Mentre il sole perenne avvolge il paese in una luminosità snervante, sulla tomba dell’eroe dell’indipendentismo islandese Jón Sigurðsson viene ritrovato il corpo nudo di una ragazza.

Ci sono davvero pochi indizi per i due poliziotti  Erlendur Sveinsson e Sigurður Óli: nessun abito o oggetto personale, solo una J tatuata sulla natica, ma l’eccessiva magrezza e il trucco pesante fanno pensare a una giovane tossicodipendente che si prostituiva per pagarsi le dosi.

Purtroppo per Erlendur la figlia Eva Lind è nello stesso giro, e riesce a scoprire che la ragazza si chiamava Birta: quella che però sembra una svolta nelle indagini in realtà non porta lontano, perché Birta sembra un fantasma, privo di un passato, di amici, o di una famiglia da ci scappare o dalla quale tornare.

Non sarà facile per i due poliziotti portare avanti una indagine che ruota attorno al mondo della tossicodipendenza, dietro al quale si muovono interessi più grandi e uomini il cui potere si estende anche alla vita di una ragazzina sbandata.

In silenzio si uccide è un noir sull’identità: quella che perduta e che fa soffrire la generazione di Erlendur, e quella non ancora trovata di una gioventù che non sa più chi è ma non sa ancora cosa vuole diventare.

Questo tema non costituisce solo lo sfondo per l’indagine, ma è la chiave di lettura che porta alla sua conclusione: l’Islanda che viene descritta da Indriðason in questa seconda indagine con protagonista  Erlendur Sveinsson, è una nazione che si sta lasciando alle spalle i valori e gli stili di vita tradizionali attratta dalle falene di una cosiddetta modernizzazione. Ed è un processo duro, nel quale interi villaggi vedono crollare la principale fonte di reddito – l’industria delle pesca –  si svuotano, perdono il collante sociale e con esso le proprie radici. Dietro questo processo c’è la mano oscura e anonima dei grandi speculatori, imprenditori con forti legami politici la cui fortuna ha però origini sulle quali non è sano interrogarsi.

Le vittime più fragili sono i giovani, generazione sradicata che disprezza il passato ma non vede il futuro, e che fin troppo facilmente pensa di trovare qualcosa – una qualsiasi cosa – in sostanze a buon mercato.

L’indagine si sviluppa in questi ambienti, muovendosi tra la città e i fiordi più remoti: è un’indagine difficile, sulla quale gravano la mancanza di indizi, il divario generazionale tra Erlendur Sveinsson e Sigurður Óli, il senso di colpa e di inadeguatezza di Erlendur per il suo fallimento come padre. I primi capitoli sembrano vicoli ciechi nei quali il lettore si blocca, ma quando l’inchiesta prende forma e si cominciano a intuire il movente e il contesto che ha portato alla morte di Birta si inizia ad avvertire un senso di oppressione, come se ci si trovasse di fronte a qualcosa di troppo grande per essere sconfitto e dove – alla fine – la morte di una tossica non è altro che un incidente di percorso.

E’ un libro amaro e disilluso, anche se alla fine ci si può attaccare a un elemento salvifico.

Non è questo probabilmente il miglior libro di Indriðason, che in questi anni ci ha regalato gioielli narrativi come La voce, La ragazza della nave, Sotto la città: purtroppo la pubblicazione in ordine non cronologico dei romanzi dedicati a Erlendur lascia al lettore la sensazione di un passo indietro sia stilistico  che nella costruzione della trama, quando in realtà il romanzo è stato scritto nel 1998 ed è quindi precedente alla maggior parte dei romanzi pubblicati in Italia. E’ però un romanzo che meglio di altri racconta l’Islanda in uno dei momenti di grande cambiamento, ed è un pregio da non sottovalutare soprattutto se si vuole approfondire la conoscenza di quello che – con tutte le ragioni – è da considerarsi il miglior autore di noir islandesi.

Arnaldur Indriðason è nato nel 1961 a Reykjavík, dove ha sempre vissuto. Si è dedicato alla scrittura, sia di romanzi sia di sceneggiature, dopo aver lavorato come giornalista e critico cinematografico per la maggior testata islandese, il Morgunblaðið. Tradotto in quaranta lingue, nel corso della sua lunghissima carriera di scrittore ha ottenuto numerosi riconoscimenti. In Italia sono stati pubblicati tutti i suoi romanzi.

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In silenzio si uccide. I casi dell'ispettore Erlendur Sveinsson (Vol. 14)
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Articolo protocollato da Marina Belli

Lettrice accanita, appassionata di rugby e musica, preferisco – salvo rare eccezioni – la compagnia degli animali a quella degli umani. Consumatrice di serie TV crime e Sci Fy, scrittrice fallita di romanzi rosa per eccesso di cinismo e omicidi. Cittadina per necessità, aspiro a una vita semplice in montagna o nelle Highland scozzesi (a condizione che ci sia una buona connessione).

Marina Belli ha scritto 135 articoli: