I delitti della gazza ladra – Anthony Horowitz
Nella collana Rizzoli Nero, è uscito di recente un romanzo che lo scrittore inglese Anthony Horowitz ha pubblicato nel suo paese nel 2016, “I delitti della gazza ladra”, tradotto in italiano da Francesca Campisi. Horowitz è conosciuto in Italia soprattutto per i suoi romanzi per ragazzi, tradotti a partire già dal 1998, soprattutto da Mondadori. Ha scritto inoltre diverse sceneggiature per serie televisive britanniche, tra le quali “Poirot” e “L’ispettore Barnaby”. In questo caso, invece, per la prima volta qui da noi, lo vediamo all’opera con uno dei pochi romanzi che ha dedicato a un pubblico adulto.
Tra gli avventori del Thriller Café, Horowitz piacerà soprattutto agli amanti del giallo classico. Questa sua opera è infatti variamente e riccamente colorita con numerose citazioni che si rifanno alle opere e ai personaggi di Agatha Christie e a Scherlock Holmes. L’atmosfera che domina il romanzo è inoltre tipicamente british, e a chi lo legge sembrerà di vedere una puntata de “L’ispettore Barnaby, con le sue atmosfere foggy e le ville di campagna in stile vittoriano. Questo è sicuramente uno dei punti meglio riusciti del romanzo e sarà difficile per i lettori non immaginare di essere nel Sussex, quando le descrizioni di Horowitz lo porteranno in quei luoghi con abili pennellate.
Tuttavia, l’ambientazione classica e lo stile consolidato non hanno impedito a Horowitz di introdurre innovazioni sul piano della struttura narrativa. La principale delle quali (che non è ovviamente un’innovazione in senso assoluto) ci viene consegnata dall’autore subito in apertura: il romanzo dentro il romanzo. La protagonista Susan Ryeland è infatti una editor della casa editrice Cloverleaf che si trova alle prese con la revisione di un giallo (“Appuntamento con la morte”) del suo autore di punta, Alan Conway. Si tratta dell’episodio più recente della celebre serie dell’investigatore Atticus Pund. Decisamente degno di nota è l’inizio del manoscritto di Conway che introduce i personaggi per mezzo di un funerale al quale assistono. Che si scoprirà poi essere il funerale della prima vittima.
Da qui in poi, il lettore sarà trascinato dunque nel romanzo dentro il romanzo, con un gioco di specchi e di continui rimandi tra realtà (letteraria) e finzione (nella finzione). Tra eventi del romanzo “primario” e eventi dell’opera di finzione. In un dedalo di continui colpi di scena e capovolgimenti, rispetto ai quali non possiamo ovviamente rivelare nulla. Si tratta, ci sia consentito dirlo, di un’idea interessante, che si presta a notevoli potenzialità, tutte tese a farci riflettere sul rapporto tra realtà e finzione, tra arte e vita. Su questo punto, letteratura e cinema si sono più volte sbizzarriti, con esiti talvolta veramente riusciti.
Vanno però segnalate anche alcune parti più difficoltose. L’intreccio del romanzo di Conway è estremamente complesso, forse esageratamente. Horowitz, amante dei rebus e dell’enigmistica, lo rende ancora più complesso con l’ulteriore intreccio dell’opera principale. Tra le due narrazioni, l’autore introduce inoltre una serie di rimandi, allusioni, enigmi, che la protagonista abilmente svela, ma che sicuramente non facilitano la fluidità della lettura, anche perché si tratta talvolta di rompicapi non certo semplici da decifrare, molto ingegnosi, forse troppo. Sullo sfondo, come già detto, il tema del rapporto tra realtà e finzione, tra ruolo dell’investigazione del detective nel romanzo e di tutti noi nella nostra vita quotidiana. Oltre a qualche riflessione molto interessante e centrata sulle tendenze “moderne” del mondo dell’editoria.
Tutti noi, che amiamo fermarci a bere qualcosa al bancone del Thriller Café, credo abbiamo varie volte immaginato di calarci nei panni del detective che svolge le indagini. Per questo ci piacciono i thriller. Horowitz ci fornisce un’ulteriore occasione per farlo in questo romanzo. Partendo dai classici e arricchendoli con qualche trucchetto, che l’arte gli consente di fare. E che lui ne “I delitti della gazza ladra” utilizza in gran quantità, forse anche troppa. Perché come lui fa dire a un personaggio nel romanzo: “La vita potrà anche imitare l’arte, ma solitamente non è mai all’altezza”.
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