Cécile è morta - Georges SimenonCécile est morte è il ventiduesimo romanzo dedicato a Maigret, scritto da Georges Simenon tra Nieul-sur-Mer e Fontenay-le-Comte, in Francia, nel dicembre del 1940. Fu pubblicato per la prima volta come feuilleton sul quotidiano “Paris-Soir”, dal 18 febbraio al 5 aprile 1941, in 45 puntate. Gallimard lo stampò in volume nel 1942, all’interno della raccolta Maigret revient.
In Italia, fu pubblicato solo nel 1960 da Mondadori, con il titolo Un’ombra su Maigret, nella collana “I romanzi di Simenon”. Il romanzo è stato pubblicato nel 2000 da Adelphi con il titolo Cécile è morta.

TRAMA

Da mesi, Maigret, arrivando al Quai des Orfèvres trova ad attenderlo Cécile Pardon. La ragazza timida e bruttina continua a ossessionarlo, lamentandosidi strane e ripetute visite notturne nella casa dove vive con l’anziana zia. Anche quella mattina, Maigret vede la ragazza ma la evita, nascondendosi nel suo ufficio. Cécile è diventata una specie di incubo per il commissario: tutti pensano che sia innamorata di lui e lo prendono in giro.
Quando finalmente Maigret decide di riceverla, gli viene riferito che la ragazza se ne è andata. Maigret è stupito: è la prima volta che Cécile se ne va prima di essere ricevuta. Il commissario preoccupato si reca a casa della ragazza, dove trova la vecchia zia morta strangolata. La sera stessa, il cadavere di Cécile viene ritrovato dentro uno sgabuzzino, tra la stazione di polizia e il Palazzo della Giustizia.
Maigret, oppresso dai sensi di colpa per non aver creduto alla ragazza, inizia ad indagare sul duplice omicidio. Nel corso delle indagini, si imbatte in Dandurand. Abita nello stesso stabile, proprio al piano di sotto dell’appartamento della zia uccisa. Si tratta di un personaggio losco, un avvocato radiato dall’albo che rivela al commissario i traffici della zia di Cécile, una donna molto ricca quanto avara.
Ricostruendo con pazienza i movimenti di Cécile e i rapporti tra sua zia e Dandurand, Maigret scoprirà che i due delitti sono legati al morboso attaccamento al denaro della defunta zia, ma soprattutto agli odi familiari profondi che…

i protagonisti del dramma familiare di Cécile è morta?

Abbiamo già accennato in altri articoli come Simenon, nonostante il successo, nel 1934, avesse deciso di mandare in pensione il suo commissario. Si tratta di un abbandono temporaneo. Pressato dal pubblico e dal suo nuovo editore Gallimard, Simenon è costretto a far ritornare sulle scene degli omicidi il suo Maigret. A parte una serie di racconti, la vera rinascita del commissario risale alla fine del 1939, con il romanzo Les caves du Majestic. Seguono il mediocre La Maison du juge e appunto Cécile est morte. I tre romanzi, però, furono pubblicati solo nel 1942, quando Gallimard li riunisce in un unico volume: Maigret revient.
Cécile est morte fu scritto nel 1940, in piena seconda guerra mondiale, mentre la Francia era occupata. Simenon produsse meno romanzi in questo periodo, ma alcuni di essi possono esser annoverati tra i suoi capolavori, basti pensare a La Fuite de Monsieur Monde e a La Vérité sur Bébé Donge (La verità su Bebé Donge). Cécile est morte è uno di questi capolavori e uno dei migliori Maigret.
Cécile est morte è un ottimo giallo da tutti i punti di vista. Ha una buona trama con un bel colpo di scena finale, che risolve il mistero del duplice omicidio; una bella ambientazione in una Parigi invernale, nebbiosa e un po’ cupa; i personaggi sono tutti ben caratterizzati.
Simenon descrive la Parigi dei bassifondi, povera e malinconica, abitata da personaggi che sembrano uscire da qualche capolavoro di Balzac. Infatti, anche se zia Juliette è molto ricca, vive in un sobborgo popolare come una poveraccia: è avara e ama possedere i soldi invece che spenderli.
In Cécile est morte, Simenon riesce a creare una serie di personaggi indimenticabili, primo fra tutti Charles Dandurand, un uomo odioso e perverso. Dandurand è un ex-avvocato, radiato dall’albo per essere stato”condannato per oltraggio al pudore”, che, insieme alla zia Juliette, investe denaro in case di prostituzione. È da notare come la descrizione che Simenon offre di questo personaggio è talmente visiva che, quando l’ho letta, l’ho subito associato ad un altro personaggio famoso: il maniaco interpretato da Peter Lorre, nel famosissimo film M – Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang. Il film è del 1931 e Fritz Lang era un regista molto amato dal giovane Simenon, ed è probabile che lo scrittore lo abbia visto e ne sia stato influenzato. Al di là che questo possa essere accaduto o meno, resta intatto il potere evocativo della penna di Simenon:

… un personaggio scialbo e ripugnante, uno di quelli che si vedono camminare rasente ai muri per tutta la giornata, con lo sguardo sfuggente, e che ritrovano un po’ di spirito e vivacità solo al momento di inseguire in mezzo alla folla una eventuale preda.
L’ex avvocato era stato segnalato nei dintorni della Porte Saint-Martin, del boulevard Sébastopol, della Bastiglia. Era uno di quelli che aspettano nell’ombra all’uscita delle botteghe e dei grandi magazzini, e il più delle volte finiscono per infilarsi a schiena curva nell’ingresso fiocamente illuminato di una casa di malaffare.

Charles Dandurand possiede anche una collezione di fotografie porno e invita le giovani ragazze dello stabile a vederle, per poi fare loro delle proposte. Persino Maigret non ne sopporta la vista e l’odore:

Maigret si strinse ancora di più nel suo cappotto pesante, come per mettersi al riparo da ogni contatto.
Non si era nemmeno tolto il cappello. Lui che, malgrado l’aria burbera, provava tanta indulgenza per la maggior parte delle debolezze umane, davanti a certi individui si sentiva ribollire il sangue; la loro vicinanza gli provocava un malessere fisico. Il signor Dandurand era uno di quelli …
Decisamente il commissario non riusciva ad abituarsi a quell’odore stantio di vecchio scapolo. L’atmosfera che regnava in casa di Dandurand gli causava una repulsione non meno fisica che morale e perciò fumava a grandi boccate dense …

In ogni modo, anche i personaggi minori brillano di luce propria, come la vecchia e pettegola portiera, che continua a ripetere la frase “con tutto il rispetto”, tanto che così viene anche chiamata: “la signora Con-Tutto-Il-Rispetto”. Altro personaggio minore è la giovane e sfrontata Nouchi, che cerca in tutti i modi di sedurre Maigret, rendendolo spesso nervoso:

Fu Maigret che andò ad aprire la porta, dietro alla quale aveva scorto il volto della giovane ungherese, i grandi occhi scuri, la bocca color rosso sangue.
«Desidera qualcosa?» le chiese il commissario.
E lei, per nulla intimidita: «Volevo vederla… Mi hanno detto che il famoso commissario Maigret…».
Lo guardava dritto negli occhi. Era magra, senza fianchi, ma aveva seni molto sviluppati e a punta, messi in evidenza da una camicetta troppo stretta.

Si tratta di una galleria di personaggi veri, appartenenti alla vita quotidiana di tutti giorni, descritti dallo scrittore con pochi ma intensi tratti pittorici. La stessa Cécile è descritta, come se Simenon stesse dipingendo un quadro impressionista:

… ventott’anni appena. Ma era difficile immaginare una donna che avesse un’aria più da zitella di lei, che fosse meno aggraziata, malgrado tutta la buona volontà che ci metteva per rendersi attraente. Quei vestiti neri che sicuramente si confezionava da sé usando pessimi modelli…
Quel ridicolo cappello verde sotto il quale era impossibile scorgere alcuna grazia femminile… Un volto pallidissimo e, come se tutto ciò non bastasse, un leggero strabismo…

Alla fine del romanzo, si ha la sensazione di aver avuto la possibilità di entrare dentro una casa chiusa a chiave e di spiare il dramma famigliare che vi si svolge. E un po’ come nei quadri fiamminghi, in cui il primo piano della tela, che rappresenta un ambiente domestico, si apre in altre stanze, tramite porte o finestre, moltiplicando l’apertura spaziale in una specie di gioco illusionistico. Allo stesso modo, Simenon, scoperta dopo scoperta, ci porge delle chiavi per entrare in nuove stanze e scoprire nuovi terribili segreti di questa famiglia.

Simenon/Maigret al cinema

Ad un certo punto del romanzo, Maigret sta camminando per le strade di Parigi senza metà, sconfortato per i mediocri risultati delle indagini e con l’animo cupo per quanto accaduto a Cécile. Si ferma davanti ad un cinema e decide di entrarvi, senza neanche guardare che film stiano proiettando. Si tratta di un episodio molto curioso che potrebbe benissimo essere eliminato, senza pesare nell’economia della trama (tanto che nello sceneggiato RAI Un’ombra su Maigret, con Gino Cervi, non fu mai girato). Eppure esso ha una sua importanza, soprattutto se si pensa che Maigret va molto raramente al cinema e di solito solo per accompagnare la povera moglie annoiata.
Cécile est morte fu scritto alla fine del 1940. Nell’ottobre dello stesso anno fu fondata a Parigi, con l’appoggio di due importanti case di produzione cinematografiche tedesche, la Tobis e l’Ufa, la Continental. Quest’ultima divenne la casa cinematografica che realizzò il maggior numero di film tratti dalle opere di Simenon. Lo scrittore belga cedette i diritti per “Les inconnus dans la maison” il 28 febbraio 1941 e, un anno dopo accettò cinquecentomila franchi per l’esclusiva del personaggio di Maigret (Cfr. Simenon e il cinema: un rapporto difficile, in Georges Simenon … mon petit cinéma, a cura di Angelo Signorelli Emanuela Martini Arturo Invernici, Bergamo Film Meeting 2003, pp. 141-142). Nel 1944, lo stesso Cécile est morte diventò un film per la regia di Maurice Tourneur. Il collegamento traCécile est morte e il cinema è ancora più stretto se leggiamo questo brano, tratto da una lettera scritta, nel 1949, da Simenon a Maurice Garçon:

“…verso il mese di dicembre 1940, un signore di cui ho dimenticato il nome, venne a propormi l’acquisto dei diritti cinematografici del mio romanzo pubblicato prima della guerra, “Les Inconnus dans la maison” per conto di una società, la “Continental” e vi posso assicurare che in quel momento non sapevo assolutamente che si trattasse di una società creata dai tedeschi…”.

(Citazione tratta dall’articolo di Maurizio Testa, SIMENON. AUTODIFESA: NESSUN FILO-NAZISMO NEI MIEI “AFFARI” CON LA CONTINENTAL-FILMS)

Quindi, nello stesso mese in cui stava scrivendo Cécile est morte, Simenon veniva contattato per l’acquisto dei diritti cinematografici di un suo libro. Non è difficile collegare i due avvenimenti, ed è evidente che lo stesso accadde nella mente di Simenon, che decise di dedicare alcune pagine del suo nuovo romanzo alla settima arte. Ciò che colpisce, leggendo queste pagine, è che pare che la sala cinematografica non serva per vedere un film. Entrare nella sala cinematografica e sedersi comodo, avvolto da un «un bel caldo», consente a Maigret di rilassarsi e cogliere associazioni bizzarre, che “la pura ragione non avrebbe mai battuto…”, di ripensare a tutta l’indagine da un diverso punto di vista.

… e se le luci si fossero improvvisamente accese, infagottato com’era nel suo cappotto, con le mani nelle tasche, il corpo appoggiato un po’ all’indietro e gli occhi socchiusi, avrebbe potuto passare per l’incarnazione stessa della beatitudine.
In realtà era un trucco, un giochetto che usava con se stesso quando ne aveva abbastanza di pensare a una cosa sola e sentiva che la sua mente era sul punto di girare a vuoto. D’estate si sarebbe seduto al sole, in un caffè all’aperto, avrebbe chiuso gli occhi e si sarebbe lasciato cuocere a fuoco lento davanti a una birra.

Vicino a Maigret, inoltre, è seduta una coppia che pare anch’essa essere tutt’altro che interessata al film:

Poi, avvertendo un leggero movimento vicino a sé, abbassò lo sguardo…
Quell’uomo grande e grosso che da quasi trent’anni aveva a che fare con passioni spinte fino all’estremo, cioè fino al delitto, era un uomo casto, e tossì scandalizzato dall’atteggiamento della vicina e del suo compagno del quale, nella semioscurità, intravedeva solo la mano lattiginosa. Eppure, quando poco prima si era seduto sul suo cappotto, la signorina gli era sembrata giovanissima. Adesso se ne stava lì immobile a fissare lo schermo, col volto biancastro come la mano dell’uomo, come il pezzo di coscia che quello le scopriva…
«Ehm! …Ehm!» fece il commissario, imbarazzato.

Queste pagine ricordano molto da vicino quelle del romanzo autobiografico Pedigree, che Simenon, guarda caso, iniziò a scrivere proprio nel dicembre del 1940 e che terminò solo nel gennaio del 1943.

L’atmosfera del cinema, l’oscurità traversata da un fascio di luce bianca, le immagini che si agitano sulla tela, i ritornelli del pianoforte, la folla invisibile e calda che sente intorno a sé gli danno sempre una specie di febbre. Tutti i suoi desideri, i suoi orgogli si acuiscono, si moltiplicano per dieci o per cento, vorrebbe vivere cento vite in una volta e quella brama insaziabile finisce col tradursi in sguardi furtivi e ansiosi verso i palchi. Sa che cosa succede là dentro, certi compagni di scuola glielo hanno raccontato: e poi basta passarci vicino, come per cercare un posto, e si intravedono coppie stranamente avvinte, gonne tirate su e mani che sconfinano.

(Georges Simenon, Pedigree, Adelphi, 1987)

Leggendo queste pagine, dunque, potrebbe sembrare che Simenon amasse ben poco il cinema. Effettivamente lo scrittore, fin dall’inizio della sua carriera, ebbe rapporti piuttosto complicati con il mondo del cinema: ben poche trasposizioni cinematografiche avevano rispettato il testo dei suoi romanzi. Per questo, durante le interviste, ripeté spesso che evitava di andare al cinema a vedere i film tratti dai suoi romanzi.

Robert Sadoul: Andate a vedere i film tratti dai vostri romanzi?
Simenon: Mai. Ne ho visto uno o due, qualche volta, ma ciò mi ha scoraggiato.
R.S.: Non vi occupate dei dialoghi o dei montaggi?
G.S.: Non voglio assolutamente occuparmi di cinema, se non per mettere la mia firma sul contratto, per la buona ragione che non voglio avere attacchi di ulcera. Quando scrivo un romanzo sono solo nel mio studio. Non c’è nessuno a dirmi: bisogna cambiare qui, bisogna cambiare là, questo deve essere detto in questo o quel modo, ecc. Inoltre il cinema mette in gioco enormi capitali ed un gran numero di persone che sono continuamente accanto a voi per farvi modificare quello che avete scritto. Dopo sei mesi arriva fatalmente l’ulcera o qualche cosa di simile.

