Oggi al Thriller Café parliamo di Riti Notturni di Colin Wilson. Il romanzo risale al 1960, ma siamo davvero grati all’editore Carbonio per averlo riportato all’attenzione del pubblico con questa nuova, elegante veste editoriale e con la pregevole traduzione di Nicola Manuppelli.
Il romanzo ruota intorno alle vicende di Gerard Sorme, un giovane e irrequieto scrittore che si aggira per le strade della Londra del dopoguerra, una città tentacolare con tante ombre e poche luci. La narrazione in terza persona segue gli spostamenti del protagonista come una sorta di steady cam perennemente puntata tanto sulla sua visuale esterna che sui suoi aggrovigliati pensieri.
L’incipit contiene già, in nuce, tanto il tema quanto lo stile della narrazione che accompagnerà il lettore per il resto della storia:
“Uscì dalla metropolitana di Hyde Park Corner a testa bassa, ignorando le persone che gli si accalcavano intorno e lasciando che fossero loro a spostarsi. Non gli piaceva la folla. Lo irritava. Quando gli capitava di osservarla, si ritrovava a pensare che c’erano troppe persone in quella maledetta città: ci sarebbe voluto un massacro per fare un po’ di spazio. E quando gli capitava di avere questo tipo di pensieri, si sentiva male. Non aveva istinti omicidi, ma il suo odio per la folla era incontrollabile, e per lo stesso motivo evitava di guardare le pubblicità che tappezzavano le pareti delle scale mobili della metropolitana londinese. Quegli scorci casuali gli suscitavano troppa antipatia. Le donne mezze nude che sfoggiavano corsetti e calze femminili gli davano una sensazione di bruciore alla gola, uno shock istantaneo, come un fiammifero lanciato su uno straccio imbevuto di benzina.”
Gerard Sorme è una pietra che rotola instancabilmente lungo i marciapiedi di Londra. Senza avere la necessità di lavorare, grazie a una piccola rendita, vive alla perenne ricerca di un senso per la sua esistenza, di una chiave per aprire il mistero dell’essere.
La chiave si presenta a Gerard sotto una forma decisamente particolare: si tratta di Austin Nunne, un ricco ed eccentrico omosessuale. Nunne, una sorta di satiro in perenne balia dei suoi appetiti, esercita su Sorme un fascino magnetico. Il loro primo incontro, nel corso di una mostra d’arte, si prolunga in una lunga notte di bevute e di lì in poi Sorme sviluppa una curiosità vorace e morbosa per il suo amico facoltoso e anticonformista.
Pian piano, quasi come un parassita, si intrufola nelle maglie della sua rete sociale, entrando in contatto con una galleria di personaggi insoliti. È così che incontra Oliver Glasp, un tormentato pittore ossessionato da una bambina dodicenne, oppure la cugina Gertrude Quincey, una zitella di mezz’età divisa tra l’amore per la letteratura e gli incontri serali dei Testimoni di Geova. E ancora la sensuale nipote Caroline, o l’infermo Padre Carruthers.
Ogni personaggio che si aggiunge alla vicenda è come un frammento di specchio, che restituisce al lettore la figura poliedrica e sfuggente di Nunne, che entra ed esce dalla narrazione senza mai smettere di esserne il fulcro.
Intanto, sullo sfondo, misteriosi delitti insanguinano il quartiere di Whitechapel. Sembra che Jack lo Squartatore sia tornato all’opera: i cadaveri mutilati di prostitute tornano a costellare le squallide notti del quartiere… La polizia è sulle tracce di un misterioso assassino.
Riti notturni è un romanzo eccezionale per molti aspetti, ma sicuramente non è un giallo classico. Se percorrerete le sue pagine trafelati, alla ricerca di indizi per risolvere un caso, rischiate di rimanere delusi. Il consiglio è quello di lasciarvi immergere nel labirinto di esperienze del giovane Sorme, di godervi il più possibile i discorsi filosofici che il protagonista imbastisce di volta in volta con i personaggi che incontra. È lo stesso Colin Wilson a suggerirvelo, in una breve parentesi meta-narrativa: “solo nei romanzi il detective trova indizi e cadaveri dappertutto. Nella vita reale gli omicidi si svolgono sempre da qualche altra parte, ed è tutto disordinato e assurdo”. Il pregio principale della prosa di Wilson è proprio questo: riuscire a incastrare riflessioni e digressioni su una struttura narrativa piuttosto semplice, fino a dar vita a un mosaico grandioso e affascinante.
A ben vedere, Riti notturni è un noir che racchiude un vero e proprio romanzo filosofico. La sua stessa genesi risale all’Outsider, il saggio che Wilson scrisse a soli venti tre anni e che lo rese celebre. In esso, l’autore esplorava la vita e il pensiero di alcuni tra i più grandi “uomini in rivolta” del secolo breve – la citazione da Camus è quanto mai appropriata – da Nietszche a Gurdjeff, senza dimenticare lo stesso Camus e Dostoevskij.
E in effetti Riti notturni conferisce vita e movimento alle idee enucleate in quel saggio. Addentrandosi tra le sue pagine, si ha talvolta l’impressione di leggere un romanzo esistenzialista scritto da Sartre:
“Mentre si guardava intorno, la sua mente formulò una domanda: Che cosa ci faccio qui? Tutto gli sembrava arbitrario, avrebbe potuto essere qualsiasi cosa e in qualsiasi altro posto. Si sentiva oppresso da un senso di alienazione e provò a concentrarsi per capire da che cosa derivasse. Ma subito si sentì afferrare da un brivido di paura che lo svuotò di tutto il coraggio. Era la consapevolezza che la sua esistenza non riusciva a scindersi da se stessa per poter essere interrogata. L’esistenza gli stava di fronte come un muro.”
In questo quadro di opprimente consapevolezza dei limiti umani, l’omicidio diventa uno strumento per lacerare il velo di Maya e accedere a una conoscenza ulteriore, assoluta. Sorme – come specchio rovesciato di Nunne – è in equilibrio precario tra le sue pulsioni e la sete di assoluto, nell’eterno, frustrante tentativo di “godere della stessa visuale di Dio”. A ben vedere, Sorme è un eroe romantico (con tante macchie e tanta paura) costretto a muoversi su un palcoscenico ormai spoglio di ideali e speranze: la sete di assoluto rimane, ma è costretta a fare i conti con l’assurdo, la mancanza di senso, l’orrore. Con le parole dell’autore: “sono giunto alla conclusione che il ventesimo secolo soffre dei postumi della sbornia romantica del secolo precedente”. L’omicidio diventa così un mezzo estremo per fuggire dall’ordinario e dalla “morale del gregge” e accedere a un più alto orizzonte di senso e consapevolezza: la strada che aveva già intrapreso il Raskolnikov di Dostoevskij in Delitto e castigo, che Wilson approfondisce a trecentosessanta gradi.
Riti notturni per certi versi ricorda La casa di Jack del regista Lars von Trier, ma con minore compiacimento estetico e, probabilmente, una maggiore profondità di analisi.
In sintesi, Riti notturni è stata una delle più belle sorprese dell’anno, una lettura sicuramente non facile e tutt’altro che immediata, ma gravida di riflessioni e di possibilità di lettura.
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