La ragazza della porta accantoLa recensione di oggi è dedicata a La ragazza della porta accanto, il capolavoro di Jack Ketchum che finalmente, dopo vent’anni, è arrivato anche in Italia per merito di Gargoyle Books. Un libro controverso, osannato da parte della critica – tra cui Stephen King – e molto criticato dall’altra. Questa è l’opinione di Thriller Café…

Titolo: La ragazza della porta accanto
Autore: Jack Ketchum
Editore: Gargoyle Books
Anno di pubblicazione: 2009
Pagine: 288
Traduttore: De Luca L.

Trama in sintesi:
Il dodicenne David è il prototipo dell’adolescente medio dell’America rurale. Gironzola per il quartiere assieme agli altri ragazzi del vicinato, va a pesca di gamberi e inizia a interessarsi all’altro sesso, soprattutto dopo l’arrivo delle sorelle Meg e Susan Loughlin nella casa accanto, quella dei Chandler. Le due, orfane dopo un incidente automobilistico, sono state affidate a Ruth, in apparenza un’ottima madre di famiglia, ma in realtà ingiusta e perversa. La donna si accanisce con le nipoti, passando poco alla volta dalle ingiuste punizioni a sempre più crudeli torture fisiche e psicologiche. In queste vengono coinvolti anche David e gli altri ragazzi del quartiere. La polizia non interviene, nessuno parla. E nello scantinato dei Chandler si consuma l’orrore.

Non credo sia possibile restare indifferenti di fronte a La ragazza della porta accanto, e di certo non lo è stato per me.
Premetto che mi capita spesso di leggere del Male, da quello inventato degli psycho-thriller più cruenti a quello documentato da libri true crime e testi criminologici. Ho addirittura scritto un saggio che parla di omicidio seriale. Ritengo quindi di conoscere perlomeno su carta il lato più buio della natura umana, e mai in passato mi era capitato di provare tanta pena e sofferenza, e rabbia, e senso di impotenza e frustrazione, prima di leggere questo libro. Perché Ketchum non solo non si tira indietro dinnanzi all’orrore reale (come testimonia lui stesso nell’intervista che mi ha concesso), ma sceglie di raccontarlo non con le spettacolarizzazioni di chi forse vuol fare più scalpore (o soldi) che denuncia, né con la narrazione tanto nuda e cruda quanto asettica della cronaca. Della storia della giovane Sylvia Marie Likens, sceglie consapevolmente di spostare i fatti nel tempo, per riportarli in un’epoca – gli anni Cinquanta – in cui i muri delle case erano impenetrabili e i bambini totalmente succubi dei genitori, e nello spazio, optando per una location rurale dall’inquietante isolamento. Decide quindi di cambiare nomi e particolari, ma soprattutto di utilizzare come narratore non il carnefice, né la vittima, ma il David, oggi uomo, che rivive gli avvenimenti di quand’era dodicenne.
Come l’autore sottolinea nella sua nota finale, la scelta non è improvvisata o capricciosa, ma risolve tre precise esigenze: il personaggio sa molto, ma non tutto di quello che accade nel seminterrato dei Chandler, e quindi non può raccontare alcuni dei momenti più brutali; da persona ormai matura può valutare cosa dire e cosa omettere, perché troppo disturbante; può infine deviare l’empatia del lettore verso le persone che a lui sono care, poiché il fatto che narri implica che è vivo e che non è per lui che bisogna temere.
Fissati questi capisaldi, Ketchum è ora nelle condizioni migliori per mettere in scena il dramma, e in esso riversa tutta la propria sensibilità e le proprie qualità di Scrittore importante.
Il risultato è un libro che è difficile posare e allo stesso tempo è difficile continuare a leggere. A un certo punto si comprende che sarà sempre più doloroso proseguire, ma ormai si è totalmente in balia delle emozioni: da una parte speranza, alimentata dall’ambivalenza di David che oscilla tra desiderio e rimorso, e dall’altra repulsione, o vero e proprio odio, verso Ruth, la cui devianza è magistralmente costruita dall’autore, sottolineata da ogni suo assurdo sopruso, da ogni suo manipolativo atteggiamento, da ogni sua delirante affermazione.
Senza mai scadere nello splatter, Ketchum ci spara dritta in faccia una storia di abuso e violenze che pone l’accento non solo sulla perversione dell’adulto ma sul suo ruolo sociale nei confronti dei ragazzini, deresponsabilizzati e sedotti, resi complici e al contempo vittime, segnati in eterno dall’aver preso parte all’orrore o semplicemente non averlo impedito.
Una storia che si fa portavoce di tante urla tappate che assorderebbero il mondo se potessero uscire dalle prigioni domestiche in cui sono costrette e che consacra La ragazza della porta accanto come un romanzo che per molti lettori, me compreso, sarà difficile dimenticare.

(In giro troverete altre recensioni al libro, se questa non vi basta vi consiglio di certo quella di Elvezio Sciallis, che da grande conoscitore del panorama mondiale auspicava la traduzione di Ketchum qui da noi da diverso tempo. Credo sia uno dei più titolati in rete a parlare di quest’autore: delle sue parole vi potete assolutamente fidare).

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Articolo protocollato da Giuseppe Pastore

Da sempre lettore accanito, Giuseppe Pastore si diletta anche a scrivere e ha pubblicato alcuni racconti su antologie e riviste e ottenuto vittorie e piazzamenti in numerosi concorsi letterari. E' autore (assieme a S. Valbonesi) del saggio "In due si uccide meglio", dedicato ai serial killer in coppia. Dal 2008 gestisce il ThrillerCafé, il locale virtuale dedicato al thriller più noto del web.

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