Oggi al Thriller Café recensiamo Torniamo come ombre, un romanzo dello scrittore messicano Paco Ignacio Taibo II. Il libro ha avuto una lunga gestazione, dal 1985 al 2001, e solo oggi vede la luce in Italia grazie ai tipi de La Nuova Frontiera.

Siamo in Messico, nel 1941. Tutti i giorni Pioquinto Manterola, un giornalista calvo di mezza età, va a sputare sulla svastica dell’ambasciata tedesca di Città del Messico. Il giornalista viene abbordato da due scrittori tedeschi e da un rabbino, che gli raccontano una storia incredibile: dietro all’ascesa del nazismo e al potere di Adolf Hitler ci sarebbe un complotto esoterico, riti magici compiuti con l’aiuto di simboli sacri come la lancia di Longino, il pennacchio di Montezuma e lo scettro di Carlo Magno. Non solo: sembra che Hitler, per resistere allo stress della guerra, faccia ricorso a un estratto di caffè messicano iniettato in vena.

Nel frattempo, nell’inferno verde del Chiapas, Tomàs Wong, a bordo di un bulldozer, si accanisce contro i giganteschi alberi della foresta, come se si trattasse di una questione personale. Sta aprendo un varco alla strada Panamericana. Alle sue spalle, un passato avventuroso: ha partecipato alla Lunga Marcia di Mao Tse Tung e solcato gli oceani in lungo e in largo. All’improvviso, in una radura nella foresta, scorge un gruppo di uomini in uniforme bruna che marciano intorno a un grammofono che intona un inno nazista. Per il cinese è giunto il momento della vendetta: abbandona gli scavi e sparisce nel verde, impugnando la sua Tokarev.

Férmin Valencia Taivo non ha mai scritto una poesia, ma tutti lo chiamano il poeta. Durante la guerra di Spagna una cannonata gli ha strappato un braccio, così ora deve accendersi i fiammiferi contro lo stivale per poter fumare. Oltre che poeta, però, Férmin è anche un agente segreto del governo messicano e nel tempo libero scrive romanzi pornografici a casa di una principessa azteca.

L’avvocato Alberto Verdugo un tempo aveva una predilezione per le prostitute messicane. Oggi è rinchiuso tra le mura imbottite di un manicomio, dove stila lunghi elenchi deliranti ed evoca la memoria dei suoi amici di un tempo, per organizzare una partita di poker.

E infine c’è Hernest Hemingway, a Cuba, intento a scrivere un romanzo inesistente, che lubrifica la noia con frequenti daiquiri. È convinto di aver trovato il nascondiglio dei sottomarini tedeschi e, durante la più lunga sbronza della sua vita, vivrà una strana avventura in Messico.

Più che una trama, sembra il delirio di un pazzo, “una fiesta messicana in cui la marijuana ha preso il sopravvento sulla tequila”. Lo strano quintetto sprofonderà in una spirale di omicidi, intrighi internazionali, rune scritte col sangue, biscotti avvelenati e pittori cannibali.

È proprio questa la poetica di Paco Ignacio Taibo II: con un’abilità narrativa sconfinata, riesce ad intrecciare i fili di una matassa così intricata fino a dare vita, nel gran finale, a un arazzo raffinato e corale. Certo, occorre fidarsi dell’autore. All’inizio, vi sentirete persi in un labirinto, ubriacati dal suo continuo saltare di palo in frasca. A spronare alla lettura, però, c’è il fatto che ogni singolo filo della grande tela è cucito con cura, scritto con uno stile e un senso della frase eccellenti. Lo stesso Taibo, in una pagina meta-narrativa, descrive così la sua attitudine letteraria:

“Il romanzo non è fatto per mettere ordine nel caos. Il romanzo non è fatto per metter ordine in un beneamato cazzo. […] è fatto per divertirsi con le vertigini, per creare casino, per goderne, per rimestarlo. Non si tratta di rispondere a domande ma di farne altre, sempre nuove, sempre più inquietanti. Il romanzo, come la realtà reale, come le storie che conosciamo tutti e le storie che ci capitano sempre, è pieno di parentesi, buchi, ellissi che ballano saltellando da una parte all’altra senza desiderare concretizzarsi, senza voglia di spiegarsi”.

Retornamos como sombras, questo surreale incrocio tra thriller, spy story e romanzo d’avventura, condito con abbondante nazismo esoterico alla Pauwels e Bergier, è in realtà il seguito di Ombre nell’ombra (pubblicato in Italia nel 2002). Si svolge vent’anni dopo gli eventi narrati nel primo libro, ma non esitate a iniziare da qui, se volete, in quanto le due storie sono indipendenti e, anzi, potrete recuperare in seguito Ombre nell’ombra, andando a ritroso.

La scelta dei “vent’anni dopo” è un omaggio al grande Dumas dei Tre Moschettieri, che aveva intitolato così il secondo capitolo delle loro avventure, ma anche un modo per esplorare le vicende di questi eroi ormai sessantenni, sicuramente scalcinati e acciaccati, forse già vecchi, ma non per questo stanchi di inseguire i loro ideali.

Curiosamente, sono quasi passati vent’anni anche per me, dalla prima volta che, ancora al liceo, ho incontrato Paco Ignacio Taibo II. Il primo libro fu proprio Ombre nell’ombra, cui seguirono A quattro mani e la serie di Hector Belascoaran Shayne, tutti prestatimi dal mio vicino di banco di allora. “Vedrai che figata”, mi disse. E aveva ragione.

In vent’anni cambiano tante cose, compresi, in parte, anche i gusti letterari. Leggere Torniamo come ombre, però, è stato come ritrovare un vecchio amico e questo prova, penso, la grande caratura dello scrittore o forse il fatto che non sono mai cresciuto.

Una volta, al Salone del Libro di Torino, ebbi anche il piacere di assistere a una sua presentazione. Sedeva al tavolo dei relatori con altri due bravi scrittori latino-americani, Daniel Chavarria e Santiago Gamboa. Beveva, come sempre, Coca-Cola. Un modo, diceva sorridendo, per “distruggere il capitalismo dall’interno”. Moderava (si fa per dire) l’incontro il compianto Andrea G. Pinketts, in giacca gialla e toscano tra i denti. Aveva travasato della grappa in una bottiglia d’acqua, e la faceva girare tra i relatori. La sua conclusione fu memorabile: “vedete, i nostri romanzi sono un po’ come questa bottiglietta. La confezione sembra innocua, ma il contenuto è forte”.

Credo sia un’ottima sintesi per descrivere l’opera di Paco Ignacio Taibo II che, è bene ricordarlo, non è soltanto un giallista e un grande romanziere, ma anche un giornalista e uno storico raffinato, nonché un ex docente universitario. Tra i suoi saggi raccomando in particolare l’immensa biografia di Pancho Villa e un bellissimo libro sulla classica battaglia di Alamo del 1836, vista però dalla prospettiva messicana.

Ormai si è fatto tardi qui al Thriller Cafè. Il barman ha già rovesciato le sedie sui tavoli e abbassato le serrande. Non mi resta che augurarvi buona lettura!

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Torniamo come ombre
  • Editore: La Nuova Frontiera
  • Autore: Paco Ignacio II Taibo , Silvia Sichel

Articolo protocollato da Gian Mario Mollar

Classe 1982, laureato in filosofia, Gian Mario Mollar è da sempre un lettore onnivoro e appassionato. Collabora con siti e riviste di ambito western e di recente ha pubblicato I misteri del Far West per le Edizioni il Punto d’Incontro. Lavora nell’ambito dei veicoli storici e, quando non legge, pesca o arranca su sentieri di montagna.

Gian Mario Mollar ha scritto 96 articoli: