kautokeinoSi inizia con un ritorno. Sul luogo del delitto? Cosa è successo quattro anni prima all’uomo con cui si apre questo romanzo? Perchè tutti lo riconoscono e lo guardano con sospetto?

Anche Anna Magnusson, assistente del procuratore a Stoccolma, sta tornando a Kautokeino, il paesino nel nord della Norvegia dove ha vissuto durante l’infanzia, richiamata dalla nonna per difendere dall’accusa di stupro suo cugino Nils Mattis. Gli unici ricordi che Anna ha del cugino sono quelli di gioventù: un ragazzo taciturno, solitario, poco incline a socializzare con una parente proveniente dalla città. Le cose non paiono essere molto cambiate e d’altronde è tutto Kautokeino ad essere sospettosa verso gli estranei. Il piccolo villaggio che dà il titolo a questo thriller è abitato in massima parte dai Sami, la popolazione indigena di quella regione a cavallo tra Norvegia, Finalndia e Svezia che chiamiamo Lapponia; nell’estremo nord domina ancora il legame alla siida, alla comunità, ed è un sentimento di chiusura verso l’esterno percepito come minaccia ai propri valori. La visita a casa della zia Sara Marit, madre dell’accusato, conferma ad Anna le sue sensazioni: su di lei, in questo mondo dove ci si presenta dicendo anche i nomi dei genitori, pesa la colpa della madre, che ha tradito la tradizione e la famiglia per seguire suo marito (un daza, cioè un non-Sami) e accettare le comodità urbane moderne. Anna è cresciuta così in città, voltando le spalle a quel mondo ancestrale, e i suoi parenti non perdono occasione per rinfacciarle questa sua scelta, che di fatto l’ha esentata dalle responsabilità nei confronti della famiglia, che da sempre si occupa di allevazione delle renne e che oggi, spinta dalla difficoltà sempre maggiore di vivere del proprio lavoro, è in lotta senza esclusioni di colpi con gli altri allevatori.

Anna e sua madre, in pratica, hanno infranto la Legge di Jante formulata da Askel Sandemose proprio in relazione alla cultura scandinava: secondo questo scrittore dano-norvegese nelle comunità nordiche (ma il discorso vale per tutte le realtà chiuse o ristrette) vige un modello di comportamento che reputa negativamente la realizzazione individuale vista come attentato alla coesione sociale e rifiuto delle responsabilità nei confronti della collettività, cui il singolo deve rispondere sempre. Questo libro solleva così un interrogativo interessante sul rapporto tra individuo e società: se è chiara la critica all’oppressione del sistema tradizionale dei Sami, Lars Pettersson mette anche in luce come l’emancipazione dalle consuetudini e la volontà di realizzarsi come individuo significhino anche recidere (almeno in parte) i legami con la propria famiglia, smettere di prendersi cura gli uni degli altri; la liberazione dai lacci soffocanti produce anche la perdita di valori positivi che lasciano il posto ad una solitudine ambivalente. Il ritorno di Anna, forse, serve proprio ad espiare i peccati suoi e di sua madre.

Kautokeino è una città silenziosa, dove occorre scavare a fondo per capire le vere intenzioni della gente, come se tutti parlassero sempre attraverso un codice segreto da decifrare, come quello che regola i vestiti cerimoniali tradizionali dei Sami. L’indagine, date le circostanze, si preannuncia faticosa, tanto più che Nils si dichiara innocente e sostiene che Karen Margrethe (la ragazza che l’ha denunciato) è una squilibrata che si inventa le cose. Inoltre, dicono tutti, la presunta vittima è una rivgu (una non-Sami): con una ragazza del posto non si sarebbe arrivati alla denuncia. La mentalità comune sostiene che “Quando si beve e si decide di partecipare al gioco, poi bisogna giocare”: dov’è il confine? In molti le consigliano di ritirare la denuncia e lei stessa parrebbe propensa a non proseguire oltre nell’iter processuale, schiacciata dal giudizio della comunità; sembra quindi che il lavoro per Anna sia facile, ma qualcosa la fa esitare. È tutto troppo facile, e se lo stupro è avvenuto davvero, non può permettere che si lasci perdere, nemmeno se in ballo c’è l’onore della famiglia. Quando poi vengono trovati i cadaveri di Karen e di un testimone nell’indagine (che altri non è che l’uomo con cui si era aperto questo thriller) le cose si fanno più complicate. È stata davvero (come le rimprovera la nonna) la presenza di Anna, la sua ostinazione nel dar eccessivo peso ad una questione che andava invece risolta in privato a far precipitare la situazione? Cosa c’è dietro a questa serie di delitti?

Lars Pettersson dipinge uno scenario fatto di paesaggi spettrali, avvolti dalla neve, dove il freddo minaccia costantemente l’uomo (si toccano i trenta gradi sotto zero, nelle macchine si forma il ghiaccio sul finestrino dall’interno), il quale non può che sentirsi piccolo di fronte ad una natura così ostile. Territori quasi disabitati, dove il tempo sembra essersi fermato, congelato: quello dei Sami è un mondo tenacemente radicato alle proprie antiche usanze e tradizioni, alla propria cultura e alla propria lingua; ma è un mondo che sta morendo, sempre sulla difensiva anche a causa della lunga storia di resistenza all’omologazione, nel tentativo di preservare la propria identità in una società moderna che non si fa scrupoli a distruggere ciò che intralcia il suo cammino. Nel romanzo, la madre di Anna ha partecipato alle dimostrazioni contro la diga di Masi nell’81 che avevano contrapposto le autorità norvegesi alle popolazioni indigene; nella realtà i lapponi stanno ancora attendendo che i Paesi di residenza ratifichino la Convenzione ILO 169 dell’Onu (datata 1989) che protegge i diritti dei popoli tribali, coinvolgendoli nelle decisioni socio-politiche che possono avere un impatto sulle loro vite, nel caso dei Sami ad esempio lo sfruttamento degli enormi giacimenti minerari lapponi o il disboscamento.

In questo ambiente dominano i tempi morti, dettati dagli spazi immensi che lo costituiscono. Le distanze abissali rallentano persino l’arrivo della giustizia ufficiale (la polizia non ha una macchina digitale ed è costretta a sviluppare le foto, ma forse questa è un’esagerazione del romanzo), sostituita da un suo succedaneo fatto dalla gente del posto, abituata a regolare da sola questioni come quella in cui si trova coinvolta Anna, costretta a combattere l’omertà degli indigeni.

Kautokeino, un coltello insanguinato è un buon prodotto medio: le pagine, come gli avvenimenti narrati, scorrono bene anche senza scossoni che rilancino la tensione e si arriva allo scioglimento senza aver mai avuto momenti di noia, ma anche senza particolare curiosità sulla risoluzione del delitto. Unica grande pecca è la scontatissima scena d’amore tra i due personaggi principali, Anna e l’agente Kristiansen, assolutamente non necessaria. E’ un thriller, inoltre, che permette di scoprire un mondo poco conosciuto in Italia, anche in questi anni di exploit della letteratura nordica.

Pubblico e privato, a Kautokeino, si mischiano: tutti si conoscono e ognuno ha un parente da proteggere o che lo protegge. La protagonista, Anna, è una donna meticolosa nel suo mestiere, ma il miscuglio di lavoro e famiglia fa emergere il lato più indeciso di lei, la colma di dubbi e insicurezze, rendendola ai suoi occhi poco autoindulgenti goffa e inconcludente, donando però così comiche riflessione ai lettori coi quali condivide le sue ansie. Per trovare la chiave di volta del caso Anna dovrà scavare a fondo nella cultura Sami e nella sua stessa famiglia, indagando tra le pieghe di questa comunità, nel conflitto tra le sue regole e le leggi ufficiali, per giungere di fronte ad un grande quesito: quando diritto e senso comune divergono che cos’è davvero giustizia? Sarà capace Anna di fare la scelta corretta? Suo malgrado, ella dovrà essere della partita prendendo le parti della sua famiglia. “Cosa ci faccio qui in realtà?” continua a chiedersi Anna; nel finale questa domanda trova una risposta, mà essa è almeno in parte diversa da quella che la donna avrebbe ipotizzato prima di immegersi in quest’avventura; il soggiorno a Kautokeino l’ha cambiata e l’ha resa consapevole che il posto che ha nella sua famiglia (con la quale, nel bene e nel male non può non confrontarsi) d’ora in poi sarà il risultato dell’equilibrio di forze in conflitto, tra le quali però avrà enorme peso la sua volontà, e non è detto che essa la porti così lontano dalla siida.

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Kautokeino. Un coltello insanguinato
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Articolo protocollato da Nicola Campostori

Laureato in Scienze dello Spettacolo, vive nella Brianza tossica. Attualmente lo puoi trovare in biblioteca, da entrambe le parti del bancone. Collabora con "Circo e dintorni". Ama il teatro, e Batman. Ha recitato, a volte canta, spesso scrive, quasi sempre legge. Nutre i suoi dubbi, ed infatti crescono bene.

Nicola Campostori ha scritto 76 articoli: