Autrice de La rabbia dell’orsa (Carbonio 2021, traduzione di Andrea Romanzi – collana ‘Cielo stellato’), oggi Ingebjørg Berg Holm risponde ad alcune domande di Marina Belli. Buona lettura.

[MB]: Com’è nata l’idea de La rabbia dell’orsa (Rasende binne)?

[IBH]: Ho avuto l’idea quando ho letto un articolo su una spedizione meteorologica tedesca di stanza alle isole Svalbard durante la Seconda Guerra Mondiale. Le previsioni del tempo erano allora strategicamente molto importanti, perciò entrambe le parti avevano dispiegato degli scienziati sul posto per monitorare la situazione meteorologica durante il conflitto.

È stato, questo, l’ultimo drappello tedesco ad arrendersi ufficialmente dopo la guerra, in quanto i soldati dovettero aspettare diversi mesi prima che gli Alleati mandassero qualcuno fino all’arcipelago nel mar Glaciale Artico.

È una vicenda mi ha intrigato molto – un gruppo di persone intrappolato in un posto inospitale nell’estremo Nord dell’Europa, bloccate in un rifugio a causa della guerra e delle tormente di neve, in una situazione incredibilmente tesa – l’ho trovata uno scenario perfetto per un thriller!

D’un tratto, però, l’intera storia mi è cresciuta dentro diventando qualcos’altro. Dell’idea originaria sono restati cenni nel background familiare di Nina e nelle scene finali ambientate nel rifugio.

[MB]: Il suo essere architetta influisce sul suo metodo di lavoro? Preferisce progettare l’intera trama, o si lascia travolgere dalla storia che racconta?

[IBH]: Traccio le linee principali di trama, ma non sono una scrittrice che programma il proprio romanzo scena per scena in un foglio Excel, ho uno stile di scrittura più organico. Il mio lavoro da architetta è molto diverso, è più il lavoro di un’artigiana che quello di un’artista. Il mio strumento principale per entrambe le professioni è l’empatia – provo a mettermi nei panni degli altri. Ed è da qui che viene la mia ispirazione di scrittrice.

[MB]: Leggendo il suo romanzo si ha una costante sensazione claustrofobica di catastrofe imminente: da un lato, il disastro ecologico che incombe, dall’altro, il naufragio delle vite e delle relazioni dei protagonisti. La sua è una visione pessimistica o crede nella possibilità di mettere un freno alla deriva umana o ambientale che sia?

[IBH]: Sono un’ottimista in preda al panico. Naturalmente sono spaventata da quanto accade, e ritengo del tutto impossibile che l’umanità fermi il cambiamento climatico. Penso, però, che possiamo fronteggiarlo per minimizzare i danni e che lo faremo. Soltanto due esempi: l’orso polare è spacciato, le calotte di ghiaccio si scioglieranno – anzi, le abbiamo già sciolte, l’effetto è lento ma si compirà, ignoriamo se accadrà tra 20 o 200 anni, cruciale sarà ritardarlo per prepararci alle conseguenze.

È ancora possibile minimizzare il danno alla Terra e al clima, ma abbiamo bisogno di avviare mutamenti sistemici di notevole portata. Non è una crisi che può essere risolta individualmente riciclando o provando a viaggiare meno in aereo, la responsabilità spetta alla politica e alle grandi multinazionali. Ma siamo noi che dobbiamo fargli assumere le loro responsabilità.

[MB]: Lei affida la trama alle tre voci narranti dei protagonisti – Njål e Nina, entrambi glaciologi, e Sol –, ognuno dei quali vive le convenzioni sociali e il rapporto con la natura in maniera molto differente. Vuole descriverci i protagonisti del suo romanzo?

[IBH]: Njål è un moderno vichingo, che prova a conciliare le norme della mascolinità tradizionale con la sua parte accudente. Va a caccia, fa escursioni, partecipa a rievocazioni vichinghe e a combattimenti con spade, ma è anche un padre premuroso, molto vicino a sua figlia. Per lui prendersi cura di qualcuno è una parte naturale della mascolinità, e avere figli un bisogno molto forte. Nel corso del romanzo, lo vediamo legato sia a Sol sia a Nina, che sono donne piuttosto diverse per aspetto e carattere e che attraggono lati altrettanto diversi della personalità di Njål.

Sol, la moglie separata di Njål, è una ministra di culto della Chiesa dello Stato norvegese (una Chiesa protestante che consente alle donne di essere ministre dagli anni ’70), capace di far armonizzare le sue convinzioni religiose a un connaturato pragmatismo e con un approccio molto intellettuale verso la religione. È una donna progressista, a favore dell’aborto e dei diritti delle coppie omosessuali, e anche molto urbana. Come parecchi norvegesi metropolitani ha un buon rapporto con la natura “addomesticata” e corre spesso per i sentieri tracciati dagli esseri umani sulle montagne cittadine (chiamiamo così le montagne che si trovano nei dintorni di Bergen, dove vivono i personaggi). Sol ha una vita sessuale, fuma e beve occasionalmente ma non può avere figli. Per questo Njål finisce per lasciarla e mettersi con Nina.

Nina, invece, ai figli non pensa proprio ma rimane incinta e tiene la bambina. Se il parto risulta facile, il post-parto si rivela molto difficile e causa di una depressione profonda. Nina non si è completamente ripresa, ed è ancora scossa da quel che ha fatto o avrebbe potuto fare in quel periodo. Passa quasi tutto il tempo nel suo appartamento nel centro della città, detesta il suo corpo in espansione così come i sentimenti ambigui che prova verso sua figlia.

Njål, Sol e Nina si relazionano in maniera diversa alla natura, all’ambiente e a se stessi. Spero che le lettrici e i lettori riusciranno a cogliere tali differenze attraverso gli stili di vita, la quotidianità all’aperto dei tre protagonisti, gli orientamenti politici, il rapporto con la sessualità e con il corpo.

[MB]: Un tema che attraversa l’intero libro è, infatti, proprio quello che ruota intorno al corpo, in tutte le sue manifestazioni o fasi della vita, morte compresa. Per Nina e Sol, più che in Njål, il corpo porta alla luce una sorta di istinto animale: crede che le donne abbiano una relazione privilegiata con la natura?

[IBH]: In generale la mia risposta è un deciso no. L’idea che le donne siano “più vicine alla natura” rispetto agli uomini è un modo di pensare che trovo abbastanza superato. Fin dagli inizi dell’Ottocento, le donne venivano viste come più naturali e meno raffinate degli uomini – esseri umani concepiti per procreare e per essere madri, considerate più come uteri che come cervelli e guidate più dall’istinto che dall’intelletto. Penso che andare oltre questo ordine di idee possa aiutare entrambi i sessi.

Ritengo che tra uomini e donne ci siano molte più somiglianze che differenze. Ma una delle differenze è che noi donne possiamo concepire bambini dalla nostra stessa carne e dal nostro stesso sangue, possiamo portarli in grembo, partorirli e nutrirli con le nostre secrezioni corporee.  

Parlando per esperienza personale, gravidanza, nascita e post-parto sono fasi che possono sopraffare per la loro “naturalità” estrema. Come se i cambiamenti fisici, gli squilibri ormonali e gli istinti materni ti dominassero, come se il tuo animale interiore ti sabotasse e assumesse il controllo di te stessa. Non credo che questo ci renda più vicine alla natura in generale ma, appunto, si tratta di esperienze estreme durante le quali, seppure per periodi circoscritti, la realtà delle donne si differenzia da quella degli uomini.

[MB]: Nel romanzo c’è anche e molto la questione dei rapporti di potere tra uomo e donna, in particolare tra Njål e Nina. Nell’immaginario di noi lettori italiani, che viviamo in una società essenzialmente patriarcale, i Paesi scandinavi sono spesso idealizzati anche rispetto alla parità tra uomo e donna. È veramente così? È un aspetto che voleva indagare?

[IBH]: In generale, gli scandinavi si confanno a quest’immagine. La maggior parte degli uomini partecipa attivamente alla vita familiare, cambiando pannolini, cucinando e pulendo la casa, tanto quanto le donne. Sia gli uomini sia le donne possono prendersi un lungo periodo di congedo parentale retribuito (in Norvegia lo chiamiamo “congedo post-parto”), e la maggioranza degli uomini ne usufruisce (a dire il vero una parte del congedo è specificatamente riservata ai padri e non può essere delegata alle madri), così come la maggioranza delle donne scandinave lavora. Sono più le donne a lavorare part-time, e in prevalenza si prendono la porzione più grande del congedo post-parto, in generale, però, uomini e donne non hanno ruoli distinti in famiglia.   

Tuttavia, le differenze nel modo in cui uomini e donne sono visti e trattati persistono. Sia gli uomini sia le donne lottano contro questo stato di cose ma lo fanno in modi diversi. Volevo parlare di tutto ciò, investigare su come le nozioni di natura umana, di genere e di sesso influiscano su uomini e donne nella società moderna.

[MB]: La piccola Lotta è al centro di un’intensa disputa tra i suoi genitori per ottenerne la custodia. Se Nina e Njål, però, sono adulti con molte sovrastrutture sociali, Lotta è un giovanissimo essere umano. Crede che nei bambini ci sia una saggezza primitiva, una capacità di vivere nel presente e in sintonia con l’ambiente? Ritiene che gli esseri umani debbano recuperare un senso di armonia con la natura?

[IBH]: I bambini non sono saggi, sono intelligenti ma non hanno ancora avuto abbastanza tempo sulla Terra per apprendere la saggezza. Invece sono sicuramente primitivi e il modo in cui abitano i loro corpi nel presente – soltanto esistendo, perlustrando e giocando – risulta senza dubbio pieno di armonia.

I bambini piccoli sono anche la dimostrazione di uno dei tratti più caratteristici dell’umanità: la curiosità: hanno bisogno di esplorare e di imparare, distruggere e costruire qualcosa di nuovo, cambiare il proprio ambiente di continuo.

Per gli esseri umani è naturale superare la natura. Il nostro stato naturale è “l’in-naturalezza”. E dobbiamo accettare questo paradosso. Si deve trovare un modo di vivere che porti ad armonizzare il proprio sé naturale con il sé naturale in-naturale e con l’ambiente.

[MB]: Quando Nina arriva alle Svalbard sembra ritrovare un legame con la natura. Qual è secondo lei il cambiamento più profondo che vive?

[IBH]: Per la maggior parte della storia, la figura di Nina è in conflitto con se stessa. Nina non desidera figli ma ha una bambina che vuole tenere disperatamente per sé; ha insomma difficoltà a gestire diversi aspetti della sua vita. Alle Svalbard, però, è come se Nina si arrendesse alla natura e, sopraffatta dall’ambiente aspro che la circonda, riuscisse ad alleviare il suo dissidio interno. Il nuovo habitat diventa un elemento di fuga dal suo conflitto.

[MB]: Due domande sono d’obbligo: perché l’orsa del titolo?

E perché le Svalbard?

[IBH]: L’orsa del titolo viene da un testo dell’Antico Testamento. In alcuni punti delle Scritture, infatti, Dio è raffigurato con caratteri femminili e spesso si tratta di una femmina di animale ma è interessante constatare come tale rappresentazione non sia univoca. Dio viene descritto sia come una chioccia che raduna i pulcini e li protegge sotto le proprie ali, a riprova del suo lato premuroso, sia come un’orsa, simbolo di una nemesi brutale – così, infatti, recita un versetto del Libro di Osea riferendosi ai nemici dei figli di Dio: “li assalirò come un’orsa privata dei figli”.

L’idea di un’orsa furiosa si estende a tutti e tre i personaggi, al contempo l’immagine di un Dio vendicativo si collega anche a temi più ampi presenti nel romanzo.

Scrivendo di natura e di natura umana, l’arcipelago delle Svalbard costituiva, secondo me, lo scenario perfetto per concludere la storia. È un posto assurdo, inospitale, così soverchiante da far sembrare impossibile immaginare che un piccolo essere umano quale sono io possa avere un qualsiasi impatto. In realtà siamo noi a costituire un pericolo per tutto ciò che lassù appare tanto possente ed eterno.

[MB]: Nelle pagine finali del romanzo, all’apice della tensione, l’immagine dell’orso polare colpisce per la sua potenza evocativa: è, nello stesso tempo, un animale forte e pericoloso, ma anche una visione onirica e fragile, come si rivela del resto anche l’ambiente circostante. Cosa mi risponderebbe se da lettrice le dicessi che in quelle pagine, oltre all’epilogo delle vicende umane, si prova una profonda empatia, una naturale “rabbia dell’orsa”?

[IBH]: Penso che questa sia una lettura splendida, che stimola a pensare! Riscontrare che il mio romanzo possa avere un impatto simile mi rende un’autrice molto, molto felice.

[MB]: Ha già qualche progetto letterario del quale può darci qualche anticipazione?

[IBH]: Per ora sono ancora nella fase di sfinimento post-stesura, perciò, non ho ancora alcun progetto concreto. In compenso ho molte idee. I miei due romanzi precedenti sono gialli storici, e voglio concluderne la serie con un terzo. Ci sono molte altre questioni e riflessioni che vorrei indagare, forse sempre attraverso il crime e la suspence, o forse attraverso qualcosa di completamente diverso. Sarà il tempo a dirlo.

Foto © Helge Skodvin

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La rabbia dell'orsa
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La rabbia dell'orsa
  • Berg Holm, Ingebjorg (Autore)

Articolo protocollato da Marina Belli

Lettrice accanita, appassionata di rugby e musica, preferisco – salvo rare eccezioni – la compagnia degli animali a quella degli umani. Consumatrice di serie TV crime e Sci Fy, scrittrice fallita di romanzi rosa per eccesso di cinismo e omicidi. Cittadina per necessità, aspiro a una vita semplice in montagna o nelle Highland scozzesi (a condizione che ci sia una buona connessione).

Marina Belli ha scritto 135 articoli: