Christoffer CarlssonIncontriamo al nostro bar un giovane autore, Christoffer Carlsson, che da subito ha ottenuto un buon riscontro di pubblico con il romanzo Lo strano caso di Stoccolma edito per l’Italia da Newton Compton. In Svezia lo hanno definito un vero e proprio caso letterario, e i lettori sembrano essersi appassionati subito alla vicenda di Vincent Franke, un ragazzo tossicodipendente che vive il malessere della società di oggi, quello di sentirsi inadatto, scontento, che trova nella droga una via di fuga dalla propria realtà. La mancanza della figura di un padre ridonda sovente nelle riflessioni del protagonista, un giovane che si ritrova, suo malgrado, immischiato in una storia di sequestro di persona. Tra luoghi comuni e introspezione scopriamo un romanzo dalla trama elaborata capace di indurre una riflessione sui giovani e il mondo della criminalità adducendo a quella inadeguatezza che li porta a vivere di espedienti.

D: Chi ha ispirato la tua scrittura?
R: Oh, direi l’uomo. Ci sono così tante persone… Ma quando ho scritto la storia di Vincent mi sembrava divertente scrivere un romanzo noir. Quindi, in questo caso sono stato molto influenzato da Raymond Chandler, Jim Thompson e James M. Cain, ma anche da scrittori contemporanei della letteratura americana, dove spesso il protagonista è inaffidabile, come per esempio, in “Fight Club” di Chuck Palahniuk, o “American Psycho”. Io amo tutti questi scrittori. Le mie influenze attuali, però, tendono ad orientarsi più verso Amy Hempel, Michael Chabon e Jonathan Franzen. Le mie influenze sono davvero tante, non di meno la musica di Nine Inch Nails, Tool e Radiohead.

D: Che cosa ti attrae della criminologia?
R: Questa è una domanda molto buona. Criminologia, per me, è un’esplorazione interessante del mondo sociale. Ma l’obiettivo generale resta capire il rapporto tra la persona e la società in cui i singoli si muovono. In questo modo spero di ottenere una maggiore comprensione di ciò che significa essere umani, che cosa significa essere un cittadino in una società del nostro tempo. Pertanto, criminologia è un progetto molto personale, simile a quello che cerco di esplorare nella mia scrittura narrativa come le questioni d’amore, amicizia, fede, violenza, sessualità, dipendenze, gli emarginati. Criminologia e scrittura narrativa sono solo due modi diversi di affrontare le stesse domande: chi siamo come individui e come parte di una società? Che cosa rende la nostra vita significativa? Cosa succede quando perdiamo queste cose? Qual è la risposta della società a queste domande? Ma per me c’è una grande differenza tra la criminologia e la narrativa. Scrivo fiction per intrattenere.

D: Utilizzi delle linee guida quando scrivi?
R: Si lo faccio in qualche modo. Ma ho una capacità di attenzione breve e se sapessi tutto quello che succederà, pagina per pagina, mi annoierei; ci vuole anche svago quindi preferisco andare a fumare una sigaretta e bere una birra con un amico. Conosco pochissime persone che effettivamente seguono delle linee precise. Qualcosa mentre si scrive cambia sempre e questo ti fa mancare il bersaglio prefissato. Se avete scritto uno schema in cui il protagonista alla fine della storia muore, scommetto che finirà invece con un finale dove vive. Quindi, per non annoiarsi e per permettere a me stesso la massima libertà di cambiare idea man mano che procedo con la storia, di solito tengo alcune scene chiave già in mente, luoghi in cui so che devo arrivare per raccontare la storia che voglio raccontare. Quindi le linee guida le uso per alcune biografie e storie di vita dei personaggi principali. Ma solo in queste.

D: Cosa ne pensi del tuo primo romanzo, ora?
R: Anche questa è una buona domanda. Ho scritto la prima bozza de “Lo strano caso di Stoccolma” in tre mesi, tra settembre e dicembre del 2008. Così, grosso modo a due anni di distanza dalla prima stesura, penso ancora che sia una buona storia ma penso anche alla disperazione e la volontà di chi non è mai stato pubblicato prima. Volevo che il lettore venisse risucchiato in questo nuovo mondo inquietante. Penso di essere maturato da allora, anche se il linguaggio del personaggio, che non mi appartiene a volte, appare un po’ esagerato. Ci sono alcune frasi che vorrei cancellare o riscrivere. Ma in generale penso che sia buono.

