Se qualcuno mi chiedesse quale mestiere ritengo il più coraggioso di tutti, non avrei esitazioni a rispondere: lo scrittore. Da un po’ di tempo mi assilla questo pensiero, e più leggo e più mi convinco che nell’atto di scrivere, di inventare e narrare, parlare di se stessi è praticamente inevitabile. Raccontare non è dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire, bensì mettersi a nudo, lasciar trapelare le proprie paure, ambizioni, insicurezze e rancori più intimi, quello che forse non si ammetterebbe fino in fondo nemmeno davanti a uno specchio, e per ottenere ciò, a mio avviso, sono necessari un fegato e una temerarietà particolari che nessun corso propedeutico o addestramento preliminare può infondere.

Avete presente Clarice Starling (alias Jodie Foster), agente novizia dell’FBI che per risolvere un’indagine chiede aiuto all’ex psichiatra criminale detenuto Hannibal Lecter (alias Anthony Hopkins) in quel film capolavoro che è Il silenzio degli innocenti? In cambio di collaborazione, l’agente è costretta a confessare al condannato i propri traumi più reconditi. Ecco, secondo me la scrittura è qualcosa del genere, uno scambio salvifico in virtù del legame vincolante che si instaura tra lo scrittore e la storia che scrive. Una sorta di baratto, un do ut des che probabilmente sta alla base di questa straordinaria, meravigliosa arte.

Il preambolo di oggi serve a introdurre il romanzo che, personalmente, ha dato un’ulteriore conferma della sinonimia tra il racconto e l’autobiografia, ovvero Ballata per Nina, firmato Lorenza Ghinelli. Nata a Cesena nel 1981, diplomata in tecniche della narrazione alla Scuola Holden di Torino, scrittrice e sceneggiatrice televisiva e teatrale, la Ghinelli esce in libreria con il terzo e conclusivo capitolo, dopo Tracce dal silenzio e Bunny boy, la cui protagonista è, appunto, Nina, una ragazzina oramai quattordicenne, sorda dall’età di dieci anni a causa di un incidente. La sordità che la affligge, tuttavia, è in qualche modo compensata da una capacità molto particolare: Nina riesce infatti a percepire una realtà sottostante, elusiva, invisibile agli occhi degli altri, alla quale lei pare avere esclusivo accesso. Ambientata in una città reclusa dal lockdown, la vicenda vede Nina seguire una creatura misteriosa, dagli occhi viola, che la conduce in vari luoghi e al termine di ciascuno di essi le fa trovare un ossicino spezzato. Si tratta di luoghi in cui sono accaduti fatti drammatici che hanno portato morte o danni permanenti alle vittime, derubricati però dalle autorità in eventi di cronaca come tanti, senza alcun nesso tra loro. Nina ha due genitori distanti e distratti dai propri problemi di coppia e, in un’atmosfera sospesa e inquietante, si isola anche dal fratello maggiore Alfredo. L’unico che sembra far breccia nel suo guscio è Leonardo, un ragazzo di quindici anni in affido con una tragica storia familiare nel proprio passato.

Lorenza Ghinelli ha avuto trascorsi come educatrice sociale e tale esperienza gioca sicuramente un ruolo rilevante nella sua tecnica narrativa, molto dettagliata e carica di eccellenti sfumature descrittive. Al centro del romanzo ci sono i bambini, gli adolescenti, e la profonda incisività dei traumi infantili che aprono ferite indelebili. Squarci in grado di forgiare adulti forti oppure di inabissare nelle tenebre, plasmate a immagine e somiglianza di un male che non ha alcuna velleità se non quella di esistere, di diffondersi, di essere perpetrato in quanto elemento ancestralmente insito nella natura umana.

Ma come spesso accade, la salvezza risiede in noi stessi, e i ragazzi scopriranno che solo con il coraggio e la fiducia nel prossimo e in se stessi, il male può essere sconfitto. E non sono forse l’infanzia e l’adolescenza i momenti in cui è più facile impiantare il seme della speranza? Perché come diceva Maria Montessori, i bambini redimeranno l’umanità in quanto grazie a essi sorge il mondo del futuro.

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Articolo protocollato da Damiano Del Dotto

Mi chiamo Damiano, abito a Pistoia, sono sposato con Barbara e sono più vicino ai 50 anni che ai 40. Poche cose colloco nella memoria come il momento temporale e il libro che in qualche modo mi ha cambiato la vita e mi ha infuso la gioia della lettura: avevo 11 anni, frequentavo la prima media e il romanzo è IT di Stephen King. Da allora non posso fare a meno di questa passione viscerale che mi accompagna quotidianamente. Si sente spesso dire che siamo la somma delle nostre esperienze. Allo stesso modo credo che l'amore che provo per la vita sia la somma dei libri che leggo.

Damiano Del Dotto ha scritto 47 articoli: