Barbarotti e l'autista malinconico - Hakan Nesser

«Non ho una buona sensazione» confessò. «Ma cerco di reprimerla. Probabilmente è come dici tu… noi cerchiamo la verità».

«Continua»

«E… ecco, non sempre la verità è la pepita d’oro che uno si immagina. Per quello un tempo inventarono la menzogna, suppongo. Per abbellire un po’… tu che cosa ne dici? Migliorare, tipo?»

«Può darsi» convenne Barbarotti. «Forse hanno diverse facce, sia la verità che la menzogna. Che ognuno mescola come il latte e il caffè… a discrezione»

«A volte ti escono proprio bene.»

Eh già, ci troviamo a concordare con Eva Backman, partner dell’ispettore Gunnar Barbarotti, nel lavoro e nella vita: “a volte gli escono proprio bene”. Lo sanno bene gli appassionati di gialli, e in particolare di gialli che vengono dalla Scandinavia, a cui senz’altro è noto anche il nome dello scrittore svedese Håkan Nesser.

È proprio dalla penna di Nesser infatti che, nel 2006, con “Människa utan hund” (tradotto in italiano nel 2008 da Guanda con il titolo di “L’uomo senza un cane”) prende vita il personaggio dell’ispettore Barbarotti, protagonista poi anche di altre avventure, e in particolare del suo ultimo romanzo Barbarotti e l’autista malinconico, tradotto ancora una volta da Guanda e da poco disponibile.

Spesso, una delle caratteristiche di un romanzo giallo è, potremmo dire, la compiutezza. Pensiamo a un romanzo di Agatha Christie: una volta introdotti i personaggi, avviene il delitto. Poi, le cose si complicano fino a costituire un problema che pare davvero insolubile ma, immancabilmente, Hercule Poirot o Miss Marple troveranno una spiegazione per tutto, chiarendo ogni dubbio e, per così dire, riportando l’ordine là dove regnava il caos.

Discorso analogo, pur con qualche variazione, si potrebbe applicare anche, ad esempio, ai gialli di Rex Stout o di Erle Stanley Gardner: anche in questi casi infatti, Nero Wolfe e Perry Mason sono ammantati di una sorta di infallibilità, e le soluzioni dei casi che infine individuano non lasciano spazio a dubbi. In questo senso, sono soluzioni compiute.

Barbarotti invece, è un investigatore eccentrico, brillante, e orgogliosamente incompiuto. Ed è per questo che può permettersi di osservare con sguardo acuto e critico verità e menzogna, contemplando la possibilità di mescolarle, come latte e caffè.

Aiutato dall’intelligenza e dall’affetto di Eva Backman, cercherà, con questo spirito, di farsi strada nella sua indagine su Albin Runge, di cui si può dire che è uno studioso di filosofia e un ex autista di autobus. E si può, anzi si deve ricordare, per provare a capire qualcosa di più nell’intricato mistero che Nesser ci svela pagina dopo pagina, che Runge è stato in passato, pur involontariamente, carnefice, mentre si ritrova ora a rischiare di essere vittima.

Tutto comincia con un viaggio maledetto, in cui Runge, che allora svolgeva ancora la professione di autista, ha un incidente, e causa la morte di diciotto persone, diciassette delle quali bambini. La sua vita è distrutta, il rimorso e il dolore lo lacerano.

Poi conosce Karin, e la sposa: è un raggio di sole, nella sua cupa esistenza. Ma da qualche tempo riceve messaggi minatori, firmati Nemesi. Sembra che qualcuno sia deciso a vendicarsi, incolpandolo del disgraziato incidente di molti anni prima. Dopo molte esitazioni, si rivolge alla polizia, e qui entrano in gioco Gunnar Barbarotti ed Eva Backman.

Questo, almeno, è il modo in cui la vicenda si presenta. Ma, come impareremo, attraverso un sapiente uso del flashback, questa indagine nasconde un sottile gioco di specchi, difficile da smascherare anche per abili e attenti investigatori che finiranno così per interrogarsi su come, paradossalmente, il bisogno di verità strida con le conseguenze che il disvelamento di ogni segreto comporta.

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