Verità occulte – Kristina Ohlsson
Kristina Ohlsson è una scrittrice di origini svedesi, autrice di romanzi per ragazzi (la trilogia dei bambini di cristallo), oltre che di romanzi noir tramite i quali, secondo rigorosa tradizione scandinava, ella si dedica ad un’analisi sociologica della realtà circostante, senza ovviamente trascurare i punti dolenti dell’attualità; non a caso, prima di diventare autrice affermata, con traduzioni internazionali, è stata una pubblica funzionaria per l’OSCE e per il Ministero degli esteri.
Si ricorda qui che la tradizione letteraria svedese, danese e norvegese vede attualmente privilegiare una tecnica descrittiva avente ad oggetto narrazioni realiste e socialmente impegnate; l’unica deriva artistica o comunque di poetica che tali autori si concedono è l’ambientazione fredda, per certi versi fuori dal tempo, che in punto di attrattività suscita l’interesse dei lettori di tutto il mondo (al lettore di provenienza mediterranea sembra effettivamente di fare l’ingresso in un altro universo).
La Ohlsson è ora acclamata dalla critica (il Telegraph, il Sunday Times, il Los Angeles Times Magazine, Booklist e Huffpost) con particolare riferimento ai suoi thriller, paragonata a Jo Nesbø (il cui ultimo lavoro è Gelosia, un’interessante raccolta di racconti) e ad altri celebri autori suoi conterranei.
Da ultimo la scrittrice sta impostando la serie di libri dedicata al personaggio dell’avvocato Martin Benner, ora in Italia con la seconda uscita dal titolo Verità occulte; la precedente indagine ha visto Benner impegnato a ricostruire la vicenda di una donna omicida-suicida, Sara (tale nefasta avventura termina nientemeno che in Texas).
L’episodio riemerge durante la narrazione del secondo capitolo: anche soltanto in punto di continuità, la Ohlsson in maniera puntuale richiama le dramatis personae nei ricordi del protagonista.
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Questa volta Benner è alla ricerca di un minorenne (quattro anni) scomparso nel nulla, un bambino di nome Mio; nel mentre, l’avvocato non ha strada facile, dal momento che è sospettato di un evento passato – del quale non è l’artefice – e ossessionato da ricordi, anche d’infanzia.
L’angoscia per un piccolo essere umano, che potrebbe anche aver subito una drastica sorte, pervade tutta la struttura del libro. Essendo Martin un legale e un investigatore, egli si interfaccia con personaggi dal bagaglio variegato, e ciò inevitabilmente lo porta a ricordare le sue esperienze giovanili, ricordi (presenti all’inizio di numerosi capitoli) poco proustiani di un’infanzia all’insegna della sofferenza e dell’ombra. Vero è che in questo genere di trattazioni tale modalità cromatica è, più che abusata, ingiustificata, nel senso che la ricerca del dolore diviene quasi gratuita, una vera e propria scelta di campo, anche perché in via esperienziale tanto le persone reali (ad esempio gli scrittori) quanto i personaggi di fantasia possono crogiolarsi per un determinato periodo di tempo nell’alterità esistenziale, ma è difficile ipotizzare che trovino piacevole, a lungo andare, tale status.
Quel che è certo è che Benner prosegue la propria ricerca e la propria indagine in un percorso accidentato, fatto di anaffettività e sapiente sarcasmo. È legato a una donna di nome Lucy, con la quale sembra più che altro condividere un’unione di solitudini. Martin è terrorizzato dall’idea di perderla, eppure i due sembrano provare attrazione l’uno per l’altra, più che affetto.
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Dal punto di vista della struttura, il romanzo Verità occulte è composto da un preludio e cinque macro-parti (per 391 pagine); la narrazione è intervallata dalle interviste che l’avvocato Benner rilascia a Karen Viking, giornalista freelance di Stoccolma. Tali dialoghi sono presenti anche in incipit al fine di creare tensione e curiosità, e nell’explicit sono più distesi, costituendo dunque una sorta di confronto intellettuale e risolutivo a fini di trama (divertente il riferimento a Woody Allen, Quentin Tarantino e al concetto di commedia da camera, cfr. p. 271: si può certamente affermare che l’ironia descrive la società in maniera efficace, rispetto al dramma e al giallo. Del resto, è sempre una questione di punti di vista e modalità di osservazione, come afferma anche lo stesso protagonista).
Una narrazione che avrebbe dunque meritato maggiore compattezza (un poliziesco breve sarebbe stato più che sufficiente), ma comunque riuscita e dai toni narrativi e morali piuttosto vividi. È presente un significativo colpo di scena in chiusura, che ricorda per certi versi una tecnica precedentemente adottata dallo statunitense Michael Connelly. Interessante l’impostazione di luoghi e dettagli, iperrealista e urbana, costruita attorno al valore simbolico degli oggetti di uso comune, valore che diviene progressivamente sempre più soverchiante. Molto curata l’edizione italiana Salani per impostazione grafica e di traduzione.
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