Nello sterminato universo di detective letterari, ci sono pochi dubbi sul fatto che Nero Wolfe appartenga a una stretta cerchia a cui solo un limitato numero, tra cui Hercule Poirot, Jules Maigret, Philip Marlowe e Sherlock Holmes, può vantare di farne parte. Il merito va a un’intramontabile presenza scenica e a ricorrenti riedizioni, parodie, caricature, emulazioni e adattamenti cinematografici che nel corso del tempo li hanno resi, nell’immaginario collettivo, vere e proprie incarnazioni del giallo poliziesco.  

Con Sherlock Holmes, l’investigatore nato dalla fantasia di Arthur Conan Doyle, Nero Wolfe condivide i maggiori parallelismi, cosa che lo stesso scrittore americano Rex Stout non ha mai nascosto del tutto, quasi con l’intento di far subodorare una sorta di ispirazione per il proprio personaggio. In primo luogo il modus operandi dei due “colleghi”, molto intuitivo e, se necessario, con l’impiego di mezzi non proprio ortodossi per raggiungere la verità. Non meno importante, entrambi hanno un fidato assistente che è anche la voce narrante delle loro avventure. E a dirla tutta ci sarebbe pure la curiosa coincidenza – chissà se lo è davvero – che i nomi Sherlock Holmes e Nero Wolfe presentano le stesse uniche due sillabe nella medesima sequenza.  

La lega degli uomini spaventati, pubblicato per la prima volta nel 1935, è il secondo romanzo di Rex Stout che vede protagonista Nero Wolfe tra le oltre settanta storie che lo riguardano. Imbeccato quasi per caso dall’assistente Archie Goodwin che, in un momento di magra, cerca spunti di conversazione per ingannare l’attesa di un nuovo caso, Wolfe coglie alcune affinità tra i contenuti di un libro uscito da poco, scritto dal detenuto Paul Chapin, e l’incontro con un docente di psicologia della Columbia University di New York, tal Andrew Hibbard, avvenuto giorni prima, durante il quale il professore aveva dichiarato al detective di sentirsi in serio pericolo di vita. Rifiutato l’incarico per divergenze in merito all’obiettivo finale, Wolfe tornerà sui suoi passi quando riceverà la visita della nipote di Hibbard e la notizia della scomparsa del professore.

Se c’è una cosa che mi ha sempre attratto di un investigatore è quando è lui stesso ad avere, se non scheletri nell’armadio, quanto meno dei lati oscuri, delle bizzarre manie, dei piccoli segreti sul proprio passato o sulla propria indole. E tali rimangono nel tempo, non vengono mai chiariti del tutto, lasciando il lettore in balia di un perenne senso di inconscia aspettativa per le storie a venire, come se fosse più essenziale fare luce su un aspetto misterioso del protagonista anziché sull’enigma del momento. Wolfe, per esempio, è nato in Montenegro, ma non se ne conosce la ragione. Ha più di 50 anni, ma l’età non è mai stata precisata. Se poi ci aggiungiamo che esce pochissimo di casa – solo per affari personali e molto ma molto raramente per lavoro, preferendo di gran lunga condurre l’indagine dentro le quattro mura seduto alla scrivania dello studio – che non possiede il phisique du role del detective, per così dire, scattante, anzi, è piuttosto sovrappeso e si fa cucinare piatti raffinati dal fidato chef Fritz Benner, il gioco è fatto.   

Credo sia questa l’innovazione principale che ha introdotto Nero Wolfe nel prototipo dell’investigatore conosciuto fino ad allora: una spiccata eccentricità e una costante stravaganza che lo fanno percepire più vicino a noi comuni mortali appassionati del genere.  

Nel 2000 Rex Stout è stato nominato miglior scrittore del mistero del secolo, e l’intera serie di Nero Wolfe è stata decretata la migliore del secolo. Negli Stati Uniti, dal 1979, il miglior giallo dell’anno riceve il Nero Award (Premio Nero Wolfe).

Caso mai qualcuno ponesse ancora dubbi sulla sua immortalità.

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Articolo protocollato da Damiano Del Dotto

Mi chiamo Damiano, abito a Pistoia, sono sposato con Barbara e sono più vicino ai 50 anni che ai 40. Poche cose colloco nella memoria come il momento temporale e il libro che in qualche modo mi ha cambiato la vita e mi ha infuso la gioia della lettura: avevo 11 anni, frequentavo la prima media e il romanzo è IT di Stephen King. Da allora non posso fare a meno di questa passione viscerale che mi accompagna quotidianamente. Si sente spesso dire che siamo la somma delle nostre esperienze. Allo stesso modo credo che l'amore che provo per la vita sia la somma dei libri che leggo.

Damiano Del Dotto ha scritto 50 articoli:

Libri della serie "Nero Wolfe"

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