La dodicesima carta è Il libro di cui si chiacchiera oggi, sesto romanzo di Jeffery Deaver con protagonista Lincoln Rhyme.
Titolo: La dodicesima carta
Autore: Jeffery Deaver
Editore: Sonzogno
Anno di pubblicazione: 2005
ISBN: 9788882466527
Pagine: 486
Prezzo: € 19,00
Trama in sintesi de La dodicesima carta:
Harlem, biblioteca del Museo afroamericano. La sedicenne Geneva Settle sta cercando notizie di un suo antenato vissuto nella metà dell’Ottocento che, ex schiavo, si era battuto per i diritti civili della gente di colore per poi finire misteriosamente in carcere. Mentre la ragazza è concentrata nella ricerca, un uomo si avventa alle sue spalle e tenta di violentarla. Nonostante sembri un tentativo di stupro, Lincoln Rhyme inizia a indagare con l’aiuto di Amelia Sachs. In effetti, l’uomo ha un obiettivo più impegnativo: uccidere la povera Geneve. E per far questo non esita a uccidere il bibliotecario che forse ha visto qualcosa. Il primo indizio che Rhyme ha a disposizione? La dodicesima carta dei tarocchi, l’Impiccato.
(Dalla scheda su Ibs)
“Il più grande scrittore di thriller dei nostri giorni”, così il New York Times definì Deaver qualche tempo fa: bene, qua al Thriller Cafè ci domandiamo se l’etichetta valga ancora dopo aver letto questo libro e ci rispondiamo che Deaver sarà pure un grandissimo, ma con questo romanzo non è che lo dimostri molto. La dodicesima carta è infatti una prova opaca, sottotono, solo parente alla lontana delle precedenti. Ci sono sì Rhyme e le sue indagini “da remoto” con la partecipazione di Amelia Sachs, ma da sole non reggono del tutto la scena: sono meno entusiasmanti del solito, vanno lente, come se corressero per raggiungere un autobus imbottigliato nel traffico. Quello che manca è il ritmo incalzante a cui Deaver ci ha abituato, quel susseguirsi incessante di colpi di scena che spiazza il lettore ogni volta che crede d’aver intravisto la soluzione all’enigma. In questo libro, i colpi di scena che compaiono verso la fine sembrano in verità forzati, quasi inseriti per allungare una storia che fino a quel momento ha detto poco e condurci verso un finale ancor meno soddisfacente. Mi rendo conto d’essere forse troppo critico con un romanzo comunque leggibile, ma Deaver ci ha abituato a opere ben migliori e del resto nessuno è infallibile: stavolta è stato meno bravo che in altre occasioni. Quando parleremo de “Il collezionista di ossa” o “Lo scheletro che balla”, anche quei pochi che non dovessero conoscerlo se ne renderanno conto…
E con questa certezza il vostro barman vi lascia, con la raccomandazione di tornare in settimana a trovarlo se volete assaggiare il drink che per noi shakererà l’ottimo Dennis Lehane.
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