casa-fiamminghiChez les Flamands è il quattordicesimo romanzo dedicato a Maigret. Fu scritto, nel gennaio del 1932, presso la villa Les Roches Grises di Antibes in Francia, e pubblicato nel marzo dello stesso anno da Fayard.

TRAMA

La storia è ambientata a Givet, paesino francese al confine con il Belgio. Germaine Piedboeuf, una giovane ragazza madre, è scomparsa misteriosamente in una fredda sera di gennaio. Nessuno l’ha più vista da quando è entrata nell’abitazione-bottega della famiglia Peeters, denominata la casa dei Fiamminghi. Molti in paese credono che sia stata uccisa e il suo cadavere fatto scomparire. Il figlio dei Peeters, Joseph, aveva avuto una relazione con Germaine.

Joseph aveva avuto un figlio da una ragazza del paese… Il bambino aveva tre anni… Ora, la ragazza era scomparsa all’improvviso e i Peeters erano accusati di averla uccisa o sequestrata...

La famiglia Peeters era contraria ad un matrimonio riparatore, perché Germaine apparteneva ad una povera famiglia di operai francesi, e Joseph era da tempo promesso sposo della benestante cugina Marguerite Van de Weert.
Una delle figlie, Anna Peeters chiede aiuto, tramite una cugina della signora Maigret, al commissario. Questi si reca ufficiosamente a Givet, e qui si trova subito ostacolato nelle indagini dall’ambiente ostile del paese; gli abitanti, infatti, vedono in lui un nemico, un “poliziotto di Parigi” venuto a difendere gli interessi dei fiamminghi, considerati anch’essi degli stranieri.
Per capire che cosa può essere accaduto e perché la gente del paese sia convinta che i colpevoli siano proprio i fiamminghi, Maigret ne frequenta la casa. Si trova così immerso in un ambiente familiare scandito da ritmi tranquilli e sereni. I Peeters sono commercianti benestanti, ma anche persone semplici, che sembrerebbero incapaci di qualsiasi delitto. Con la sua solita flemma, Maigret scoprirà i motivi della scomparsa della ragazza e il nome del colpevole, ma sarà ancora una volta la sua umanità a prevalere sulle ferree regole del codice e…

Perché leggere La casa dei fiamminghi

La casa dei fiamminghi non è uno dei migliori romanzi della saga del commissario parigino, ma è un esempio perfetto di quello che viene definito un romanzo alla Maigret. L’indagine del commissario è praticamente inesistente: la storia è costruita sulle atmosfere (stupende!) e sui dialoghi tra i personaggi. Il percorso tramite il quale Maigret arriva alla soluzione non esiste! Maigret, ad un certo punto, intuisce che cosa è accaduto e questo è tutto ciò che ci viene dato sapere. Non dobbiamo chiederci come e quando il commissario ha scoperto il nome dell’assassino, perché non troveremo risposta.
“Io non ho un metodo”, “io non penso a nulla” continua a ripetere il commissario nei romanzi a lui dedicati da Simenon. Maigret, alla fine del romanzo, non spiega il filo logico che lo ha condotto a scoprire l’assassino, perché in realtà un filo logico non esiste. Maigret si immerge nell’atmosfera (è come una spugna che si imbeve degli odori, delle frasi, delle immagini), parla con i sospettati, i vicini di casa, i frequentatori dei bar, entra in simbiosi con la psicologia di chi incontra, e alla fine “intuisce” che cosa è accaduto e perché.
Simenon, nel 1932, mentre scriveva romanzi come La casa dei fiamminghi era cosciente di essere uno scrittore di gialli innovativo rispetto al passato. Quando fece leggere i suoi primi sei Maigret a Fayard, questi gli disse che quelli non erano veri romanzi polizieschi: non erano scientifici, non rispettavano le regole del gioco e poi mancavano “personaggi francamente antipatici”. Eppure Simenon era certo che quella fosse la strada giusta:

“E tutto ciò era vero. I miei romanzi polizieschi sono tra i più mal fatti del mondo. Fayard li ha pubblicati ugualmente, mi chiedo ancora perché … Quei romanzi, vedete, avevano solo una piccola qualità. Erano una tappa. In una cornice nella quale permaneva una grande parte di convenzione, cercavo di far vivere degli uomini. Molto modestamente. Ve lo dico senza falsa modestia. Ri­manevo ancora nel campo delle scale. Facevo le scale, come un pianista. Così, di qua e di là, potevo cimentarmi con le atmo­sfere, i caratteri …”

(Georges Simenon, L’età del romanzo, Edizioni Lucarini 1990, pp. 30- 31)

Si deve pensare che erano i primi anni trenta e fu, in quel periodo, che in America e in Francia iniziarono ad essere pubblicati i primi romanzi polizieschi, i cui protagonisti si differenziavano dai detective del periodo classico (Holmes e Dupin). L’indagine poliziesca non era più un gioco intellettuale, dal meccanismo ingegnoso e perfetto. Il delitto, inoltre, si spostava dai castelli e dalle biblioteche alle strade e ai bar di periferia; e anche gli assassini non erano più geni del male, ma persone comuni che certe volte appartenevano addirittura alla classe operaia. In questi romanzi, il delitto appartiene al dramma di esistere e spesso sopravvivere nel quotidiano; e ciò che conta è l’uomo e la tragica vicenda che lo ha portato al delitto.
Nei suoi romanzi, inoltre, Simenon si addentra spesso dentro le case, osservando i drammi famigliari che vi si svolgono. Lo scrittore fu sicuramente influenzato dalle opere di Balzac, pregne di interrogativi “sulla natura dell’amore, sulla famiglia, sul matrimonio, sui crimini che si consumano «legalmente» negli universi privati delle famiglie!” (cfr.. Introduzione di Lanfranco Binni, in Honore De Balzac, Studio di donna. Il messaggio. La donna abbandonata, edizioni Garzanti).

In America, per avere un poliziesco simile a quelli di Simenon, bisognerà aspettare altri due anni e uno scrittore come James Mallahan Cain (tra i migliori scrittori di crime fiction secondo il Times). “Il postino suona sempre due volte”, pubblicato nel 1934, è ambientato nella desolata e poco affascinante provincia americana della depressione, in un distributore di benzina lungo una statale. Cain, con uno stile asciutto e un realismo derivato dai grandi Dreiser e Dos Passos, ci offre una potente rappresentazione del vivere quotidiano, nell’America degli anni trenta, e incentra la sua opera su un dramma familiare, su un amore passionale e un crimine disperato. È da notare come il personaggio principale di Mildred Pierce (scritto da Cain nel 1941, da cui fu tratto il meraviglioso film omonimo, diretto nel 1945 da Michael Curtiz, e interpretato da una memorabile Joan Crawford) sembri ispirato alla figura della Grushenka dei “Fratelli Karamazov” di Fëdor Dostoevskij. Abbiamo già notato diverse volte come Simenon sia stato influenzato dalla grande letteratura russa; è come se lo scrittore francese e quello americano, in qualche modo, abbiano seguito un percorso simile per arrivare a scrivere un poliziesco più realistico e psicologico.

Savinio, fratello del famoso pittore De Chirico, intuì già nel 1932 che Simenon stava scrivendo un nuovo tipo di polizieschi:

Maigret è un Commissario grasso e bonario, una specie di papà senza figli che fuma tabacco popolare, porta le scarpe con l’elastico, si sente a disagio negli ambienti di lusso … Racine ha imborghesito la tragedia. Ingres ha imborghesito la forma classica della pittura. Restava da imborghesire il romanzo poliziesco. “Grâce à Dieu”, anche questo è fatto.”

(Alberto Savinio, Romanzo poliziesco, in “L’Ambrosiano”, 23 agosto 1932)

Ciò che conta, quindi, sono l’atmosfera e i personaggi, la loro storia.
Due sono, però, gli attori principali di questo dramma:

  • Anna;
  • Il fiume Mosa.

 

Il fiume Mosa, un personaggio del romanzo ….

Il fiume Mosa, sempre presente nel romanzo, simboleggia la forza inarrestabile della violenza insita nell’uomo, che esonda e spezza le dighe e gli argini della ragione; è il simbolo dell’animale che reprimiamo dentro di noi, che si nasconde dietro la maschera indifferente del volto. Il fragore ossessivo delle onde del fiume attraversa tutti i capitoli e contrasta con la pacata tranquillità della casa dei fiamminghi. Il fiume scorre a pochi metri dalla casa: “si sentiva il fragore del fiume e si scorgeva nella notte la corrente agitata illuminata a tratti da qualche lampione a gas.”
Ma è proprio questo contrasto, tra il movimento violento e indomabile del fiume (EROS) e l’immobilità della famiglia fiamminga, anche fisica nel caso del vecchio Peeters (THANATOS), a rendere evidente la sua “sterilità”: Maria non ha fidanzato e lavora presso un istituto religioso; Anna odia gli uomini, per un torto subito in gioventù; Joseph ha avuto un figlio (di cui non è sicura la paternità) ma fuori dal matrimonio e pare non avere alcun rapporto con lui; il padre è seduto su una sedia e «non si rende più conto di niente».
Il fiume, però, non è solo vita, è anche morte: lo è perché pericoloso per i barcaioli che si avventurano tra le sue onde (bellissima la scena dei barconi che si staccano dalla riva); lo è perché il cadavere della ragazza scomparsa viene ritrovato nel fiume.

La corrente era violenta. L’acqua formava delle cascate rumorose accanto a ogni pilone del ponte e trascinava via interi alberi. Il vento che si riversava sulla vallata della Mosa, prendeva il fiume controcorrente, sollevando l’acqua ad altezze inattese e creando vere e proprie ondate.

La stupenda descrizione della prima impressione di Maigret, quando entra nella casa dei Peeters, sembra anticipare la tragica e inesorabile fine a cui è destinata la famiglia fiamminga:

Superata la soglia, si veniva avviluppati dal calore, da una atmosfera indefinibile, quieta, sciropposa, dominata dagli odori. Ma quali odori? C’era una punta di cannella, e una nota più profonda di caffè macinato. Si sentiva anche odore di petrolio, misto a quello aspro del ginepro.

In realtà, Maigret scoprirà una famiglia chiusa in se stessa: il calore della casa si limita all’interno delle mura casalinghe, non si espande all’esterno. Si tratta di una famiglia che sembra non avere futuro, se non nelle speranze riposte nel fratello Joseph. A Maigret sembra che la casa dei Peeters sia una specie di “scenario teatrale” e Anna lo “faceva pensare a un personaggio da tragedia antica, smarrito nella vita quotidiana e meschina di una piccola città di frontiera.”
Il fiume Mosa sembra alludere anche alla violenza che scorre sotterranea tra i vicoli del paese, all’odio che divide fiamminghi e francesi. Simenon descrive, infatti, l’astio di carattere etnico esistente tra la minoranza fiamminga e quella francese. Lo scrittore come sempre scava più a fondo e, in pochi passi, spiega l’origine economica di questi attriti: i barcaioli francesi mal sopportano la presenza di quelli fiamminghi, perché questi ultimi “coi loro battelli dal potente motore, curati come batterie da cucina, facevano concorrenza ai francesi, noleggiando a prezzi irrisori.” I Piedboeuf, appartenenti alla popolazione francese, sono solo degli operai. La famiglia Peeters è benestante e, durante il romanzo, la gente del posto denigra spesso il modo in cui essa continua ad arricchirsi sulle spalle dei francesi.
Si tratta di un odio profondo che prima o poi dovrà sfociare in violenza. È qualcosa che è scritto nel destino di quel paese vicino al fiume. Si tratta di una specie di punto di arrivo predestinato, dalla stessa drammatica dinamica interna ed esterna: il fiume è vita ma è anche morte.
Simenon, per usare una abusata metafora del mondo musicale, parte da un movimento lento e pacato, per proseguire in un crescendo inesorabile, che si trasmette dalla natura ai personaggi, sino al tragico e nero finale.
Il fiume, in ogni modo, muove il racconto e ne è la linfa vitale, come lo è il personaggio di Anna.

Il personaggio di Anna…

Anna è un personaggio umiliato e triste, dominato da una profonda sensazione di malessere esistenziale, ma soprattutto dalle oscure forze del suo inconscio.
Come accade in molti romanzi della saga Maigret, il commissario incontra subito all’inizio un personaggio femminile. In questo caso si tratta di Anna Peeters. È lei che chiede il suo aiuto per scoprire il colpevole e scagionare la sua famiglia.
È sempre lei il personaggio chiave che, con disperata lucidità, rinuncia all’amore e quindi alla maternità, “sterilizzando” se stessa sino all’aridità emozionale. Sterilità solo apparente, perché dentro la ragazza si muovono passioni violente quanto le onde del fiume, che scorre a fianco della sua casa.

Era incredibile! Maigret era incapace di definire la sua impressione. Mai alcuna donna – ne era certo – aveva tanto risvegliato la sua curiosità come Anna Peeters, che rimaneva calma, senza sorridere, senza cercare di apparire graziosa … I suoi vestiti, di una sobrietà estrema, erano quelli di una donna piccolo-borghese. Il suo contegno era calmo, quasi distinto.

Unica eccezione a questa indifferenza è l’amore per la sua famiglia e soprattutto per il fratello. Anna, sua sorella, e la fidanzata Marguerite Van de Weert hanno una vera e propria venerazione per Joseph. Maigret, a dispetto delle aspettative della famiglia, lo vede per quello che è, un tipo “debole di carattere”. A questa figura maschile mediocre si contrappone la decisa personalità di Anna, che Maigret intuisce essere la vera e propria capo famiglia della casa. È lei che dice a Joseph che cosa fare e come comportarsi. È lei la figura forte della famiglia Peeters, ed è lei che dovrebbe studiare da avvocato, non l’inetto fratello. Ma Anna è una donna e per questo deve accettare di stare al suo posto, e non può fare altro che aiutare il fratello a raggiungere quegli obbiettivi che spetterebbero a lei, molto più intelligente e determinata. E tutto questo Anna potrebbe sopportarlo, perché la sua esistenza è consacrata alla famiglia. Ma il torto subito in gioventù da Gerard (un unico e occasionale amplesso durante una gita alle grotte di Rochefort) l’ha ferita in profondità. Quell’atto di amore, quell’unico momento di abbandono avrebbe potuto trasformarla, facendola diventare una moglie fedele e una madre amorevole. Ma Gerard è l’uomo sbagliato al momento sbagliato, e subito dopo averla posseduta l’ha rifiuta. Gerard devia la storia di Anna, crea una frattura tra ciò che avrebbe potuto essere e ciò che invece sarà. Il fatto di non essere degna nemmeno di un tipo grigio come Gerard, per l’orgogliosa Anna è un’umiliazione che le rode profondamente l’anima. Da quel momento, Anna muta la sua visione del mondo, e le rimane solo una vita senza avventura, senza passione, chiusa in un negozio di un paesino di provincia. E dietro la facciata controllata e fredda, e al suo disprezzo nei confronti degli uomini, in realtà si nasconde un animo ferito e annoiato. Da qui il suo rancore che si palesa varie volte nel romanzo, quando parla dell’invidia della gente del posto.
Alla fine del romanzo, Maigret non rivelerà alla polizia locale il nome del colpevole. Alcuni anni dopo, però, Maigret incontrerà nuovamente Anna a Parigi: la ragazza non è più giovane, ora è una zitella infelice, dedita esclusivamente al suo mediocre lavoro di segretaria;sua sorella Maria è morta otto giorni prima di prendere il velo monacale;suo fratello Joseph è alcolizzato e la sua carriera è stata un fallimento. Il triste destino di Anna e della sua famiglia era già scritto nel suo atteggiamento, nel suo odio verso i francesi, nel suo sguardo freddo e altero.
Del destino avevamo già parlato nell’articolo, L’osteria dei due soldi. Si tratta anche qui di riscontrare come l’età del positivismo e le sue idee facciano ormai parte del passato, e come nei primi decenni del novecento l’Europa, colpita da una guerra e da una profonda crisi, abbia perso la fiducia nel futuro e nelle capacità dell’uomo. Simenon, nei suoi romanzi migliori, riflette questo sentimento di frustrazione nei confronti dell’esistenza.

… c’è un destino al quale è impossibile essere infedeli, c’è, come nel caso di ogni passione, una forza interiore contro la quale non possiamo nulla.
E precisamente quella passione, che vorrei assolutamente definire ma di cui, vedete, sono incapace di parlare con perti­nenza, che vi posso far sentire solo con l’aiuto dei ricordi, è la passione dell’uomo, del Destino, della sua Grandezza e della sua Piccolezza, è la disproporzione crudele, immeritata, sem­bra, tra i suoi magnifici slanci e le sue possibilità
.

(Georges Simenon, L’età del romanzo, Edizioni Lucarini 1990, p. 31)

Il “realismo atmosferico” di Simenon, una novità nei romanzi polizieschidegli anni trenta ….
Lo scrittore ambienta magistralmente il romanzo in una città di frontiera, vicino al fiume. Ci mostra la gente che vive e lavora presso i fiumi, i bar pieni di barcaioli.

Sbucando da un vicolo, ecco all’improvviso il fiume. Era ampio. Non si distinguevano bene le due rive. La corrente, scura in alcuni punti, si allargava sui campi. Da un’altra parte, un capannone emergeva dall’acqua.Almeno cento barconi, rimorchiatori e draghe erano là, addossati gli uni agli altri, a formare un vasto blocco.

Abbiamo visto prima, come le immagini e il suono del fragore del Mosa attraversino tutto il romanzo, e come le sue onde impetuose altro non siano che l’espressione visiva della passione violenta che Anna reprime dentro di sé. Qualcosa del genere l’avevamo già trovata nella descrizione del palazzo del bellissimo L’ombra cinese. Questo modo di legare i moti più nascosti dell’animo umano e le raffigurazioni del paesaggio o dell’ambiente circostante è un unicum per la letteratura poliziesca dell’epoca, ma non per la storia della letteratura. Auerbach lo definisce “realismo atmosferico” e ancora una volta ricompare, tra gli scrittori fondamentali nella formazione di Simenon, il nome di Balzac. Questa corrispondenza interiore e profonda esistente tra l’ambiente e l’animo dell’uomo, iniziata nella letteratura romantica, arriva a compimento e piena espressione nell’opera di Balzac.

“Non soltanto, come Stendhal, egli ha collocato gli uomini, di cui con serietà narra la sorte, nella loro cornice storica e sociale esattamente circoscritta, ma ha inoltre inteso questo legame come necessità; ogni spazio si tramuta per lui in un’atmosfera morale e sensibile di cui s’imbevono il paesaggio, la casa, i mobili, le suppellettili, gli abiti, i corpi, il carattere, il comportamento, il sentire, l’agire e la sorte degli uomini, … Tale realismo atmosferico di Balzac è un prodotto della sua epoca; è esso stesso parte e prodotto d’un’atmosfera …”

(Auerbach Erich, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, vol. II, edizioni Einaudi, 2000)

Ma è Simenon il primo scrittore a farne uso consapevole e metodico nel romanzo poliziesco, ed è questa una novità dei romanzi di Maigret che non è mai stata sottolineata.

Curiosità – Simenon e Ferenc Pinter

Le copertine dei Maigret, pubblicate da Arnoldo Mondadori tra il 1961 e il 1991, furono disegnate tutte da Ferenc Pinter.
Pinter crea le prime copertine nel 1961: i due volumi de “L’ispettore Maigret” nella vecchia collana degli “Omnibus”. Fin da allora il suo stile è innovativo per l’epoca, caratterizzato da un tratto “sintetico”, che enuncia più che descrivere. Per questi due primi volumi, Pintér non può ancora ispirarsi al Maigret di Gino Cervi (gli sceneggiati verranno trasmessi solo tre anni dopo), e prende quindi come modello quello di Jean Gabin. Il tratto essenziale e veloce di Pinter però suggerisce soltanto la somiglianza con l’attore francese.
Dopo il successo degli sceneggiati RAI (in onda tra il 1964 e il 1972), nel 1966 la Mondadori decise di pubblicare tutti i romanzi di Maigret scritti sino ad allora, nella collana “Tutte le opere di Georges Simenon – Le inchieste del commissario Maigret”. Fu in questa occasione che Pinter scelse come modello per il suo Maigret l’attore Gino Cervi.
Negli anni che seguirono, Pinter sperimentò tecniche diverse e modificò anche lo stile delle sue copertine, ma rimase comunque fedele a determinati tratti, tipici della sua arte:

  • stilizzazione delle figure e degli ambienti;
  • le sagome dei personaggi si stagliano su sfondi bianchi o scuri, ma comunque sempre molto scarni, attraverso l’uso di colori accesi costruiti per campiture (che ricordano la pittura dei fauves);
  • angolazioni molto ardite delle scene (dall’alto in basso; da un angolo estremo della scena), ispirandosi probabilmente all’arte espressionista.

Tutto ciò ha reso inconfondibile l’arte di Pinter, tanto che ancora oggi, basta vedere una copertina di una vecchia pubblicazione della Mondadori per riconoscere immediatamente il suo stile.
Per chi volesse approfondire l’argomento, è possibile leggere la Prefazione di Santo Alligo al volume “Tutti i Maigret di Pintér”, tratto dal volume “Tutti i Maigret di Pintér”, di Alligo Santo, pubblicato da Little Nemo nel 2008. Per avere un’idea dello stile di Pinter, è possibile ammirare la raccolta integrale delle copertine di Maigret in Oscar Mondadori collegandosi a questa pagina: http://www.ferencpinter.it/page29/page15/page2/page2.html.

Tutti i brani deLa casa dei fiamminghisono tratti dall’edizione Adelphi, collana gli “Adelphi – Le inchieste di Maigret” (n° 104) – traduzione Germana Cantoni de Rossi.

Edizioni italiane
1933 – La casa dei fiamminghi, edizioni Mondadori, collana “I libri neri. I romanzi polizieschi di Georges Simenon” (n° 9) – traduzione di Marise Ferro.
1935 – La casa dei fiamminghi, collana “Gialli Economici Mondadori” (7 febbraio 1935, n° 7) – traduzione di Marise Ferro.
1947 – La casa dei fiamminghi, collana “Omnibus Gialli Mondadori” (ristampato nella stessa collana nel 1952 e nel 1961) – traduzione di Marise Ferro.
1966 – Maigret nella casa dei fiamminghi, collana “Le inchieste del Commissario Maigret” (n° 05, maggio) – traduzione di Elena Cantini.
1967 – Maigret nella casa dei fiamminghi, nel II° volume “Le inchieste del Commissario Maigret”, della collana “Tutte le opere di Georges Simenon” (1966-1971) – traduzione di Elena Cantini.
1977 – Maigret nella casa dei Fiamminghi, collana “Gli Oscar” (1969-1982) (n° 782 – 8 luglio) – traduzione di Elena Cantini.
1989 –  Maigret e la casa dei Fiamminghi – collana “Oscar gialli” (n° 2121 -aprile) traduzione di Donatella Zazzi.
1992 – Maigret e la casa dei Fiamminghi, collana “Oscar gialli” (n° 2 settembre- Fonit Cetra – Libro+Video – I romanzi erano abbinati ad una videocassetta della serie televisiva Le inchieste del commissario Maigret).
1996 – La casa dei fiamminghi, edizioni Adelphi, collana gli “Adelphi – Le inchieste di Maigret” (n° 104) – traduzione Germana Cantoni de Rossi.

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La casa dei fiamminghi
  • Simenon, Georges (Autore)

Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: