Verso la notte – Hakan Nesser
Chissà se ad altri, oltre a me, fa sorridere quando nei romanzi scandinavi le giornate con una temperatura di venticinque gradi vengono definite “torride”.
E chissà se questi stessi lettori necessitano, come il sottoscritto, di un certo lasso di tempo prima di prendere confidenza con quei nomi, di persone e località, così distanti dal nostro idioma, come Angesbyn, Kvarnboskolan, Bengtsson-Stahle.
Hakan Nesser, prolifico autore in forza al roster di Guanda da più di vent’anni, ci viene però incontro con la figura del commissario Gunnar Barbarotti, un cognome che nel nostro paese risuona decisamente più amichevole.
Oltre a lui, la squadra di polizia dell’immaginaria località di Kymlinge – che porta il nome di una stazione fantasma della metropolitana di Stoccolma, in quanto mai terminata e mai messa in servizio – è composta dalla compagna Eva Backman, dagli ispettori Lindhagen, Toivonen e Kavafis, dalla giovane detective Paola Borgada (che a discapito del nome ha origini cilene) e dal “monsieur capo” Stigman. Un bel gruppo nutrito, e vi ci vorrà un po’ prima di affezionarvi – o immedesimarvi – in questo o in quell’altro personaggio, man mano che vi vengono presentati, con tutti i loro pregi e difetti.
In aggiunta a quelli già elencati c’è poi l’ispettore Borgsen, un attempato collega prossimo al ritiro, talmente devastato dai postumi del Covid da non riuscire a stare in piedi; è inoltre solito rendersi irreperibile alle riunioni in commissariato, e s’addormenta sulle panchine quando prova a concedersi una passeggiata. Il suo nome viene storpiato dai colleghi in Sorgsen che, secondo un gioco di parole della lingua svedese, sta a significare “il Mesto”.
Tuttavia sarà proprio quest’ultimo ad avere l’intuizione fatale, il guizzo decisivo che porterà Barbarotti e compagni sulla pista giusta, fino alla risoluzione del caso.
In termini d’intreccio mi viene un po’ difficile riassumere quella che può sembrare una trama piuttosto semplice, dato che ci troviamo in presenza di un serial killer in erba, partorito dalla cupa realtà del bullismo giovanile, ma la forza di questo libro sta nella capacità narrativa dell’autore.
Ho ricevuto il tomo alle 13.09 di sabato 27 settembre, quando avevo già in programma di fare altre cosette, e mi sono ripromesso di dare una lettura alle prime pagine per farmi un’idea della storia, prima di rimettermi a fare quel che avrei dovuto.
Risultato: alle 23 ero a pagina 200, e la domenica l’ho finito. Giusto per darvi un’idea.
Nasser ha una penna fantastica, tesse una storia al fulmicotone e vi inchioda alla poltrona. Il resto del mondo può andare a farsi benedire.
“Alcune storie si sottraggono, è nella loro stessa natura. Non amano farsi raccontare, le verità che contengono si trovano più a loro agio nelle acque buie e profonde della vergogna.” (p.14)
Una dovuta precisazione in merito a quanto rivelato poco prima: non vi ho spoilerato il finale, e nemmeno qualcosa al quale arriverete dopo svariati capitoli – non me lo sarei mai permesso.
Di fatto questo romanzo, che si apre con la descrizione del primo omicidio, si trasforma molto rapidamente in un noir puro, dove assassino, arma del delitto e movente vi vengono subito svelati.
Quello che segue è il ritratto psicologico di Erik, il resoconto dettagliato della sua maturazione omicida, istigata dalle parole di un’insegnate della scuola che frequenta – la professoressa Carolina Otter – la quale non si rende conto che certe suggestioni male si addicono alla mente fragile di un essere umano nel delicato periodo dello sviluppo. Suggestioni che maturano nel ragazzo nel modo sbagliato, come una pianta invasiva, spingendolo a credere che trasformarsi in un vigilante sia lo scopo ultimo al quale aspirare nella vita.
“Quindi se aveste avuto la possibilità di uccidere Adolf Hitler nel 1944, vi sareste tirati indietro? Pur avendo la possibilità di sparare all’uomo che sta per ammazzare tua figlia, tu deponi l’arma? Statemi a sentire, figli dei giorni buoni, uccidere non solo può essere giusto, ma può addirittura rivelarsi un dovere nei confronti del genere umano. Un grato dovere, ecco cosa vi dico.”
Per diversi capitoli le indagini brancolano nel buio, spesso andando a sbattere in qualche vicolo cieco, mentre i vari investigatori si lasciano guidare dalla falsa pista del “random killer”, un ipotetico squilibrato che va in giro a sparare a gente a caso.
Il nostro giovane assassino è difatti un elemento fuori dal comune, introverso e molto intelligente come lo sono spesso le personalità borderline. Pianifica tutto, studia con dovizia di particolari ogni sua mossa, osserva le vittime scegliendo il modo più invisibile di colpire, e trova anche il modo di far ricadere i sospetti su qualcun altro. Qualcuno che gli era particolarmente avverso.
A stemperare la tensione di un’indagine che si protrae per lungo tempo ci sono le divertenti metafore sportive del nostro Gunnar, e l’irriverente figura del libraio Wallman.
Mossa da autore navigato, questa, dato che a ogni lettore di thriller che si rispetti non può che stare simpatico un bibliofilo esperto di polizieschi. Ed è proprio questa figura a consegnare tra le mani di Erik il Manuale per assassini dilettanti, ignaro che il giovane cliente sarebbe presto diventato la nemesi del suo amico di gioventù Gunter Barbarotti e di tutta la sua squadra.
Che è scritto bene l’ho già detto, mi permetto di deliziarvi con un altro paio di citazioni tra le tante che ho evidenziato durante la lettura:
“Il resto dell’allegra brigata se la spassava più che mai, un’ora dopo l’altra mentre il sole attraversava lentamente il cielo rovesciando il suo oro sul bene e sul male.” (p.106)
“L’unica cosa che disturbava quell’alba bella e precoce era il cadavere, e il gruppetto di persone che si era radunato intorno. Barbarotti pensò che ciò che era cupo lo diventava ancora di più, quand’era circondato di luce.” (p.127)
Da leggere tutto d’un fiato in un fine settimana autunnale, magari quando il termometro s’abbassa sotto i venticinque gradi e ci lamentiamo che le temperature sono in calo.
Recensione di Mauro Piva.
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