D: Come è nata l’ idea di questa storia?
R: Nel caso di Vincent ho capito che volevo scrivere qualcosa di simile a una storia di vita, dove tutto il libro gira fondamentalmente intorno a una sola persona. L’unica prospettiva che volevo ottenere, era il punto di vista del narratore che lascia il lettore solo con lui. Non c’è nessun altro posto in cui andare, nessun poliziotto o giornalista o altro cui far riferimento. Questo tipo di personaggi sono spesso presenti nel romanzo poliziesco, in parte credo che per il lettore avere qualcuno a cui rivolgersi, qualcuno con gli stessi valori morali, qualcuno che possa guardare il mondo pieno di violenza, droga, ingiustizie, è come dire “questo è sbagliato, è terribile”. Ne “Lo strano caso di Stoccolma” non vi è narratore con una prospettiva del genere. C’è solo Vincent che rende il rapporto tra il lettore e il narratore molto intimo. L’obiettivo era di portare il lettore a riflettere su questioni forti e a porsi queste domande sulla sua vita. Ma ho voluto anche utilizzare lo strumento della narrazione inaffidabile, dove il lettore non può fidarsi veramente del ragazzo che racconta la storia. Dando al protagonista una dipendenza da morfina, è come dire al lettore: “Stai attento – ti puoi fidare di lui? Ha detto la verità?” Da queste premesse ho solo lavorato a modo mio. Anche se la malavita svedese non è organizzata come ho scritto nel romanzo (lo è molto meno, meno gerarchica, è come una rete a maglie larghe di relazioni tra gruppi e individui), ho voluto usare l’idea comune della cultura di un “boss” . Il personaggio di Maria Magdalena, ho lavorato abbastanza per ottenerlo. Per me lei è molto più importante come simbolo che come personaggio reale. Ogni personaggio in realtà, è lì perché aiuta a portare avanti la storia di Vincent, aiuta a raccontare al lettore qualcosa su di lui. Per me è molto di più una storia di vita è un libro su un rapporto particolare.

D: Qual è stato il miglior consiglio che hai ricevuto nella tua carriera di scrittore?
R: Ho ricevuto tre tipi di consigli che sono stati altrettanto importanti: primo, scrivere su ciò che si vuole comprendere. Il consiglio è “scrivere su ciò che si sa” ma per me è naturale avere curiosità quando si scrive di qualcosa che ci interessa, che vuoi sapere o vuoi capire meglio, è stato un consiglio estremamente importante. Scrivere dovrebbe essere divertente, deve essere qualcosa che vuoi fare, qualcosa che non vedi l’ora di portare avanti. Il secondo consiglio è stato quello di trattare temi sociali! Trova delle persone che siano interessate a leggere il tuo lavoro, parlane, discutine. In questo modo è come trovare persone che facciano lavoro di editing per voi e poi domandategli: qual è il nucleo della storia? Dove è debole? Dove è forte? Imparerete enormemente anche leggendo storie dei vostri amici. Tre, e questo consiglio arriva dal mio buon amico e scrittore Björn Calendario, chissà forse sa più lui ciò che significa essere uno scrittore di chiunque altro. Secondo Björn non si può mai allontanare lo sguardo dai lati oscuri di ciò che significa essere umani. Parte del lavoro dello scrittore è quello di affrontare le tenebre e non rifuggire da esse. Nelle situazioni in cui gli esseri umani sono deboli, vittime di abusi, e si trovano in situazioni in cui commettono terribili atti – è qui che lo scrittore deve attingere. Come scrittore si dispone di una voce e si deve utilizzarla! In questo modo la gente sa che sei sincero e onesto. Ma, ancora una volta, bisogna rivolgersi al lettore. La maggior parte delle persone legge perché lo trova divertente, coinvolgente e stimolante.

D: Perché Vincent fa uso di droghe?
R: Non sarebbe noioso se rispondo che prende da queste sostanze tutto il divertimento che ne deriva? Vorrei chiedervi la stessa cosa, lettori di Thriller Cafè – cosa ne pensate? Perché si fanno uso di droghe? Come mai quando si inizia non si riesce a smettere? Le mie domande non sono retoriche, sono realmente interessato alle vostre risposte.

D: Questa volta siamo noi amici a essere intervistati, lasciate il vostro commento allo scrittore, noi intanto lo ringraziamo di essersi seduto al bancone del nostro bar per rispondere alle nostre domande e di essere stato così esaustivo.
R: Grazie a voi per l’interesse!

Articolo protocollato da Arianna e Selena Mannella

Arianna e Selena Mannella Collaborano al magazine Albatros per il quale intervistano personaggi del jet set nazionale e internazionale e con Thriller Magazine, nel quale curano la rubrica “Ordinaria Follia”. Sono addette stampa e editor.

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