(Intervista a Simenon, citata in George Simenon un uomo non come un altro – mostra di immagini ed opere dalla collezione Romolo Ansaldi 3 aprile – 9 maggio 2008, a cura di Andreina Del vecchio e Pietro Guella, Comune di Genova, p. 71)

Ciò non significa, però che Simenon non amasse andare al cinema a vedere i film in genere. Negli primi anni parigini,infatti, Simenon frequentava spesso le sale cinematografiche insieme con la moglie Tigy. Entrambi preferivano i piccoli cinema della periferia.

Una volta alla settimana andavamo al cinema, non in città, come solevamo definire la zona dei Grands Boulevards e degli Champs-Elysées, ma al cinema Saint-Paul: quello del quartiere, dove potevamo riconoscere i volti intravisti per strada durante il giorno. Nell’intervallo fra i due film andavamo a bere un bicchiere al bar vicino, in attesa del campanello che annunciava la ripresa dello spettacolo.

(Georges Simenon, Un uomo come un altro, Mondadori, 1981, p. 111)

Simenon stesso, in un’intervista rilasciata al Festival di Cannes del 1960, dichiarò quanto amasse il cinema:

«E questo, è un flirt col cinema? Cosa fa qui, nella giuria di Cannes? ».
«Oh, è tutt’altro che una passione nuova: è un amore di sempre. Quando incominciavano a uscire i primi film, io ero già là pronto, ad aspettare. E al cinema ci sono sempre andato moltissimo; e mi è piaciuto sempre. Ma adesso da casa mia al cinema più vicino, in California, ci sono quarantacinque miglia; e non sono troppi oggi i film che meritano un viaggio simile: no? A me piacciono soprattutto i grandi film stranieri, francesi, giapponesi, italiani…

(Intervista a George Simenon, Simenon dal barbiere, in Alberto Arbasino, Parigi o cara, Adelphi 1995,p. 216)

Il metodo Maigret

Quasi tutta la prima serie dei Maigret, scritta tra il 1929 e il 1933, fu ambientata da Simenon tra canali, chiuse e porti, mentre Parigi e la centrale di polizia di Quai des Orfèvres rimangono sempre sullo sfondo. Era questo il periodo in cui Simenon navigava con la moglie per i canali interni della Francia e dei paesi confinanti. Dopo il successo strepitoso di questa prima serie, però, il capo del Dipartimento di investigazione criminale di Parigi, Xavier Guichard, invitò Simenon a visitare i suoi uffici, così che non continuasse più a riempire i suoi libri di errori sull’organizzazione e le tecniche della polizia. Simenon ottenne persino il permesso di muoversi liberamente all’interno degli uffici del Quai des Orfèvres, e di essere presente agli interrogatori degli indiziati.
In Cécile est morte, l’omicidio di Cécile avviene in uno sgabuzzino delle scope, che si trova in un luogo ben preciso, conosciuto solo da chi frequenta e lavora presso il Quai des Orfèvres, cui si accede tramite una porta a vetri.

Da almeno dieci anni si parlava di chiuderla, ma non ci si decideva per ragioni di ordine pratico. Quella porta, in effetti, permetteva di passare direttamente dagli uffici della Polizia al Palazzo di Giustizia e al Casellario giudiziario. Era un po’ come andare dietro le quinte di un teatro: scale strette, corridoi tortuosi… Quando c’era da portare un imputato in Pretura…
A destra, c’era la scala che conduceva ai sottotetti, dove si trovavano i laboratori della Scientifica… Più oltre, una porta con i vetri smerigliati al di là della quale si udiva il brusio del Palazzo di Giustizia, degli avvocati che andavano e venivano, dei curiosi, della folla che seguiva le udienze penali e i processi in Corte d’Assise…
Davanti a una porta più stretta, ricavata, chissà perché, direttamente nel muro, un ispettore fumava una sigaretta, che spense subito quando vide i due uomini.

Lo scrittore descrive inoltre un tipico interrogatorio della polizia, che dura senza tregua dalle ventiquattro alle quarantotto ore. Simenon, già prima di essere invitato da Xavier Guichard al Quai des Orfèvres, conosceva alcune delle tecniche della polizia. Abbiamo già accennato in Maigret e l’osteria dei due soldi, come Simenon tra il 1920 e il 1921 avesse frequentato una serie di lezioni sulla nuova scienza forense presso l’Università di Liegi. Ma la visita ufficiale ai locali del Quai des Orfèvres offre, al romanziere ormai affermato,nuovi spunti e maggiore sicurezza.
Tutte queste nuove conoscenze servono a dare maggiore credibilità alla storia, ma non modificano la tecnica investigativa del commissario Maigret. Simenon, anzi, è talmente convinto che una delle ragioni principali del successo del suo commissario sia proprio la sua tecnica che, in Cécile est morte, affianca a Maigret un criminologo americano, Spencer Oats, venuto sino a Parigi per poter studiare il suo metodo. E Maigret non lo delude, spiegandogli che lui le cose le sente, le intuisce più che scoprirle.

«È vero… Parlo in modo vago quasi quanto la Boynet… A capire che cosa, in effetti? … Dovrei dire a sentire… Dev’essere deluso, lei che sperava di studiare i miei metodi, come diceva stamattina… La faccio sguazzare nella pioggia… La porto in un banalissimo municipio, poi le faccio mangiare del pollo al vino…
Cosa vuole che le spieghi? … Io le cose le sento… Dandurand esce di prigione e viene a vivere a Parigi, in un appartamento ammobiliato… Ritrova Juliette che non è ancora vedova… Che tipo è il marito? … Di lui abbiamo solo qualche foto… Un uomo di quarantacinque anni, grande e grosso, insignificante… Juliette e Dandurand riannodano la loro vecchia relazione… Probabilmente si incontrano nell’alloggio dell’ex avvocato, in rue Delambre… Il marito muore e Dandurand non tarda a trasferirsi nello stesso palazzo dell’amante, che continua a vedere solo di nascosto…».

La psicologia criminale secondo Maigret

Uno dei punti nodali dell’arte di Simenon si basa sul tema del passaggio della linea, ci cui abbiamo ampiamente disertato in Maigret e l’osteria dei due soldi e in La Vérité sur Bébé Donge. Il protagonista dei romanzi di Simenon, ad un certo punto della sua vita squallida e monotona, si trova costretto a “compiere degli atti che non avrebbe mai e poi mai commesso … si può diventare eroe o assassino … potrebbe capitare anche a Maigret, anzi è proprio perché Maigret lo sa che guarda gli assassini con un occhio … certo non benevolo ma, tuttavia, con una certa comprensione …” (tratto da intervista a Simenon della RAI del 1963). Anche in Cécile est morte abbiamo alcuni personaggi, dei mediocri nella vita, privi anche di qualsiasi aspettativa futura, che si trovano a compiere in un momento di rabbia o passione un atto estremo come il delitto.
Nel romanzo, Maigret spiega benissimo questo concetto a Spencer Oats, criminologo dell’Institute of Criminology of Philadelphia.

«Perché un uomo commette un delitto, signor Spencer? Per gelosia, per avidità, per odio, per invidia, più raramente per bisogno… In poche parole, spinto da una qualunque delle passioni umane… Ora, queste passioni le abbiamo tutti dentro di noi in modo più o meno violento… Io odio il mio vicino che le sere d’estate immancabilmente apre la finestra e si mette a suonare il corno da caccia…
Probabilmente non lo ucciderò… Tuttavia, non più tardi di un mese fa, uno che aveva vissuto nelle colonie, e che le febbri malariche avevano reso meno paziente di me, ha sparato un colpo di pistola al vicino del piano di sopra, che camminava per casa tutta la notte picchiando sul pavimento con la sua gamba di legno…».

Senza tanta retorica, Simenon/Maigret ci spiega la sua filosofia sul destino di solitudine e violenza che spesso attende l’uomo anche più buono al varco. I suoi personaggi si trovano spesso in situazioni senza scampo, se non nel crimine o nella morte. E questa banale storia, del vicino che ci disturba con i suoi rumori molesti e che finisce in tragedia,non ci ricorda forse una delle tante notizie trasmesse quotidianamente dai nostri telegiornali?

fortuna televisiva e cinematografica

Dal romanzo Cécile est morte fu tratto lo sceneggiato Un’ombra su Maigret, che fu trasmesso dalla RAI per la prima volta in tre puntate il 27/12/1964 e il 1 e il 3/1/1965. Si trattava del primo episodio della prima serie Le inchieste del commissario Maigret.
Iniziò così la collaborazione tra il regista Mario Landi, l’attore Gino Cervi e lo sceneggiatore Diego fabbri.
Gli interpreti sono tutti strepitosi e Gino Cervi, fin da queste prime puntate, caratterizza magistralmente il personaggio del commissario. L’attore compare subito nella sigla, con la sua pipa e il cappello, mentre sale sulla mitica torre Eiffel. A parte la sigla e alcune scene di raccordo (Gino Cervi che compra della frutta o che prende un taxi, con la torre Eiffel sullo sfondo, e un’inquadratura di una celebre insegna liberty della metropolitana), che non hanno nulla a che fare con la trama, lo sceneggiato è quasi completamente girato in interni. Si tratta, comunque, di uno dei migliori sceneggiati della serie in assoluto. Gli sceneggiatori hanno seguito molto fedelmente il testo del romanzo, a parte la già accennata eliminazione dell’episodio del cinema (inutile nell’economia della trama e forse anche troppo scabroso per la RAI degli anni sessanta) e quello del funerale di Juliette Boynet. Quest’ultimo episodio, che avrebbe dovuto essere girato in esterni, fu probabilmente eliminato per problemi di costi.
Il romanzo ebbe anche due versioni cinematografiche:
Cécile est morte del 1944, per la regia di Maurice Tourneur con Albert Préjean nel ruolo di Maigret. Il film fu prodotto dalla Continental e non è mai stato distribuito in Italia.
Maigret dirige l’inchiesta del 1956, per la regia di Stany Cordier, con Maurice Manson nel ruolo del commissario Maigret. Gli ispettori Janvier e Lucas, durante un appostamento, ricordano tre casi risolti dal commissario Maigret, partendo proprio dall’assassinio di Cécile Pardon. Le altre opere raccontate nel film sono Maigret e la spilungona e Nessuno ammazza un poveraccio.

I brani del romanzo sono stati tratti da Georges Simenon, Cécile è morta, Adelphi, 2000

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Cécile è morta
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Cécile è morta
  • Simenon, Georges (Autore)

Articolo protocollato da Alessandro Bullo

Alessandro Bullo è nato a Venezia. Si è laureato in lettere con indirizzo artistico, mantenendosi con mestieri occasionali; dopo la laurea ha lavorato per alcuni anni presso i Beni Culturali e poi per la Questura di Venezia. Successivamente ha vissuto per quasi dieci anni a Desenzano del Garda per necessità di lavoro. Attualmente vive a Venezia e lavora come responsabile informatico per un’importante ditta italiana. Sue passioni: Venezia, il cinema noir, leggere, scrivere. Autori preferiti: Dino Buzzati, Charles Bukovski, Henry Miller. Registi preferiti: Elia Kazan e Alfred Joseph Hitchcock. È arrivato per due volte in finale al premio Tedeschi e una al premio Urania. Nel 2012 con “La laguna degli specchi” (pubblicato sotto lo pseudonimo Drosan Lulob) è stato tra i vincitori del concorso “Io scrittore”.

Alessandro Bullo ha scritto 66 articoli: