Waco serie TVNel pezzo riassuntivo sulle più interessanti e attese serie tv thriller e crime 2018 Waco occupa, per motivi di ordine alfabetico, l’ultimo posto ma, per quanto riguarda sia la data di trasmissione che la qualità dell’opera, il discorso cambia.

Ho avuto occasione di vedere la prima puntata di questa miniserie, che è composta da sei episodi ed è e sarà trasmessa su Paramount Network dal 24 gennaio fino al 28 febbraio 2018, e ne ho ricavato sensazioni miste e diversificate, che rispecchiano in larga misura i pareri degli aggregatori di critica quali Rotten Tomatoes (68%) o Metacritic (55 su 100), mentre IMDb, che valuta i voti degli spettatori, è attestata nel momento in cui vi scrivo su un 8,0 su 10.

La miniserie è opera dei fratelli John Erick Dowdle e Drew Dowdle e ripercorre gli eventi che hanno portato al lungo (51 giorni) assedio condotto da FBI e ATF nei confronti della fattoria occupata dalla setta dei “Davidiani”. Sui fatti storici tornerò fra un po’, per ora approfondiamo qualche aspetto tecnico, dicendo che il progetto è in gestazione da parecchio tempo, visto il primo annuncio di sviluppo della miniserie venne fatto durante l’estate 2016 da The Weinstein Company.

Incaricati del tutto i fratelli John Erick Dowdle e Drew Dowdle, con altri contributi in fase di sceneggiatura e almeno quattro dei sei episodi diretti da John Erick Dowdle. La produzione, pur prendendo parecchio tempo, si è svolta senza problemi eclatanti e l’unico fatto di rilievo è stata l’esclusione dai credits, da parte di Paramount Network, del nome Weinstein Television in seguito ai noti fatti di cronaca.

I fratelli Dowdle, in particolare John, hanno un curriculum di natura altalenante: larga parte del loro operato rientra nel genere horror e, fra i film diretti da John Erick Dowdle, troviamo: Full Moon Rising (1996), The Dry Spell (2005), The Poughkeepsie Tapes (2007), Quarantena (2008), Devil (2010), Necropolis – La città dei morti (2014) e No Escape – Colpo di stato (2015).

Avendo visto tutti i titoli in questione, posso affermare che la caratteristica più impressionante di questo duo è la capacità di sfornare lavori di alta fattura e qualità, molto importanti per la storia del genere (The Poughkeepsie Tapes, ne parlo in modo più approfondito nell’articolo che segnala gli horror più significativi del 2017, su La Tela Nera), a lungometraggi che lasciano basiti per l’inspiegabile inettitudine e pochezza (Devil, per esempio, che ho avuto la sventura di vedere al cinema).

Non conoscendoli, non riesco a capire da cosa derivi tale alternanza di qualità: la versione benevola nei loro confronti tende a scusarli in quanto sono spesso ingabbiati da “esigenze di produzione e incasso”, ma non è affermazione facilmente verificabile.

Il loro approccio a Waco è stato filologicamente corretto. Si sono basati su due diversi volumi biografici, scritti da entrambe le parti della barricata: da un lato le memorie di David Thibodeau, uno dei pochi membri della setta sopravvissuti all’evento. Nella fiction è interpretato da Rory Culkin e il libro che ha scritto si intitola A Place Called Waco.

L’altro volume consultato (Stalling For Time: My Life As An FBI Hostage Negotiator) è stato scritto dal negoziatore FBI presente durante l’assedio, Gary Noesner, che nella miniserie ha le incredibili geometrie del volto di Michael Shannon. Ottimo, abbiamo i due punti di vista, cerchiamo ora di dire qualcosa di più sugli eventi storici visto che, una volta tanto, non ci sono rischi di spoiler in quanto si tratta di un avvenimento ben noto.

L’assedio di Waco è un avvenimento controverso, in parte poco comprensibile per noi Europei, in particolare per quel che riguarda le sue conseguenze e ricadute. Cerchiamo prima di tutto di inquadrarlo storicamente e sociologicamente.
Il tutto accade in Texas fra il 28 febbraio e il 19 aprile 1993, in un ranch nei pressi di Axtell, occupato da una setta, i “Branch Davidians” che si è separata nel 1995 dagli Avventisti del Settimo Giorno.

La setta è guidata da tale David Koresh e, come potete immaginare, David è un guru carismatico (aggettivo che credo sia implicito nella parola guru) dal passato turbolento che detta legge sul suo presente: figlio di una quattordicenne, abusato da bambino, è probabilmente ossessionato da abbandono e solitudine e struttura la sua vita in modo che questi due babau non possano mai più apparire all’orizzonte.

Interpreta le letture sacre a modo suo; attira i consueti tipi di persone che sono attirati da culti e sette, offrendo quel che serve: senso di comunità, di identità precisa, protezione, castle doctrine, felicità in un eden scollegato dal resto della barca nella quale stiamo tutti faticosamente navigando, e senso d’assedio.
Quest’ultimo è un collante potentissimo e sottovalutato, agisce ogni giorno su tanti livelli, persino nelle piccole comunità internet, nei gruppi di vario tipo, opera ovunque.
È un fenomeno psicologico che avvince e convince perché separa, segna confini, ci identifica come i buoni e segna gli altri come cattivi, semplifica la difficile e faticosa lettura del reale ed esalta le nostre mediocrità, facendoci sentire dalla parte giusta, contro un universo di lupi ostili che non capiscono nulla. E, sopra ogni altra cosa, azzera le difficoltà di un ipotetico dialogo, che è sempre segnato da un reciproco riconoscersi delle due parti, da un mettersi sullo stesso piano e identificarsi come umani, come fratelli che la pensano diversamente su alcune questioni, preferendogli lo scontro e opposizione, che è più semplice, richiede meno impegno e trasforma l’altro in un oggetto, rendendoci più facile odiarlo.

Semplificazione e supposizioni, scusatemi se insisto e mi soffermo, sono letali e le subiamo sulla nostra pelle (e molti fra noi le applicano ad altri) ogni giorno. In molti riesce più facile estrapolare e supporre molte cose sul tuo prossimo piuttosto che impegnarsi a conoscerlo: se sei, tiro fuori tre categorie a caso, un cacciatore, o un vegano o un amante dell’horror, allora di conseguenza, automaticamente, sei anche tante altre cose, non c’è reale bisogno di verificare se sia vero o meno.

Su una lettura personale e una altrettanto personale interpretazione delle Scritture, David Koresh inserisce anche qualche regola inspiegabile, su tutte questa: vale la poligamia, ma tutti i maschi della comunità devono rimanere casti e puri, si occuperà lui di impregnare le femmine della setta per generare piccoli cultisti.

Ora, lo so, voi state leggendo questa regola e vi vengono subito dubbi e obiezioni logiche, ma se applicate la razionalità a queste situazioni state già sbagliando di partenza.

Ricordate anche che siamo nel Texas, non esattamente lo stato più progressista degli USA. E aggiungiamo il problema del momento storico: a inizio anni Novanta gli USA hanno grossi problemi con i “domestic terrorist”: i russi non sono più una minaccia, i “musulmani” devono ancora arrivare e nel frattempo ci si ritrova il territorio affollato da suprematisti bianchi e vari altri tizi isolazionisti, apertamente ostili allo Stato e, trovandoci dove ci troviamo, pieni di armi.
L’FBI è reduce da un disastro, che viene anche ampiamente citato nel primo episodio della serie: nel 1992 ha condotto maldestramente una operazione contro tale Randy Weaver, separatista che si isola in una casupola a Ruby Ridge, Idaho settentrionale. 11 giorni di assedio, muoiono sua moglie, suo figlio e un agente.

Sono premesse pessime: da un lato abbiamo una comunità già poco disposta a essere conciliante con l’esterno, dall’altra parte una organizzazione sotto pressione e sotto attenzione da parte della stampa.
Tenete a mente questo: gli statunitensi (sto commettendo l’errore che vi ho invitato a evitare, ovvero la semplificazione) poco sopportano l’intromissione dello Stato: sono a favore di poche regole e poche tasse e se sei debole sono affari tuoi e devi morire, è comunque colpa tua non aver avuto successo nella vita.
Hanno la fissa dei recinti e della proprietà e se fai il furbo ti sparano. Castle doctrine, appunto.

