolo biografico di Patricia Highsmith (1921 – 1995) per cogliere lo spessore della scrittrice texana e l’atipicità che ha rappresentato non solo per la letteratura ma anche per la società americana dell’epoca. 

Abbandonata dal padre a pochi giorni dalla nascita, Patricia Highsmith, pseudonimo di Mary Patricia Plangman, trascorre l’infanzia prima con il patrigno dopodiché, per un breve periodo, da sola con la nonna, vivendo quest’ultima convivenza come un abbandono da parte della madre (Quella dolce follia è dedicato proprio a lei).

Pervasa da un’ingombrante e latente attrazione per il proprio sesso, agli albori della carriera di scrittrice la Highsmith lavora in un negozio di giocattoli per pagarsi le sedute di psicanalisi. Come molti della sua generazione, la Highsmith vive l’omosessualità come un difetto psicologico da correggere, un’anomalia moralmente incomprensibile. Si narra che sia stato il fugace e casuale incontro con una bionda sofisticata a farle definitivamente decidere il proprio orientamento sessuale.  

Nel 1948, all’età di ventisette anni, scrive il suo romanzo d’esordio, Sconosciuti in treno, pubblicato poi nel 1950, che segnerà una svolta nel genere giallo/thriller. E non poteva essere altrimenti che un genio della caratura di Alfred Hitchcock ne traesse l’anno seguente un film di grande successo, da noi noto con il titolo L’altro uomo. Chissà, forse non è nemmeno un caso che a far scoccare la scintilla di questo sodalizio sia stato il fatto che la Highsmith e il celebre regista inglese condividessero un particolare interesse per le bionde algide.

Dai tratti selvaggi, i capelli corvini, una forte autostima e uno spiccato anticonformismo nei confronti del mainstream puritano del tempo, la Highsmith contribuirà a rendere socialmente accettabili le attenzioni rivolte a una donna. Se da un lato la scrittrice rivestirà un ruolo controverso nella società perbenista del tempo, dall’altra diventerà una delle figure centrali del thriller psicologico del Novecento. E questa sorta di ambivalenza si ritrova in gran parte dei suoi romanzi, vedi la fortunata serie di Tom Ripley; storie labirintiche, fuori dagli schemi, in cui le sfaccettature della personalità si sovrappongono in uno caleidoscopico gioco di specchi.

Rimanendo in tema di casualità più o meno presunte, ho trovato che gli affanni e le angosce che riempiono le pagine del libro di oggi abbiano molto in comune con quelle vissute dal personaggio interpretato da James Stewart nel film La donna che visse due volte, uno dei capolavori di Alfred Hitchcock.

Guarda caso…    

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Quella dolce follia
  • Highsmith, Patricia (Autore)

Articolo protocollato da Damiano Del Dotto

Mi chiamo Damiano, abito a Pistoia, sono sposato con Barbara e sono più vicino ai 50 anni che ai 40. Poche cose colloco nella memoria come il momento temporale e il libro che in qualche modo mi ha cambiato la vita e mi ha infuso la gioia della lettura: avevo 11 anni, frequentavo la prima media e il romanzo è IT di Stephen King. Da allora non posso fare a meno di questa passione viscerale che mi accompagna quotidianamente. Si sente spesso dire che siamo la somma delle nostre esperienze. Allo stesso modo credo che l'amore che provo per la vita sia la somma dei libri che leggo.

Damiano Del Dotto ha scritto 53 articoli: