Edito da Voland, casa editrice specializzata in narrativa straniera per lo più di matrice slava, oggi vi parlo di “Eredità colpevole“, romanzo a firma di Diego Zandel, scrittore italiano nato nel 1948 a Fermo dove allora i genitori erano ospiti di un campo profughi destinato ai rifugiati dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia in fuga dalla Iugoslavia di Tito.

Le opere di Zandel sono caratterizzate da intensi riferimenti autobiografici, e questa storia non è da meno: ai giorni nostri Guido Lednaz (il cognome del personaggio è la lettura al contrario del cognome dell’autore), giornalista e scrittore figlio di profughi fiumani, si prende a cuore il caso riguardante l’omicidio del giudice La Spina, sua vecchia conoscenza, rivendicato da un gruppo di estrema destra. Tale frangia estremista imputa al giudice di aver assolto, in virtù di un pretestuoso (a loro dire) vizio di forma definito “difetto di giurisdizione”, il criminale di guerra Josip Strčič, all’epoca dei fatti capo della polizia di Tito nonché uno dei più efferati esecutori dei tristemente noti eccidi delle Foibe.

Grazie ad alcune conoscenze personali risalenti al passato e a ricerche condotte con l’aiuto della propria esperienza di cronista, Guido Lednaz avvia un individuale percorso investigativo. Battendo varie piste, ripercorrerà una delle pagine più tragiche degli ultimi settant’anni in cui, durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, dal territorio sotto il controllo della Iugoslavia, ha visto l’esodo di interi popoli nel tentativo di scampare ai massacri che prevedevano l’esecuzione negli inghiottitoi carsici, le “foibe” in dialetto giuliano.

L’indagine condurrà Lednaz a rivivere dolorosamente le avversità, le atrocità e gli abomini di cui furono testimoni i suoi stessi genitori e moltissimi altri come loro che vi persero la vita, nel corso di quei convulsi e tragici anni di precipitosa ritirata dai territori sotto il feroce controllo del regime di Josip Broz, meglio conosciuto come Tito, e a confrontarsi con gli atteggiamenti scettici di coloro che interpellerà e che, direttamente o indirettamente, ebbero a che fare con i medesimi eventi. Gli interrogativi che, più o meno velatamente, si sentirà rivolgere sono un misto di pochezza e presunzione, figlie di una superficiale sintetizzazione storica: perché cercare giustizia a favore di un giudice che ha appena assolto un crudele infoibatore? Lo stesso Lednaz, figlio di profughi e quindi a tutti gli effetti vittima di una simile ferocia, non dovrebbe essere in qualche modo dalla parte dell’assassino?

Il proseguo dell’indagine rivelerà fuorvianti le piste che in un primo momento sembrano verosimili per la risoluzione del caso, e culminerà con una verità tanto inaspettata quanto dolorosa.     

Il fulcro di questa vicenda, impeccabilmente presentata attraverso una perfetta combinazione tra dossier giornalistico e narrazione romanzata, a parere di chi la recensisce è la ratio che sta alla base della battaglia messa in atto dal protagonista. Battaglia intrapresa non solo per un senso di legalità mirato a consegnare il colpevole alla giustizia ma anche e, forse soprattutto, per tentare di dirimere l’ingiustificato preconcetto che così spesso l’uomo pone a difesa delle proprie insensate e violente azioni nei confronti dei suoi simili. Come sostiene lo stesso protagonista, la questione non si riduce esclusivamente a sinistra e destra, a comunisti e fascisti, a ciò che, secondo i punti di vista, viene considerato “giusto” e “sbagliato”, bensì si tratta, molto più nel profondo, di individui che hanno compiuto indicibili brutalità verso popolazioni ritenute antigovernative e oppositrici, attuandone uno spietato sterminio disgraziatamente non isolato per il genere umano.

Una dovuta e meritata menzione va alle bellissime citazioni di Claudio Magris, scrittore triestino, riportate in epigrafe, già di per sé una sorta di “mini-racconto” che preconizza la sofferta e cupa pagina di Storia datata settant’anni ma così attuale e degna di riflessione.

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Eredità colpevole
  • Zandel, Diego (Autore)

Articolo protocollato da Damiano Del Dotto

Mi chiamo Damiano, abito a Pistoia, sono sposato con Barbara e sono più vicino ai 50 anni che ai 40. Poche cose colloco nella memoria come il momento temporale e il libro che in qualche modo mi ha cambiato la vita e mi ha infuso la gioia della lettura: avevo 11 anni, frequentavo la prima media e il romanzo è IT di Stephen King. Da allora non posso fare a meno di questa passione viscerale che mi accompagna quotidianamente. Si sente spesso dire che siamo la somma delle nostre esperienze. Allo stesso modo credo che l'amore che provo per la vita sia la somma dei libri che leggo.

Damiano Del Dotto ha scritto 46 articoli: