Il suicidio dei buoni - Antonio HillDopo aver esordito con l’apprezzato L’estate dei giochi spezzati (qui la nostra recensione), Antonio Hill torna nelle librerie italiane con il nuovo romanzo, Il suicidio dei buoni.
Edito da Mondadori con traduzione di Jole Da Rin, il libro vede ancora una volta protagonista l’ispettore di polizia di origine argentina Héctor Salgado, sempre di stanza a Barcellona.
Natale è appena trascorso, e Salgado non riesce a darsi pace per la scomparsa di Ruth, la sua ex moglie che da sei mesi è introvabile.
Ma non è solo questo a turbarlo: a parte la difficile convivenza con Barcellona, in cui abita da tanto ma in cui non si sente a casa, c’è anche lo spinoso caso di una serie inspiegabile di suicidi. Le vittime erano tutte dipendenti di una ditta che produce cosmetici. Per cominciare, il direttore finanziario e fratello della proprietaria dell’azienda uccide la figlioletta appena nata e la moglie, prima di togliersi la vita. Poi è la volta di Sara, sua fedelissima segretaria, e quindi di un’altra donna trovata morta per overdose di sonniferi.
Cosa c’è dietro questa serie di suicidi? E sono proprio tali? A Héctor il compito di far luce, mentre le indagini si incrociano con quelle relative alla scomparsa della ex moglie, riguardo alla quale l’agente Leire Castro scoprirà segreti sorprendenti…

Mondadori ha messo a disposizione dei lettori il primo capitolo: ne riportiamo a seguire il Prologo, rimandandovi per il resto della lettura – se v’interessa – su Leggere.librimondadori.it

PROLOGO

“Una famiglia normale”
Lola Martínez Rueda, “La voce degli altri”
Giovedì, 9 settembre 2010

«Erano una gran bella coppia» dicono i vicini. «Lui non lo vedevo spesso, ma quando lo incontravo era sempre molto gentile. Lei forse teneva un po’ più le distanze… ma viveva per sua figlia, davvero.» «Avevano una bella bambina» mi spiega la proprietaria di un bar vicino alla loro casa, nel quartiere del Clot, a Barcellona, dove pochi giorni prima, verso le dieci, Gaspar Ródenas, sua moglie Susana e la bambina, Alba, di quattordici mesi, avevano fatto colazione. «Venivano spesso nei fine settimana» aggiunge. E senza che glielo chieda mi racconta cosa ordinavano di solito, lui un caffè e lei un cappuccino, e quanto era carina la piccola. Cose da nulla, certo. Particolari insignificanti e commenti banali che adesso, alla luce dei fatti, ci turbano.
Perché nella notte del 5 settembre, mentre sua moglie dormiva, quel padre timido ma gentile si è alzato dal letto della camera matrimoniale, è entrato nella stanza della figlia, le ha messo un cuscino sul viso e ha premuto con tutte le sue forze. Non possiamo sapere se, forse per quel sesto senso che da che mondo è mondo altera il sonno materno, Susana si sia svegliata. In ogni caso, Gaspar Ródenas, un marito “così educato” a detta di vicini e colleghi, non pensava di lasciarla viva. Susana è morta poco dopo, un solo colpo al cuore. Poi, come impongono i canoni dell’assassino maschilista, Gaspar si è ucciso.
I nomi di Susana e di sua figlia sono andati ad allungare l’elenco di donne che cadono vittime di coloro che in teoria dovrebbero amarle, rispettarle e addirittura, se pensiamo alla figlia, proteggerle. Quarantaquattro donne sono morte nel corso di questo 2010 per mano dei loro compagni. Ora sono diventate quarantacinque, con la macabra aggiunta di una bambina. Questo caso, però, non rientra nella formula che abbiamo imparato a riconoscere: una separazione in corso, denunce per maltrattamenti. Gaspar Ródenas non era, ironia della sorte, un uomo violento.
Le autorità pubbliche, una volta tanto, possono gonfiare il petto e dire che nulla faceva presagire che Susana e Alba fossero in pericolo. E hanno ragione… Questo però rende le loro morti, se possibile, ancora più terribili. Perché molte di noi ormai sanno che esistono meccanismi – pur scarsi e insufficienti – per difenderci da quei maschi violenti che si credono in diritto di controllare la nostra vita e la nostra morte. Quei tipi che ci umiliano, ci disprezzano e ci picchiano. Quello che non possiamo sapere è come proteggerci da quel rancore che si accumula in silenzio, da quell’odio muto che una notte scoppia all’improvviso e spazza via tutto.
C’è una foto di loro tre scattata poche settimane prima, su una spiaggia di Minorca. Si vede Alba, seduta sulla riva con una paletta rossa in mano. Ha un cappellino bianco che la protegge dal sole d’agosto. Dietro, in ginocchio, c’è Susana. Sorride all’obiettivo, felice. E accanto a lei, che la cinge con il braccio, ecco il marito. Vedendolo lì, in atteggiamento rilassato, con gli occhi semichiusi per il sole, nessuno potrebbe immaginare che appena un mese dopo avrebbe usato le stesse mani che accarezzano Susana per uccidere entrambe.
Perché quell’uomo di trentasette anni, con un posto fisso e ben pagato in una famosa azienda del settore cosmetico, senza particolari debiti e senza alcun tipo di precedenti, ha commesso due delitti che, più di altri, ripugnano qualsiasi coscienza? Quando ha pensato di porre fine alla vita di sua moglie e di sua figlia? In quale momento la follia si è impadronita di lui e ha deformato quella realtà quotidiana fino a convincerlo che la morte era l’unica via d’uscita possibile?
La risposta di parenti, amici e colleghi continua a essere la stessa, anche se nessuno di loro riesce a credere a quanto si ostinano a ripetere: Gaspar, Susana e Alba erano una famiglia normale.

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Articolo protocollato da Giuseppe Pastore

Da sempre lettore accanito, Giuseppe Pastore si diletta anche a scrivere e ha pubblicato alcuni racconti su antologie e riviste e ottenuto vittorie e piazzamenti in numerosi concorsi letterari. E' autore (assieme a S. Valbonesi) del saggio "In due si uccide meglio", dedicato ai serial killer in coppia. Dal 2008 gestisce il ThrillerCafé, il locale virtuale dedicato al thriller più noto del web.

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