A luglio di quest’anno, Fazi Editore ha fatto un regalo a tutti gli appassionati del giallo: una nuova edizione del capolavoro di Wilkie Collins, La pietra di Luna (The Moonstone).
Il romanzo fu pubblicato, per la prima volta, a puntate su «All The Year Round» nel 1868. Sulla scia dell’enorme successo ottenuto in Inghilterra e America, La pietra di Luna arrivò in Italia nel 1869, pubblicato a puntate sul Corriere di Milano. Fu pubblicato in volume da Treves nel 1870.
Wilkie Collins inventore del genere poliziesco
William Wilkie Collins (1824-1889) appartiene di diritto alla ristretta cerchia dei primi grandi scrittori di polizieschi, insieme a Edgar Allan Poe, Emile Gaboriau e Arthur Conan Doyle. Siamo agli inizi di una svolta epocale nella letteratura.
Con I misteri della polizia nasce un nuovo genere letterario, una serie omogenea di opere legate a un’autentica esigenza di sperimentare nuove formule, resa esplicita in prefazioni, lettere, commenti inseriti nel testo. Per questi romanzieri il giallo, con le sue potenzialità espressive, è lo strumento più adeguato per rinnovare la narrativa sul piano formale e stilistico, contaminare la letteratura borghese con quella popolare …
(Cecchetti, 2011, p. 104)
Secondo alcuni, il primo romanzo poliziesco fu The Notting Hill Mistery (1862) di Charles Felix (cfr. Franco Fossati –Roberto Di Vanni, 1980, p. 76). Altri ancora citano addirittura William Godwin, che nel 1794 scrisse Caleb Williams. Godwin, in questo suo celebre romanzo, parte dalla fine della storia per arrivare all’inizio, uno stratagemma narrativo che sarà sfruttato soprattutto nei film noir americani (si ricordi per tutti Viale del tramonto del 1950 diretto da Billy Wilder). Il secondo volume del voluminoso romanzo di Godwin è inoltre quasi interamente dedicato alle indagini. Viene citato anche, in ambito francese, Émile Gaboriau che nel 1865 aveva pubblicato L’affaire Lerouge, di cui era protagonista l’ispettore Lecoq, ispirato al celebre Vidocq.
La maggior parte degli appassionati di storia del poliziesco sono però concordi nel considerare Collins il vero creatore della “detective story” come la conosciamo oggi.
… anche molti fra quelli che ritengono che il primato di Gaboriau non possa essere messo in discussione, insistono nell’affermare che, dal punto di vista dell’influenza sugli sviluppi del genere, quest’ultimo romanzo ha un’importanza enormemente maggiore di quelli dello scrittore francese.
(Oliva, 2003, p. 25)
L’espressione “detective story” fu impiegata per la prima volta nel 1878 nel romanzo The Leavenworth Case (1878 – Il mistero delle due cugine), dell’americana Anna Katharine Green (1846-1935). Nei libri dedicati alla storia del giallo, però, è The Moonstone a essere indicato come la prima detective story. Fu Collins a riunire per primo tutti gli ingredienti tipici della formula poliziesca: l’investigazione; il detective professionista; la creazione della suspense e di false piste; pedinamenti e appostamenti; la scelta del colpevole tra le persone meno sospette; una spruzzata di mistero e di gotico per confondere il lettore. Stupenda anche la soluzione finale, logica e plausibile come dovrebbe essere in ogni romanzo poliziesco.
La pietra di Luna è, inoltre, il primo fair-play, ossia il primo romanzo in cui il lettore dispone di tutti gli indizi per risolvere il mistero, anche se Collins complica le indagini con falsi indizi. D’altra parte lo stesso sergente Cuff, il detective incaricato del caso, fuorviato dai medesimi indizi, accusa la persona sbagliata. La classica regola del fair-play viene addirittura enunciata da un personaggio del romanzo, che dichiara esplicitamente di voler porre il lettore su un piano di perfetta eguaglianza con il narratore: «A questo punto del mio racconto, è necessario che io provveda a mettere il lettore su un piano di uguaglianza con il sottoscritto…»
La pietra di Luna, un romanzo noioso o un capolavoro del genere poliziesco?
In Inghilterra, dove questo genere viene ripreso dal punto di vista psicologico, troviamo i migliori romanzi polizieschi che si siano mai scritti: quelli di Wilkie Collins, La signora in bianco e La pietra di Luna.
