La vita paga il sabato - Davide Longo

Questa recensione è un esperimento: viene scritta a stomaco vuoto nonostante oggi sia il giorno di Pasqua e attorno a noi il profumo di grigliate riempie l’aria stranamente tiepida di questa festività che segue una domenica delle Palme assolata. Non valgono più manco i proverbi di una volta. Viene scritta prima di aver letto le ultime 90 pagine, che sveleranno il colpevole magari previo colpo di scena. Ma chi pensa ancora che dei gialli sia il finale la parte migliore?

E soprattutto viene scritta senza campo. Frase che oggi equivale al non avere scampo di un tempo. E torniamo ai proverbi, quindi.

Non mi sono portata la saponetta della Wi-Fi qui al lago, per queste brevi vacanze di aprile, perché vorrei parlare con l’ultimo romanzo di Davide Longo, non del virgolette virgolette.

La vita paga il sabato.

Vi basti sapere che in sono ancora arrivata al punto in cui capirò il titolo. O forse l’ho oltrepassato senza capirlo. Confido nelle 90 pagine che mi mancano.

È il terzo capitolo della saga Bramard/Arcadipane che leggo e mi è parso d’intravedere sin dalle prime pagine una notevole chicane, una curva a gomito che Davide ha svoltato senza toccare il freno.

Non si parla più di giovani, di quei ragazzi di oggi bellissimi e marci, protagonisti dei romanzi precedenti.
Qui sono tutti anziani. Il morto, la scomparsa, il sospettato, la poliziotta in pensione che aiuta nella Capitale, il primo informatore, lo snodo narrativo, il critico d’arte che conferma l’ipotesi investigativa di un sempre brillante, ma anziano e acciaccato, Bramard in trasferta.

Loro sono anziani e il tono di Longo è scanzonato, leggero, dissacrante a tratti ma umoristico, dileggiante, divertente. Non prende in giro i vecchi, anzi. Ci porta ad ascoltarli e a fidarci di loro, non in omaggio al trito primato della canizie, ma perché li trova vitali e interessanti quanto quei giovani di cui si accennava poc’anzi.

La mancanza di rete mi ha impedito (per fortuna, così mi sono goduta la narrazione, il fraseggio elastico, l’indugio ricorrente alla parabola) di fare quello che tutti i fortunati lettori di questo romanzo faranno: controllare se esita Clot, il paese di montagna che fa da sfondo alla storia, se sia esistito Johannes Van Drift,il pittore che affrescandone la chiesa ha di fatto denunciato una pratica abominevole, ereditata dai celti, chiamata la Sucho, una via di mezzo tra lo jus primae noctis e la sfida del dio uccello che mi hanno raccontato all’isola di Pasqua (to’, sto scrivendo una recensione circolare come le trame di Tarantino.?!).
Da qualche tempo vanno di moda le pubblicazioni oscure, le sciarade letterarie che mettono in palio ricchi premi al lettore che svelerà il finale.

Mi sono cimentata anche io in una di queste tenzoni e dei cento passaggi che mi avrebbero condotto alla soluzione sono giunta a quota due.

Se vi piacciono queste agoni, non applicatele qui. Il romanzo di Davide va letto, indipendentemente da come vada a finire (io stessa ne scrivo senza saperlo) perché è godimento parola per parola.
E infatti ora vi saluto perché vorrei finirlo prima di cena. Che data la mancanza di pranzo verrà consumata agli orari tipici di Clot. Che esista. O anche no.

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La vita paga il sabato
  • Editore: Einaudi
  • Autore: Davide Longo

Articolo protocollato da Alessia Sorgato

Alessia Sorgato, classe 1968, giornalista pubblicista e avvocato cassazionista. Si occupa di soggetti deboli, ossia di difesa di vittime, soprattutto di reati endo-famigliari e in tema ha scritto 12 libri tra cui Giù le mani dalle donne per Mondadori. Legge e recensisce gialli (e di alcuni effettua revisione giuridica così da risparmiarsi qualche licenza dello scrittore) perché almeno li, a volte, si fa giustizia.

Alessia Sorgato ha scritto 121 articoli:

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