Il mondo doveva ascoltarlo. Il mondo doveva capirlo. “Io sono colpevole!” sentì se stesso gridare.

In una Copenaghen distopica e alienante, si alza il grido straziante di Torben che pretende di espiare la sua colpa per poter ricominciare una nuova esistenza con suo figlio. L’uomo che voleva essere colpevole di Henrik Stangerup (Iperborea) è un romanzo talmente ansiogeno che non oso neanche invitarvi a bere, per paura che gli Assistenti possano rifilarvi delle pillole. Magari alla fine, Barman, riservaci qualcosa di veramente forte!

“Mio figlio mi è stato portato via. Giusto? E questa è una forma di punizione. Giusto? E la punizione viene data a chi è colpevole! Giusto o no?”

“Questo è sicuramente un modo di vedere le cose”, rispose il direttore. “Ma…”

“Ma?”

“Punizione e colpa sono concetti che non usiamo più.”

“L’ho già sentito centinaia di volte”, rispose Torben. “Ma allora come lo chiama il fatto che mi hanno portato via mio figlio?”

“Regole di condotta.”

Torben è uno scrittore che vive con la moglie Edith e il figlio Jasper in un piccolo appartamento di Copenhagen. La società danese è profondamente cambiata da quando i due si erano innamorati all’università e la piega “pienamente socialista” che ha preso, è quanto mai indigesta a Torben, scatenandogli dei frequenti attacchi di rabbia e inibendogli la creatività. In una società socialmente perfetta, però, la rabbia è un sentimento da reprimere, e i due coniugi sono stati caldamente invitati dagli Assistenti del loro Condominio a frequentare degli incontri AA (Anti-Aggressività). Se all’inizio sono stati concordi nel parteciparvi senza nessun trasporto, anzi, cercando di sbeffeggiare i controllori inventando storie di sana pianta da raccontare settimanalmente, ora Torben è molto infastidito perché gli sembra che Edith cominci ad assuefarsi al “sistema”. È durante una scialba serata casalinga davanti alla tv che la tensione tra i due coniuge sale, mentre commentano una trasmissione in cui si discute sull’opportunità di “revisionare” anche le favole di Andersen in vista delle future edizioni, affinché le nuove generazioni crescano in armonia con se stesse e con la società.

“Magari a te piace… Magari sei anche d’accordo…”

“Potrebbe anche essere”, rispose Edith.

“Come sarebbe a dire potrebbe anche essere?”

Beh, se è vero… che a Jasper può far male leggere le sue…fiabe…”

“In che senso far male?” insistette.

La voce di Edith divenne isterica:

“Ma non lo so!”

Finalmente si girò a guardarlo e istantaneamente i suoi occhi si riempirono di paura. Indietreggiò di tre passi:

“Cos’hai Torben? Dimmi cos’hai! Perché mi guardi così con odio? Torben, in questo momento tu mi odi! Confessa che mi odi!”

Torben capisce che la moglie non era più solidale con lui, forse perché ha paura di ricevere l’avviso grigio, quel primo avvertimento che li avrebbe segnalati come cattivi educatori, prima di ricevere la messa in mora con l’avviso blu, fino al terribile avviso rosso con il quale avrebbero portato via Jasper e non l’avrebbero più rivisto.

Edith si era arresa, era diventata condiscendente per paura.

Quella fu la scintilla che fece detonare la situazione.

Ma io sono un assassino! stava per gridare Torben. Ho ucciso mia moglie! E non è stato un incidente. L’ho uccisa di proposito! L’ho picchiata in faccia, sul ventre, sul petto, sulla schiena! Poi le ho sbattuto la testa contro il muro e sul pavimento! Non mi sono fermato neppure quando ho visto il sangue uscirle dalla bocca!

Risvegliatosi dopo un tempo per lui indefinito in ospedale, Torben si sorprende che nessuno faccia mai il minimo accenno alla sua colpa e, anzi, dopo lunghi colloqui amichevoli con lo psichiatra, gli viene comunicato che è libero di tornare alla sua vita.

Libero? L’aggettivo gli provoca una vertigine. Che significa libero? Tornando a casa scopre che nulla è come prima, l’appartamento è stato ripulito da ogni traccia della moglie morta e del figlio, ormai allontanato definitivamente da lui.

Nessuna traccia di quanto avvenuto, nessuna foto, vestito o giocattolo nella casa, nessuna alterazione della quiete sociale, nessuna colpa da espiare, anzi, un nuovo lavoro all’Istituto Nazionale per la Razionalizzazione della Lingua, visto il suo brillante passato di scrittore di successo.

Il primo incarico? Dover rimodulare il concetto connesso all’espressione “ritenuta fiscale”, per cercare un termine che dia l’idea che le tasse non vengono detratte dallo stipendio, ma che sono un contributo di ognuno al bene comune.

Lei stesso lavora all’Istituto Nazionale per la Razionalizzazione della Lingua, lo leggo dalle sue carte, e saprà meglio di me come da un giorno all’altro le parole e i concetti spariscono a beneficio di altri che naturalmente esprimono la stessa cosa in maniera più flessibile…”

“Flessibile!” ripeté Torben con sarcasmo. “Una volta, quando si veniva puniti, si sapeva quanto durava la pena. Se erano quattro anni di prigione, erano quattro anni, e magari si usciva anche solo due o tre. Ora mi hanno punito portandomi via mio figlio, e non ho la più pallida idea se potrò mai riaverlo. Perché io non sono colpevole. Sono solo mentalmente squilibrato. È questa che chiama flessibilità?”

L’accorata supplica per riavere Jasper al Capodivisione del Reparto Rilascio e Ritiro delle Tessere Mammaepapà sarà destinata a cadere nel vuoto, ma Torben decide di rimanere presente a se stesso, abbandonando del tutto le pillole, per continuare a lottare per l’unico suo diritto possibile: essere riconosciuto colpevole dell’omicidio di Edith.

L’unico modo per poter riacquistare un briciolo di speranza nel domani.

“L’unica cosa che pretendo è che mi si dica che sono colpevole.”

Se pensate che possa svelarvi il finale del romanzo di Henrik Stangerup, significa che avete ingoiate anche voi le pastiglie degli Assistenti!

Quello che vi ho descritto è solo metà della storia, l’antefatto, l’enigmatico inizio della parabola di Torben. Parabola, già, ma non necessariamente la parabola è in disegnata con il vertice in basso negli assi cartesiani, ricordate?

L’uomo che voleva essere colpevole merita tutta l’attenzione di cui siete capaci perché è una lettura altamente significativa: ogni frase, anche la più banale, nasconde spesso un sottinteso, una traccia, un sarcasmo raggelante che vi indirizzerà alla fine ma, parimenti, vi aiuterà a ricostruire il mondo di Torben un mattoncino alla volta, come i celeberrimi Lego, di cui la Danimarca va orgogliosa nel mondo.

Vi confesso che all’inizio ho pensato di accostare questo romanzo al film The Truman show, ma nell’attimo stesso in cui ho formulato il pensiero mi sono data della stupida: Truman non era affatto consapevole della finzione con la quale era stata costruita da altri la sua realtà, mentre Torben è perfettamente consapevole che la realtà che sta vivendo è il prodotto di un lungo processo sociale e politico che in qualche misura ha contribuito a creare. Ed è furioso per questo.

Tutti i collaboratori lo applaudirono, ma Torben sapeva benissimo che quel finto entusiasmo non serviva che a nascondere la loro cattiva coscienza. Quasi tutti appartenevano alla sua generazione, ex marxisti, ex strutturalisti, semiologi che una volta avevano proclamato l’avvento della rivoluzione attraverso la letteratura “pura” e fondato criptiche riviste per ristrette cerchie intellettuali, ex concretisti, artisti provo, futuristi elettronici, hippies, studenti attivisti e infine qualche raro scrittore come lui, sempre alla ricerca di se stesso che, dopo un brillante debutto agli inizi degli anni Settanta, aveva smesso di scrivere e ora si limitava a continuare a sognare il ritorno di una vita che sapeva non sarebbe mai tornata. La generazione del tutto e subito. I figli di Mao e Marcuse.

Per il finale del romanzo nel Parco della Felicità, Stangerup ci assesta l’ultimo pugno nello stomaco. E se voleva farci riflettere sulla direzione che la società stesse prendendo (nel lontano 1973, n.d.r.), sicuramente è riuscito nell’intento.

Who is who?

Henrik Stangerup (Copenaghen, 1º settembre 1937 –  4 luglio 1998) è stato uno scrittore, regista cinematografico e giornalista danese. Cresciuto in una famiglia di letterati, iniziò la carriera come giornalista, affermandosi come una delle personalità più vive e polemiche della cultura danese.

Dopo alcune raccolte di racconti passate quasi inosservate, Stangerup uscì dall’anonimato nel 1969 con La serpe in seno, che anticipa molti temi della sua produzione successiva. Nel 1971 confermò il suo successo con Menzogna su menzogna, di cui è protagonista un regista in crisi, Joachim Jerlang, e nel 1973 varcò le frontiere danesi col romanzo breve L’uomo che voleva essere colpevole, tradotto nel 1990. Ma la definitiva affermazione internazionale gli giunse con la trilogia costituita scritta tra il 1889 e il 1991: Lagoa Santa, È difficile morire a Djeppe e Fratello Jacob, in cui tre personaggi danesi incarnano rispettivamente l’aspetto etico, estetico e religioso della filosofia kierkegaardiana.

Tra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta diresse anche cinque film. L’attività di regista lo portò a una profonda crisi personale descritta nel lungo romanzo autobiografico del 1978, In anticipo sul nemico.

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L'uomo che voleva essere colpevole
17 Recensioni
L'uomo che voleva essere colpevole
  • Stangerup, Henrik (Autore)

Articolo protocollato da Monica Bartolini

Monica Bartolini (Roma 1964) si afferma nel mondo della scrittura gialla con i romanzi della serie del Maresciallo Nunzio Piscopo (Interno 8 e Le geometrie dell'animo omicida, quest'ultimo finalista al Premio Tedeschi nel 2011). Nel 2010 vince il Gran Giallo Città di Cattolica per il miglior racconto italiano in ambito mystery con il racconto Cumino assassino, compreso nell'antologia 10 Piccole indagini (Delos Digital, 2020). Autrice eclettica, per I Buoni Cugini Editori pubblica nel 2016 Persistenti tracce di antichi dolori, una raffinata raccolta di racconti gialli storici che ha per filo conduttore le vicende legate al ritrovamento di alcuni reperti storici, che ancora oggi fanno bella mostra di sé nelle teche dei musei di tutto il mondo, e nel 2019 la terza investigazione del suo Maresciallo dal titolo Per interposta persona. Collabora con i siti www.thrillercafe.it e www.wlibri.com per le recensioni ed è membro dell'Associazione Piccoli Maestri - Una scuola di lettura per ragazzi e ragazze che si occupa di leggere i classici nelle scuole italiane. Bibliografia completa in www.monicabartolini.it Contatti: [email protected]

Monica Bartolini ha scritto 89 articoli: