MiseryAl Thriller Cafe pensiamo che sia buona norma, ogni tanto, rispolverare qualche libro datato ma imprescindibile: oggi recensiamo quindi Misery, il celeberrimo romanzo di Stephen King.

Titolo: Misery
Autore: Stephen King
Editore: Sperling & Kupfer
Anno di pubblicazione: 2008
Pagine: 400

Trama in sintesi:
Protagonista del romanzo è Paul Sheldon, scrittore di fama internazionale, conosciuto soprattutto per le vicende della sua eroina romantica, “Misery”. Coinvolto in un incidente stradale, viene salvato dall’intervento provvidenziale di una ex-infermiera, Annie Wilkes. Lei lo porterà al sicuro, lo curerà, gli darà da mangiare, e si rivelerà la sua fan più sfegatata.
Qualcosa di morboso, tuttavia, caratterizzerà questo rapporto: Annie incomincerà ad abusare, fisicamente e psicologicamente, dello scrittore, lo terrà incatenato al letto, gli impedirà di uscire, di ribellarsi, arriverà finanche a tagliargli un piede per costringerlo alla prigionia. E, soprattutto, lo obbligherà a bruciare il suo ultimo romanzo, in cui l’autore aveva ‘ucciso’ la famosissima “Misery”, per obbligarlo a scriverne uno nuovo, in cui l’eroina è ancora viva, nonché protagonista indiscussa delle sue storie.

Vincitore del Premio Bram Stoker, “Misery” è un thriller/noir scritto da Stephen King nel 1987, ottimo sia per quanto concerne la trama che per lo stile. Nel romanzo si trovano alcuni stilemi che diverranno classici della letteratura kinghiana: l’immobilità, l’incapacità di muoversi, la costrizione fisica, il soffocamento, la claustrofobia.
Gli anni 80, tuttavia, non furono un periodo felice per il ‘re del brivido’: la dipendenza dalla cocaina lo portò a scrivere questo romanzo sotto l’effetto di stupefacenti; per poi rimuovere dal suo ricordo di poi, in maniera subitanea e incredibile, l’intera memoria del periodo dedicato alla stesura del libro. Libro che, in effetti, più che offrire un quadro lucido e acuto della mercificazione della letteratura – come molti hanno notato – offre il simulacro originale e pungente della disperazione di un uomo, uno scrittore per l’appunto, incatenato al letto e schiavizzato, seviziato, umiliato, da una donna, Annie Wilkes, umanizzazione impietosa ma puntuale della droga.
Portato sugli schermi da Rob Reiner del 1990, giunto in Italia col titolo “Misery non deve morire”, la pellicola si rivela un’ottima trasposizione del romanzo di King. Con James Caan nella parte di Paul Sheldon, e Kathy Bates nella parte di Annie Wilkes (vincitrice dell’Oscar come miglior attrice), il film scorre perfettamente sulla falsariga de romanzo da cui nasce, e ne trasmette con sapienza lo stesso senso di immobilità, costrizione, e terrore.

Diego Di Dio

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