Comincia a girare voce che questa setta nella fattoria stia accumulando armi. È vero, ne hanno parecchie ma, a essere obbiettivi, la media delle armi pro capite all’interno di Waco è inferiore alla media del Texas.
Sono comunque un sacco di armi accumulate in un singolo posto, ma pensare che rappresentino qualche sorta di enorme minaccia per gli USA è poco realistico.

ATF (il Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms) e FBI si trovano in una brutta posizione, tutti si trovano in una brutta posizione. E un mandato di perquisizione si trasforma in catastrofe. ATF entra nel ranch, nervi tesi, cani aggressivi, sparatoria: muoiono quattro agenti e sei cultisti.
Segue l’assedio durato appunto cinquantuno giorni, con il negoziatore che non ha molte speranze, stretto a tenaglia fra i tattici FBI ai quali prudono le mani e un David Koresh preoccupato per le sue mogli e i suoi figli.
Non sto a dirvi come si concluderà il tutto, anche se credo che lo sappiate.

Il fatto ha avuto conseguenze pratiche e psicologiche: ancora adesso, 25 e passa anni dopo, all’americano medio non piace per nulla che lo Stato venga a dirgli se può tenere armi o meno, e nell’aprile 1995 Timothy McVeigh stermina 168 persone a Oklahoma City, citando quanto accaduto a Waco come motivazione primaria.
Pe la cronaca: David Koresh è sospettato di abusi sui bambini e si pensa che l’incendio finale sia stato appiccato dai cultisti, ma è tema ingarbugliato tanto quanto il processo.

Ingarbugliato e interessante: i momenti storici nei quali non è istintivo, facile e immediato identificare i cattivi e i buoni sono i migliori per mettere alla prova il nostro stare insieme, la società, le leggi e tutte quelle cosette che abbiamo cercato di costruire durante la nostra storia. Coi nazi è tutto più facile, a partire dalle uniformi che li identificano, ma in quasi tutti gli altri momenti non è così: la complessità è la sfida definitiva e le tifoserie non aiutano.

Avendo visto per ora solo il primo episodio di Waco, non posso dire molto sulle intenzioni dei fratelli Dowdle, ma rimango un po’ perplesso dal risultato finale.
Il problema non è tanto nella sceneggiatura, quanto in una regia per ora spenta, di routine, poco aggressiva e incisiva a fronte di tale materiale promettente e bollente.

Per contro, e vale tanto, in Waco c’è un cast di alto livello, che rende automaticamente interessante tutto il girato:

Michael Shannon è Gary Noesner:
Taylor Kitsch è David Koresh;
Andrea Riseborough è Judy Schneider;
Paul Sparks è Steve Schneider;
Rory Culkin è David Thibodeau;
Shea Whigham è Richard Rogers;
Melissa Benoist è Rachel Koresh;
John Leguizamo è Robert Rodriguez;
Julia Garner è Michelle Jones.

Forse i ruoli da leader dei cultisti sono abbastanza facili da interpretare, ma Taylor Kitsch brilla comunque e offre qualche interessante variazione, mentre Michael Shannon non ha bisogno di nessuna presentazione e lo vedi in ogni inquadratura a preoccuparsi e calcolare le conseguenze di ogni possibile azione e gesto, già intrappolato in compiti troppo oltre le sue possibilità.

Mi aspettavo probabilmente più scintille, ma crearsi aspettative è comunque sempre una colpa: Waco sembra essere un progetto solido, poco interessato a separare buoni e cattivi, e non posso che apprezzare.
I sei episodi previsti, come detto, andranno in onda fra gennaio e febbraio, questi i titoli: Visions and Omens, The Strangers Across the Street, Operation Showtime, Of Milk and Men, Stalling for Time e Day 51.

Pagina ufficiale della miniserie.

Articolo protocollato da Elvezio Sciallis

Elvezio Sciallis è stato uno dei più attenti e profondi conoscitori di narrativa e cinema di genere horror. Ha collaborato per molti anni con La Tela Nera e con Thriller Café prima della sua tragica scomparsa nel maggio 2019.

Elvezio Sciallis ha scritto 245 articoli: