Il diritto di morire di Rex StoutBeat Edizioni continua a donare una veste editoriale dignitosa alle opere di Rex Stout e per questo Natale 2017 ci offre Il diritto di morire, ventisettesimo caso della monumentale serie che lo scrittore statunitense ha dedicato al suo personaggio più noto, Nero Wolfe.

Verrebbe quasi da dire “al suo unico personaggio”, ma quando si guarda alla produzione letteraria dell’autore nato a Noblesville, in realtà c’è anche un discreto gruppetto di romanzi e racconti che non sono occupati dall’ingombrante presenza di Nero Wolfe.

È però per via degli occupanti della casa di arenaria della Trentacinquesima Strada Ovest che Rex Stout sarà ricordato ancora a lungo, e qui a Thriller Café ci sentiamo un po’ colpevoli per non aver dato per ora tutto il risalto e lo spazio necessari e meritati a questa serie.

E in particolare alla pregevole opera di ristampa condotta da Beat Edizioni. Leggiamo e scriviamo interminabili ed estenuanti (e, per quanto riguarda il sottoscritto, anche inutili e profondamente stupide) pappardelle sull’esigenza di abbattere i confini fra letteratura di genere e letteratura alta: a mio modo di vedere questa operazione, se proprio deve essere fatta, dovrebbe avvenire non solo a livello di critica, accademica o meno; non solo lavorando sulla percezione del lettore; ma anche per quanto riguarda l’aspetto grafico ed estetico delle opere.

Non si giudica un libro dalla copertina, sarà anche vero, ma a leggere delle continue, incessanti, risapute e amate dinamiche fra Nero Wolfe, Archie Godwin, Fritz Brenner e Theodore Horstmann nei volumi Beat, ben più curati delle precedenti edizioni nerowolfiane, c’è maggior godimento.

Ognuno fra i nostri lettori, perlomeno fra quelli maggiorenni, potrà affermare di essere cresciuto leggendo tal autore o le gesta di tal personaggio. Chi vi scrive, pur all’interno di letture eterogenee, è cresciuto dal punto di vista giallo-noir sotto due numi tutelari: Ed McBain e Rex Stout. E no, Nero Wolfe non mi stava simpatico, per nulla, ma parte del piacere era forse anche in quello.
In più, che vogliamo farci? Nero può anche non essere un mostro di simpatia, ma ha sempre ragione, ed è un dato che, razionalmente parlando, non possiamo che ammirare.

Veniamo a qualche dato storico: Il diritto di morire è apparso in prima edizione originale nel 1964 con il titolo di A Right to Die, in Italia ha conosciuto varie edizioni, ricordiamo quella del 1966 ne Il Giallo Mondadori (892) e la successiva riproposizione nel 1982 all’interno della collana I Classici del Giallo (412).
La presente stampa mantiene la classica traduzione della compianta Laura Grimaldi, ed è arricchita da una introduzione di Sergio Romano. Ora alcuni brevi cenni di trama de Il diritto di morire.

Quando Paul Whipple, che aveva fornito un prezioso aiuto nel caso Alta cucina, chiede aiuto, Nero Wolfe, nonostante la sua natura scorbutica, non può certo esimersi. Whipple, stimato professore, è preoccupato dalle possibili conseguenze di un matrimonio interraziale fra suo figlio Dunbar, nero, e Susan Brooke, bianca, il tutto nel torrido clima sociale degli anni Sessanta e della gloriosa quanto turbolenta lotta per i diritti civili.

Whipple vorrebbe quindi che Wolfe indaghi sul passato della Brooke, su eventuali problemi e scheletri nell’armadio, ma il caso è chiuso ancora prima di essere aperto: Susan è rinvenuta cadavere nell’appartamento di Dunbar e ora tutto è capovolto. Wolfe dovrà quindi mettersi in moto, cosa sempre poco piacevole per lui, al fine di evitare la galera a Dunbar, che è sospettato dell’omicidio.

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Il diritto di morire. Le inchieste di Nero Wolfe
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