Un balzo all’indietro di un secolo e più per la recensione di oggi dedicata a uno dei romanzi capostipiti del giallo, Uno studio in rosso di sir Arthur Conan Doyle, il libro che segna la nascita dell’immortale Sherlock Holmes.

Titolo: Uno studio in rosso
Autore: Arthur Conan Doyle
Editore: Barbera
Anno di pubblicazione: 2008
Pagine: 174

Ci sono opere che, con il passare del tempo e l’aumentare del credito e degli appassionati, assumono un valore tanto ideale quanto sentimentale, oltre che letterario in senso stretto. La prima avventura di Sherlock Holmes è una di queste: leggere le presentazioni di un giovane Watson e assistere al primo incontro con il detective e alla risoluzione del primo caso produce una viva impressione non solo sugli appassionati sherlockiani e non solo alla prima lettura.
Il dottor Watson si trova, dopo una serie di ristrettezze che hanno seguito il suo congedo dall’esercito e la sua convalescenza, alla ricerca di un coinquilino con cui dividere le onerose spese di un alloggio. Il benemerito Stamford, suo amico e studente di medicina, gli parla di un conoscente che ha la stessa esigenza, e presenta il giovane Holmes al dottore. I due si trovano ben presto sotto lo stesso tetto e a una serena convivenza segue l’inizio di una conoscenza più approfondita che viene subito accompagnata dall’azione, quando Holmes viene interpellato da due ispettori di Scotland Yard riguardo un caso di omicidio. Il resto, come si dice, è storia.
“Uno studio in rosso” è un romanzo che tiene vivo l’interesse non solo in virtù dell’indagine, che viene risolta già nella prima parte ma spiegata solo nella terza, ma anche grazie al personaggio inimitabile che viene qui presentato: si intuisce già l’intenzione dell’autore di fare di “Uno studio in rosso” un preludio a opere successive. Un altro motivo di interesse è la costruzione articolata, con un’ampia digressione che occupa l’intera seconda parte: ha la funzione di antefatto al delitto, ma grazie al brusco salto geografico e temporale ottiene un effetto suggestivo e costituisce un’eccezione alla (futura) regola. Infatti, nonostante il cronista debba essere sempre Watson, in questa seconda parte si fa strada un narratore onnisciente che descrive alla perfezione panorami e stati d’animo, consentendoci di apprezzare le capacità descrittive di Conan Doyle e regalandoci un colpo di scena di forte impatto degno di un moderno thriller.
“Uno studio in rosso” è una tappa imprescindibile per gli sherlockiani; me è anche una lettura estremamente piacevole per gli amanti delle storie “vecchia maniera”, gialle o meno, una narrazione “tradizionale” condotta con maestria ed eleganza.

Giulia Abbate

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