Nel Medio Oriente e nel Nord Africa, dove negli ultimi decenni sono sempre intervenuti gli Stati Uniti, un tempo una delle presenze straniere più forti era quella della Francia. Con criteri politici egualmente controversi e risultati non certo migliori. Ce lo ricorda l’autore francese Antonin Varenne in questo L’Arena dei Perdenti, noir in bilico fra la rievocazione storica della guerra d’Algeria del 1957 ed il feuilleton giallo contemporaneo, condito con poliziotti canaglia, boxe truccata e nazionalismo d’estrema destra.
Di Varenne avevo già letto “Sezione Suicidi” pubblicato nel 2011 da Einaudi, storia di un commissario parigino così poco gradito ai superiori da finire a capo di un’improbabile sezione che indaga su quei “crimini” dal colpevole (apparentemente) noto a priori. Un romanzo dalla meccanica classica e dai personaggi decisamente fuori dal comune (incluso un fachiro morto sul lavoro…) che ho molto apprezzato.
In “Le Mur, le Kabyle et le Marin” Varenne rimescola le carte, con personaggi ‘ordinari’ ma una meccanica narrativa particolare: la storia rimbalza fra le vicende contemporanee di George “Le Mur” Crozat, poliziotto parigino e pugile dilettante (grande incassatore, da cui il suo soprannome) di bassa classifica e buono per match più o meno truccati, e quelle di Pascale Verini, socialista, idealista e ribelle quel tanto che basta per essere spedito per punizione sul fronte algerino nel 1957. Per oltre due terzi del romanzo Varenne, a capitoli alterni, racconta di questi due non-personaggi, due perdenti alla ricerca di qualcosa che nemmeno loro sanno cosa sia. Le Mur, ormai vicino al ritiro dal ring, affonda lentamente nella depressione e si presta a pagamento ad un losco ispettore della brigata “grandi crimini” per pestaggi e regolamenti di conti, mentre Verini, appena sbarcato in Algeria, viene trasferito in una fattoria da incubo in pieno Sahara, dove i prigionieri di guerra nordafricani vengono spietatamente torturati ed uccisi al riparo da occhi ed orecchie indiscrete (eco delle sequenze iniziali del film “Zero Dark Thirty”).
Si sa che il noir francese è talvolta lontano dalle “regole” della crime fiction anglosassone o scandinava. La bravura di Varenne è di sapere tener vivo l’interesse del lettore senza un crimine, senza un’indagine e con una trama apparentemente labile.
Confesso che uno dei motivi che mi ha fatto proseguire nella lettura è stata la curiosità: come farà l’autore ad annodare i capi di questi due filoni narrativi così distanti fra loro nel tempo, nello spazio e nelle atmosfere? C’è voluta un po’ di pazienza ma alla fine Le Mur inciamperà, nel corso di uno dei suoi lavori poco polizieschi e molto fuorilegge, nella tessera del mosaico che connette la sua Parigi sgangherata e malavitosa con Verini e le atrocità senza senso della guerra d’Algeria.
E, pur con qualche forzatura, Varenne regala al lettore un finale serrato, pirotecnico ed amaro al punto giusto.
Varenne scrive con scarna eleganza, con una prosa che è tanto secca nella sezione parigina quanto è quasi sognante in quella algerina. I suoi personaggi sono assai poco “cool”. Niente VIP, nessun detective di successo o genio criminale , né tantomeno soldati eroici o grandi gesta militari. Invece, una profusione di piccoli malavitosi ed altrettanto piccoli uomini di legge, di puttane e militari alcolizzati, sadici o disadattati, di tagliagole algerini che difendono come possono la loro terra e uomini maltrattati dalla vita che sono invecchiati portandosi dentro ferite che non hanno voluto, o potuto, far rimarginare.
Una materia non facile da gestire, con cui però Varenne, pur con qualche piccolo tentennamento nel ritmo, ha saputo confezionare un romanzo avvincente, ricco di umanità e pieno di sorprese.
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- Varenne, Antonin (Autore)