Il mio giro del mondo della letteratura gialla (ho letto finora romanzi di autori provenienti da 21 diversi paesi del mondo… mi restano da “scoprire” crimini e criminali in circa 180 paesi!) mi ha portato in Malaysia, paese natale di Shamini Flint.
Flint, che ha alle spalle una brillante carriera di avvocato, scrive in inglese ma la Malaysia di cui narra è assolutamente autentica… almeno per chi come me non ha mai visitato Kuala Lumpur.
L’ispettore Singh appartiene all’etnia Sikh, una delle tante nel melting pot di Singapore in cui vive, ma nei romanzi di Flint viaggia per tutto l’estremo Oriente. Nelle prime pagine di questo romanzo, il primo della serie, scopriamo il perché di tanto viaggiare: Singh, rotondetto e di mezza età, è un vecchio volpone tanto allergico all’autorità quanto geniale e perseverante nelle sue indagini. I suoi superiori sono ben lieti di affidargli indagini spinose che lo portino a causare scompiglio lontano dall’ordinata, inquadrata e un po’ tirannica (si può dire?) Singapore.
Così Singh si trova catapultato nel caldo tropicale di Kuala Lumpur per “affiancare” la polizia locale che indaga sull’omicidio di Alan Lee, ricchissimo imprenditore del legno. In realtà pare che ci sia poco da indagare: le autorità hanno arrestato e messo sotto processo la moglie di Lee, la bellissima modella Chelsea Liew, cittadina di Singapore. Chelsea e Lee erano nel bel mezzo di un sanguinoso divorzio, e Lee, grazie anche ad un’assai improbabile conversione all’Islam, pareva in grado di strappare a Chelsea la custodia dei tre figli. E Chelsea aveva promesso di ucciderlo.
Tutto già scritto? Forse per le autorità di Singapore, che decidono di spedire Singh a Kuala Lumpur per assicurare che la loro concittadina abbia quanto meno un processo equo. Processo in fondo al quale c’è la pena di morte. Non è così per Singh però, che trova subito pane per i suoi denti e la sua curiosità professionale. Il nostro placido (solo in apparenza) investigatore riesce nell’intento di alienarsi parte della polizia locale ma anche a scoprire fatti nuovi ed inaspettati. E quando il fratello di Alan Lee si confessa autore del crimine, riesce a tenere gli occhi aperti e la mente lucida, ed a guardare oltre le apparenze.
Mi piacciono di Flint la scorrevolezza ed il ritmo con cui scrive, e la sua capacità di rendere reale un ambiente così lontano dal nostro, con buona pace della globalizzazione, quanto quello di Kuala Lumpur.Non tanto geograficamente, ma per abitudini e convenzioni sociali. Moglie e marito litigano – e talvolta purtroppo si ammazzano – in tutti i paesi del mondo, ma i fattori che entrano in gioco, come in questo caso la religione, possono essere molto diversi. Anche se la trama è a tratti scontata, ed alcuni dei personaggi di contorno piuttosto “trasparenti”, complessivamente ho apprezzato la storia e soprattutto la figura dell’ispettore Singh. La crime fiction è piena di investigatori originali e fuori dal coro, e Singh ne è un degno esponente. E poi amo viaggiare, e con lui si può fare parecchia strada in estremo Oriente e dintorni.
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