Ci sono paure grandi come la guerra o il cambiamento climatico, e quelle individuali e quotidiane: e poi ci sono le paure irrazionali, giochi mentali che si insinuano nel profondo.

Le prime sono reali e tangibili, razionali, hanno il volto di un delirante zar, di un evento climatico estremo o di una malattia: le altre nascono dai mostri nella nostra mente: un clown che ci fissa dall’altra parte della strada, il respiro di una telefonata notturna silenziosa, un rumore inaspettato in cantina.

E se in cantina ci fosse davvero qualcuno? E se qualcuno vivesse davvero in casa nostra, a nostra insaputa?

E’ quello che capita a Albert ed Alicia Graves: si sono trasferiti da poco in campagna, in una deliziosa casa georgiana con un bel giardino che Alice cura amorevolmente. Una  vita un po’ noiosa, ma del resto Albert soffre di cuore, e la sua vita deve essere tranquilla, così tranquilla che persino la visita dell’operaio per la manutenzione della caldaia è un evento: Richard Atlee è un ragazzo schivo, un po’ angelo e un po’ demone e si attarda fin troppo in cantina, ma nonostante una sensazione di disagio che il giovane operaio crea loro i Graves lo invitano a cena. Pochi giorni dopo questa visita, in casa cominciano a sparire oggetti: il colpevole è Richard, che si è installato nell’intercapedine della casa, e all’inizio la coppia cerca di cacciarlo ma finisce con l’invitarlo a vivere in casa, trasformando l’inquilino abusivo nel figlio perfetto mai avuto. Inizia così un rapporto malato di amore e odio, di sentimenti contrastanti e contrapposti che non porterà a nulla di buono.

Scritto nel 1973 questo romanzo di Lieberman, è un angosciante giallo psicologico con forti riferimenti al gotico. Fin dalle prime pagine troviamo un omaggio al genere, con l’autore che ci propone alcuni tra gli elementi più classici: la casa forse infestata, il bosco, la palude, l’ospite inatteso e inquietante. Si possono citare tanti riferimenti letterari – da Edgar Allan Poe a Shirley Jackson – ma forse l’idea che rende meglio la sensazione del romanzo è quella data da un quadro di Edward Hopper, October a Cape Cod: c’è una bella casa in primo piano – una di quelle belle case americane dal tetto spiovente – un bel prato, cielo azzurro e luminoso ma nel bosco alle spalle della casa si percepisce l’oscurità incombente. L’ospite perfetto fin dalle prime pagine crea questa percezione di angoscia costante, con un raffinato gioco al massacro che si gioca essenzialmente tra tre persone, i Graves e Richard: il mondo esterno è una realtà che rifiuta Richard e finisce con allontanare i Graves dalla comunità dalla quale erano inizialmente stati accolti, chiudendoli così all’interno di una spirale discendente fino all’epilogo tragico.

Lieberman è drammaturgo, conosce alla perfezioni i meccanismi e i tempi del teatro e costruisce un’opera perfetta fatta di accettazione e rifiuto, esplora in confini dell’amore – genitoriale e filiale – che sfocia nel risentimento e nel controllo, gioca con le ambiguità del personaggi. Lieberman conosce il peso e il potere delle parole e le calibra con precisione millimetrica, supportato in questa edizione da una traduzione a cura di Raffaella Vitangeli che rende merito alla scrittura e all’intenzione dell’autore.

Il romanzo irretisce il lettore in una tela di ragno claustrofobica che disturba e incanta: come in ogni romanzo gotico che si rispetti, il finale rivela il mistero e scioglie la tensione, forse. Albert Graves ci ha raccontato la sua storia dalla nuova casa in riva al mare, dove – come in quadro di Hopper – sul paesaggio idilliaco tira un’aria fredda. Herbert Lieberman è nato a New Rochelle nel 1933, nello stato di New York, è narratore e drammaturgo. Ha pubblicato quattordici romanzi, tra cui il serial thriller Nightbloom e il gotico L’ospite perfetto (titolo originale Crawlspace). Città di morti, uscito nel 1976, è oggetto di un autentico culto in Francia, dove ha vinto il prestigioso Grand Prix de Littérature Policière.

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L'ospite perfetto
  • Lieberman, Herbert (Autore)

Articolo protocollato da Marina Belli

Lettrice accanita, appassionata di rugby e musica, preferisco – salvo rare eccezioni – la compagnia degli animali a quella degli umani. Consumatrice di serie TV crime e Sci Fy, scrittrice fallita di romanzi rosa per eccesso di cinismo e omicidi. Cittadina per necessità, aspiro a una vita semplice in montagna o nelle Highland scozzesi (a condizione che ci sia una buona connessione).

Marina Belli ha scritto 146 articoli: