La farfalla nell’uragano è un libro bellissimo. Una recensione non dovrebbe iniziare così, ma questo primo romanzo di quella che sarà una trilogia dell’autore olandese  Walter  Lucius è un perfetto meccanismo a incastro che sa dosare con grande equilibrio una trama complessa e con forti spunti di critica sociale, personaggi mai banali , un ritmo incalzante che porta ad arrivare velocemente alla fine delle oltre cinquecento pagine del libro.

Un bimbo da tratti mediorientali, vestito con gioielli e campanellini e in abito tradizionale, viene ricoverato in gravissime condizioni al pronto soccorso di un ospedale della capitale olandese e attira l’attenzione del Farah Hafez, giornalista di origine afghane, nello stesso ospedale per motivi personali: una parola sussurrata dal bambino, l’abito pieno di campanellini e gioielli, il viso truccato evocano immediatamente in Farah il bacha bazi, uno dei rituali pedosessuali più detestabili praticati in Afghanistan.

E’ l’inizio di una indagine che si svilupperà tra l’Olanda, il Sudafrica e Mosca tra corruzione, interessi politici e delle multinazionali, criminalità organizzata.

Molti, si diceva, i pregi del romanzo.

In primis, i personaggi: il romanzo è un romanzo corale, anche se la figura di Farah Hafez mantiene una certa centralità. Lucius sa raccontare con bravura ed eleganza personaggi contraddittori e imperfetti, con vicende personali che sono parte importante della narrazione, ma lo fa riuscendo a non appesantire il racconto: elemento importante sopratutto quando affronta aspetti etnici che potrebbero facilmente diventare folklore o realismo magico.

E’ facile provare empatia nei loro confronti, anche quando non è possibile accettare le loro azioni: anche i personaggi criminali non sono mai appiattiti in cliché, e la sensazione generale che ne deriva – sia che si parli dei “buoni” che dei “cattivi” – è quella di una certa malinconia per vite che avrebbero potuto andare diversamente e si sono perse.

Sicuramente una nota di merito va al personaggio di Farah, che si discosta sia dai luoghi comuni che abitualmente si associano alle donne di cultura islamica, sia da quelli altrettanto nefasti del politically correct. Farah è una donna forte, moderna, sospesa tra due mondi ai quali ugualmente appartiene: pratica un’antica arte marziale – il penkat silah – imparata dall’amatissimo padre scomparso, ed ha una vocazione per il giornalismo d’inchiesta che segue con rigore e istinto.

Secondo pregio, la trama, che Lucius costruisce con un senso del ritmo impeccabile, frutto anche della sua esperienza di autore teatrale: alcune forzature del racconto, che nella parte finale portano gran parte dei personaggi a convergere in un unico luogo, non tolgono nulla alla qualità dell’insieme. E’ un thriller investigativo giocato sulle figure giornalista/poliziotto, con elementi action nel finale adrenalinico. La scrittura è elegante ma mai pretenziosa, che si adatta a seconda del personaggio che viene narrato, e fluisce con naturalezza probabilmente anche grazie ad un’ottima traduzione.

Ed infine, le tematiche trattate. Lucius riesce a trasmettere tutto il disgusto per l’abuso che il piccolo bimbo afghano subisce raccontando la vicenda con delicatezza, in modo quasi poetico: è il pretesto per parlare di una società nordica che vive sul mito del proprio multiculturalismo, della propria civiltà, ma che sotto questo strato sottile nasconde corruzione, contraddizioni e ipocrisie, la difficoltà di integrazione di culture così differenti e la pressione di una criminalità organizzata di altissimo livello capace di agire sui meccanismi delle politica e della finanza.

Il finale chiude la vicenda del piccolo afghano, ma è un finale aperto, com’è naturale trattandosi del primo romanzo di una trilogia: si arriva alla fine con molta soddisfazione, e con il desiderio di sapere come si evolveranno i personaggi, cosa gli succederà, cosa li aspetta.

Sperando che l’attesa non sia troppo lunga.

Recensione di Marina Belli

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La farfalla nell'uragano
  • Lucius, Walter (Autore)

Articolo protocollato da Marina Belli

Lettrice accanita, appassionata di rugby e musica, preferisco – salvo rare eccezioni – la compagnia degli animali a quella degli umani. Consumatrice di serie TV crime e Sci Fy, scrittrice fallita di romanzi rosa per eccesso di cinismo e omicidi. Cittadina per necessità, aspiro a una vita semplice in montagna o nelle Highland scozzesi (a condizione che ci sia una buona connessione).

Marina Belli ha scritto 143 articoli: