L’anima del male, romanzo d’esordio del francese Maxime Chattam, è il romanzo recensito oggi. Il Thriller Cafè riapre quindi dopo la breve sosta (che ci ha lasciato in eredità una piccola pila di libri da leggere, per adesso accatastati dietro al jukebox) con un titolo involontariamente in totale contrasto con l’atmosfera pasquale degli ultimi giorni.
Titolo: L’anima del male
Autore: Maxime Chattam
Editore: Sonzogno
Anno di pubblicazione: 2004
ISBN: 884541194X
Pagine: 482
Prezzo: € 9,50
Trama in sintesi:
Portland, Oregon, ai giorni nostri. Una serie di efferati omicidi che vedono vittime giovani donne sconvolge la città. Delle indagini si sta occupando l’ispettore Brolin, che ha lasciato l’incarico di profiler all’FBI perché desiderava un po’ di azione. Di azione ne avrà fin troppa, considerate le caratteristiche dei delitti: le vittime hanno tutte le mani tagliate di netto e il viso sfigurato da un acido. Brolin è davanti a un dilemma: si tratta del parto della mente di un serial killer o piuttosto sono omicidi rituali di una setta satanica? Quando una studentessa di psicologia scompare nel nulla e sembra destinata alla stesso tragico destino, il poliziotto sa che deve fermare l’allucinante striscia di sangue che imbratta le strade di Portland.
(Dalla scheda su Ibs)
L’anima del male, il primo capitolo della cosidetta “Trilogia del Male” di Chattam, è un tipico serial thriller, con protagonista l’ammazzasette di turno (Leland Beaumont, alias il Boia di Portland) e l’investigatore che cerca di anticipare le sue mosse per salvare altre vittime (in questo caso, Joshua Brolin). Il meccanismo su cui si basa il romanzo è quindi uno dei più consolidati nel panorama del genere e l’autore non se ne discosta molto: il libro da questo punto di vista non è particolarmente innovativo. C’è però da dire che Chattam dimostra di saper padroneggiare bene sia il ritmo, anche se non ci sono colpi di scena funambolici alla Deaver, che soprattutto le tematiche trattate. Grazie ai suoi studi di criminologia e psicologia forense, egli si muove del tutto a suo agio tra criminal profiling e mezzi d’indagine scientifica, snocciolando pure dettagli di criminalistica e anatomopatologia con estrema precisione. Tutto bene quindi, verrebbe da pensare. Be’, sì e no, vi risponde il vostro barman, perché, a dire la verità, spesso Chattam ha la tendenza a esagerare, a descrivere le procedure investigative come se stesse scrivendo un manuale per l’accademia di Quantico. Succede così che l’erudizione dell’autore rubi la scena alla storia, cosa che a mio parere non dovrebbe mai accadere; in più, lo stile è ancora in parte da raffinare, come pure la gestione dei personaggi. Brolin, in particolare, non è capace di lasciare il segno al cento percento: Harry Bosch o Charlie “Bird” Parker sono di ben altra pasta. Considerando però che si tratta di un’opera prima e anche che l’ispettore avrà modo di farsi conoscere meglio nei volumi successivi, forse sulle piccole pecche citate si può chiudere un occhio. La scelta coraggiosa del pre-finale e il finale inquietante, poi, chiudono secondo me in maniera positiva un libro che gli amanti della “scuola Harris” in fin dei conti non potranno non apprezzare.
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