(Borges, 1989, p. 559)
La pietra di Luna è un romanzo intricato, spesso prolisso, a volte noioso. Un poderoso melodramma a più voci (oltre 500 pagine), che narra la sparizione di una pietra, su cui grava una maledizione, e la morte di un paio di personaggi. Eppure, arrivati alla fine del lungo volume, ci rendiamo conto di aver letto un gran bel libro.
La pietra di Luna rappresenta una vera e propria pietra miliare per l’evoluzione del poliziesco. Leggerlo è come avventurarsi lungo il Nilo alla ricerca delle sue sorgenti: il viaggio è lungo, tortuoso, a volte anche noioso, ma ci aspettano anche molte sorprendenti sorprese. Il romanzo di Collins è colmo di pietre preziose, grezze e pure,che sono all’origine del romanzo poliziesco così come lo conosciamo oggi. Geniale per l’epoca è, ad esempio, la trovata di Collins di far usare l’oppio ad uno dei protagonisti, così da rivivere la scena del furto del gioiello. Questo particolare modo di scoprire la verità, indagando nel subconscio, attraverso l’ipnotismo, anticipa di decenni l’avvento della psicanalisi e i psico-thriller. Collins cita le celebri Confessioni di un mangiatore d’oppio di De Quincey (qui su Amazon), esponendo le conseguenze dell’uso di questa droga, di cui aveva anche un’esperienza personale. Collins all’epoca soffriva di artrite e divenne negli anni a seguire dipendente dall’oppio.
«L’azione dell’oppio consiste, nella maggior parte dei casi, in due influssi: uno stimolante e uno calmante. Sotto l’effetto stimolante, si saranno probabilmente intensificate nel suo cervello, grazie anche alle sue condizioni nervose morbosamente sensitive, le ultime e più vive impressioni che aveva ricevuto, e cioè quelle che riguardavano il diamante, le quali avranno subordinato a se stesse il suo senno e la sua volontà, come in un sogno … Nell’ebbrezza spiritualizzata dell’oppio, lei può benissimo aver fatto tutto questo. Più tardi, quando l’azione calmante cominciò a prevalere su quella stimolante, lei deve essersi sentito a poco a poco sempre più debole e intontito, fino a piombare in un sonno profondo.»
Edgar Allan Poe aveva teorizzato che un racconto doveva utilizzare uno stile secco e preciso, senza tanti ornamenti. A questo stile poteva adattarsi soltanto il racconto breve tanto amato da Poe. I primi a sfidare i canoni fissati dal grande genio americano furono l’inglese Wilkie Collins e il francese Emile Gaboriau, che traghettarono il poliziesco dalle poche pagine della short story al romanzo.
Il passaggio dalla «short story» al romanzo comporta, in altre parole, in opposizione allo schema poeiano, la piena riscoperta del personaggio con la sua dimensione fisica e spirituale e le sue connessioni con l’ambiente: e The Moonstone diventa, al di là del giallo, un ottimo romanzo di costume. Di Edgar Allan Poe resta però la lezione essenziale: il giallo deve fondarsi sulla «detection», e questa deve svilupparsi seguendo strettamente i criteri della logica.
(Laura, 1981, p. 44)
Questo passaggio del genere poliziesco dal racconto al romanzo comportò, come dichiarato da Ernesto G. Laura, un approfondimento psicologico dei personaggi e una maggiore attenzione per l’ambientazione. Ci furono però anche i lati negativi. Uno di questi fu la dilatazione esagerata del racconto, con numerose disgressioni e complicazioni della trama, che spesso non erano altro che dei riempitivi. La causa principale di questo era dovuta alla pubblicazione a puntate del romanzo.
La pietra di Luna, un romanzo a puntate
Il romanzo fu pubblicato interamente, per la prima volta, in tre volumi nel 1869. La pubblicazione dei romanzi in tre volumi era una vecchia consuetudine in Inghilterra: il three-Decker o triple Decker, così veniva chiamato, aveva un prezzo fìsso di una guinea e mezza. Si trattava per l’epoca di un prezzo piuttosto elevato, che ne limitava l’acquisto alle classi borghesi. Le tirature erano limitate a meno di mille copie. Per questo i romanzi vennero successivamente ristampati in edizioni meno costose (circa sei scellini) e poi nel 1841, per iniziativa di Edward Lloyd, pubblicati in dispense settimanali che costavano un solo penny (Penny Dreadfuls). Intorno alla metà dell’ottocento, infine, iniziarono ad essere distribuiti a puntate nelle riviste periodiche. I romanzi che ottenevano un grande successo, venivano poi pubblicati in tre volumi, come in passato, ma in versione economica e con alte tirature.
Le opere di Collins, come quelle della maggior parte dei suoi colleghi, erano destinate ad essere pubblicate a puntate nelle riviste periodiche. Questo significa che lo scrittore doveva interrompere la puntata in un momento culminante e drammatico, così che il lettore attendesse con ansia l’uscita del numero successivo. Si trattava del cosiddetto « twist » (giro di vite), ossia una svolta imprevista e sensazionale della vicenda (tutto questo non vi ricorda i serial tv moderni?). La pietra di Lunaè uno dei capolavori assoluti di questo genere di romanzo e all’epoca ebbe un successo incredibile. Si dice che lo stesso Dickens, caro amico di Collins, fosse geloso della celebrità ottenuta da La pietra di Luna.
Questa tecnica narrativa, in ogni modo, continua ancora oggi ad essere utilizzata con successo dagli scrittori contemporanei. Ne è un esempio il celebre best-seller Il codice Da Vinci di Dan Brown. Altro esempio contemporaneo che interrompe l’azione al suo culmine, lasciando in sospeso il lettore alla fine di ogni capitolo, e che merita di essere citato, è il recente e entusiasmante La sostanza del male di Luca D’Andrea (per il sottoscritto, uno dei migliori romanzi del 2016).
Purtroppo, questa tecnica aveva un suo lato negativo. Gli scrittori che, all’epoca, si guadagnavano da vivere pubblicando sulle riviste, tendevano ad allungare la trama con inutili intrecci, vicende complicate e noiosi riempitivi, sino ad annacquarla irrimediabilmente. La storia perdeva unità strutturale e molto spesso il finale era imbastito in modo confuso.
Wilkie Collins e la storia narrata da più punti di vista
La storia de La pietra di Luna è costruita tramite diari privati, lettere, documenti, testimonianze, appartenenti a più personaggi. In questo modo, il lettore ha la sensazione di leggere fatti realmente accaduti. Collins crea così i presupposti ideali per la «suspension of disbelief» (definizione coniata nel 1817 dal poeta Samuel Taylor Coleridge), un tratto fondamentale della narrazione poliziesca.
Cambiando continuamente narratore, Collins crea, allo stesso tempo, un romanzo sfaccettato, in cui ciò che accade dipende dai punti vista soggettivi dei personaggi, per cui il confine tra verità e menzogna diventa labile e sfuggente:
… s’infittiscono le ombre del mistero quando deflagra il gioco luccicante delle apparenze, delle opposizioni, dei contrasti. Le facce della realtà sono tante, le sue immagini si riflettono negli specchi deformanti, ogni dritto ha almeno un rovescio, o anche più d’uno: le coincidenze, le rassomiglianze, le sorprese sono sempre di più di quelle che eravamo disposti ad accettare. Siamo vicini, vicinissimi, agli anni in cui svegliandosi il Dr. Jekyll vede la sua mano divenuta la zampa villosa di Mr. Hyde…
(Caldiron, 1985, p. 111)
La tecnica di costruire la trama, attraverso il resoconto di più personaggi, si fa risalire a The Confessions by a Justified Sinner (1824 – Confessioni di un peccatore) di James Hogg (1770-1835). In quest’opera, Hogg proponeva due versioni diverse e in conflitto della stessa storia, mettendo così in discussione la visione soggettiva del mondo e della verità. Difficile dire se Collins fu influenzato dal romanzo di Hogg. È certa, invece, la passione dello scrittore inglese per i processi penali, durante i quali la rivelazione del crimine veniva portata alla luce ascoltando le diverse testimonianze alla sbarra.
Non c’è nulla di originale nell’espediente di cambiare spesso punto di vista; Richardson, per esempio, lo ha usato su vasta scala, insieme alla convenzione epistolare, in Clarissa … Intorno al 1856 Collins assistette a un processo e rimase colpito sia dal modo in cui si poteva falsificare una catena di prove a partire dalle deposizioni dei vari testimoni, sia dall’effetto cumulativo che questo procedimento aveva sul pubblico con lo svilupparsi del caso: “Pensai che una serie di eventi in un romanzo si sarebbe prestata bene a un’esposizione di questo genere. Con gli stessi mezzi usati qui, pensai, si poteva certamente comunicare al lettore quell’accettazione, quella convinzione che ho visto prodursi qui grazie a una serie di testimoni talmente varia e, al tempo stesso, così strettamente unificata nella marcia verso un’unica meta”.
(J.I.M. Stewart, La pietra di Luna, il primo, il più lungo e il migliore giallo moderno, in G.F. Orsi – L. Volpatti, 2005, p. 81)
Questa tecnica, in cui la verità viene continuamente messa in discussione da una versione successiva, fu portata successivamente sino al parossismo da Anthony Berkeleynel suo celebre romanzo Il caso dei cioccolatini avvelenati (1929 – The poisoned chocolates case) (qui su Amazon. In questo romanzo poliziesco, vengono proposte ben sei diverse soluzioni ad un caso di omicidio, e tutte apparentemente attendibili. Ancora oggi, la tecnica di proporre più versioni della stessa storia è molto usata. Capita ad esempio in L’amore bugiardo di Gillian Flynn, di cui parleremo anche più avanti, oppure in serial televisivi di successo come The Affair – Una relazione pericolosa.
Un ulteriore vantaggio, di raccontare la storia, tramite diari privati e lettere, è la possibilità di presentare i personaggi principali attraverso le loro riflessioni ed emozioni. Notevole èla sottigliezza psicologica con cui Collins descrive i suoi personaggi, soprattutto quelli femminili. Il lettore tende così a immedesimarsi, provando le loro stesse emozioni. Un espediente usato ancora oggi dai grandi scrittori e dalle serie televisive. Non è sufficiente costruire un buon plot giallo e ambientarlo in luoghi realistici, bisogna anche fare in modo che i personaggi e le loro vite coinvolgano il lettore. Su tutti emerge sicuramente Betteredge l’impeccabile maggiordomo che trova perle di saggezza nella lettura del Robinson Crusoe di Daniel Defoe, e che è un omaggio all’umorismo e alle capacità introspettive dell’amico Dickens.
Dal Dickens, a cui comunicò certi metodi di costruzione, apprese un più accurato studio dei caratteri, alcuni dei quali, specie gli umoristici (John Betteridge, Captain Wragge, Count Fosco), gli riuscirono assai ben delineati; e dal Dickens apprese pure l’arte di non allontanare dalla realtà quotidiana la sua narrazione, evitando così che il sensazionale desse nell’inverosimile.
(Mario Praz, William Wilkie Collins, voce Enciclopedia Treccani)
Wilkie Collins e il “domestic noir”
Collins, intorno alla meta del XIX secolo, inventò o comunque seppe far suoi e unire nel modo appropriato gli ingredienti della sensation novel, le cui radici affondavano nella narrativa del terrore della fine del Settecento. Collins non dimenticò mai la lezione gotica. In La pietra di Luna, il mistero e l’esotico sono rappresentati dalla maledizione del diamante indiano, dalle sabbie mobili, dai tre indiani giunti in Inghilterra per riprendersi la pietra.
C’è in realtà un’anima gotica del poliziesco (celebrata da Wilkie Collins, G. K. Chesterton, John Dickson Carr, oltre che da Poe, naturalmente) che non si è mai perduta, e testimonia che la paura è la forma più intensa della conoscenza.
(Roberto Barbolini – Silvia Tomasi, 1991,p. 81)
Alle tempeste che con i loro lampi illuminavano le torri isolate di tetri castelli, Collins sostituì però le moderne e confortevoli dimore moderne; ai fantasmi e alle stregonerie sostituì il sensazionalismo della cronaca nera dei quotidiani e il caos della Londra vittoriana.
Collins si rese conto che i lettori erano stanchi degli antichi e stantii castelli gotici, e iniziò a seguire veri casi giudiziari, da cui trasse spunto per creare trame realistiche e misteriose allo stesso tempo. Era necessario coinvolgere maggiormente il lettore, inserendo le storie in luoghi più reali e conosciuti. I bassifondi di Londra ei crimini violenti della nuova città industriale erano però solo parte della nuova realtà. Esistevano anche altri crimini, ancora più terribili e “disturbanti”, perché commessi tra le mura domestiche.
Uno di questi episodi accadde veramente la notte del 29 giugno 1860, in un’elegante e isolata casa georgiana, Road Hill House nel Wiltshire. Il figlio di Samuel Kent e la sua seconda moglie, un bambino di tre anni, venne rapito dalla sua culla. Il corpo senza vita fu ritrovato la mattina seguente in giardino. Il bimbo era stato sgozzato a rasoiate e poi nascosto nella latrina della servitù. Le indagini si presentavano difficili e delicate a causa del rango elevato della famiglia Kent. Fu messo a capo delle indagini Whicher, uno dei poliziotti più famosi all’epoca dei fatti. L’ispettore fin dall’inizio non ebbe dubbi che l’assassino dovesse essere cercato tra gli abitanti della grande casa, e ben presto fu certo che il rapimento e la morte del bambino fossero opera della giovane sorellastra, Constance Kent. La ragazza non aveva perdonato il padre di essersi risposato e odiava la matrigna. Whicher arrestò la ragazza che però fu rilasciata. Nessuno, né la famiglia né l’opinione pubblica, era dispostoad accettare una simile verità. L’arresto della ragazza fu un disastro per la carriera di Whicher e il caso rimase irrisolto. Cinque anni dopo, però, Constance confessò di aver ucciso il fratellastro. Il caso ebbe una risonanza nazionale e internazionale.
Il caso di Road Hill House portò la mania nazionale per il crimine a livelli mai visti: come scrisse Wilkie Collins ne La pietra di Luna, si era scatenata «la febbre da detective».La stampa e l’opinione pubblica da un lato deploravano le impertinenti e scandalose teorie di Whicher, dall’altro erano ben felici di avanzarne di proprie. Come loro, anche il padre di tutti i detective d’invenzione lavorava stando seduto in poltrona: Auguste Dupin, l’eroe dei racconti di Poe, non si aggirava sulla scena del delitto in cerca di indizi ma li trovava nelle cronache dei giornali. La professionalizzazione delle forze di polizia era appena iniziata, ma l’ora del dilettante aveva successo come non mai.
(Summerscale, 2008).
Ciò che aveva colpito l’immaginazione dei lettori era il fatto che un crimine così crudele potesse avvenire all’interno delle sicure e sacre mura domestiche. Anche Collins fu affascinato da questo caso ma, come accade spesso agli artisti, lo scrittore anticipò il gusto del pubblico per questo tipo di storie.La donna in bianco, pubblicato su «All the Year Round», era infatti già arrivato alla trentatreesima puntata quando iniziò il dramma di Road Hill House.
Henry James si rese conto già all’epoca dell’importanza dei romanzi di Collins per la storia della letteratura poliziesca:
“To Mr Collins belongs the credit of having introduced into fiction those mysterious of mysteries, the mysteries which are at our own doors. This innovation gave a new impetus to the literature of horrors. It was fatal to the authority of Mrs. Radcliffe and her everlasting castle in the Apennines … Instead of the terrore of “Udolpho,” we were treated to the terrors of the cheerful country-houses and the busy London lodgings. And there is no doubt that these were infinitely the more terrible.”
(Henry James, The Nation, 1 – 9 November 1865)
Anche in questo caso Collins precorse i tempi e creò un sottogenere del poliziesco, oggi molto amato dai lettori. Il successo planetario ottenuto recentemente da La ragazza del treno di Paula Hawkins, L’amore bugiardo e Nei luoghi oscuri di Gillian Flynn, appartenenti a quello che è stato definito il “domestic noir”,è una prova di quanto Collins avesse anticipato i tempi con i suoi romanzi. La definizione “domestic noir” è nata nel 2013, quando la scrittrice Julia Crouch stava cercando un modo per descrivere i suoi libri. Ecco cosa scrisse Julia Crouch sul suo blog.
“I came up with the term Domestic Noir, which really captures what I’m up to. I’d also say it might be a good sub-genre home for writers like Erin Kelly, Araminta Hall, Louise Millar, Paula Daly, Samantha Hayes, even more literary types like Louise Doughty, Julie Myerson and Lionel Shriver. In a nutshell, Domestic Noir takes place primarily in homes and workplaces, concerns it self largely (but not exclusively) with the female experience, is based around relationships and takes as its base a broadly feminist view that the domestic sphereis a challenging and sometimes dangerous prospect for its inhabitants. That’s pretty much all of my work described there.”
(Julia Crouch, GENRE BENDER – ON AUGUST 25TH, 2013)
Alessandra Calanchi ha affrontato anni fa il tema della «domesticità del crimine» in Wilkie Collins, nel suo saggio “Visite guidate. La complicità dello scenario domestico in The Moonstone” (in «Paragone», anno XVIII, NS, febbraio-aprile 1992, 32-34, pp. 28-46).
Collins è molto vicino ad autrici, come Paula Hawkins, Julia Crouch e Gillian Flynn, anche per un altro motivo: amava con passione le donne e, nei suoi romanzi, diede loro ampio spazio, descrivendone l’intelligenza e la forte personalità. Le donne di Collins sono sensibili e capaci di vedere il mondo che le circonda da una prospettiva alternativa, proprio come le protagoniste dei moderni “domestic noir”.
La giovanissima Rachele Verinder, una dei protagonisti di La pietra di Luna: «È differente dalla maggioranza delle ragazze della sua età, nel fatto che…giudica con la propria testa, come fanno in generale poche donne del doppio della sua età, non chiede mai consiglio; non dice mai quello che sta per fare; non confida segreti o altro a nessuno, da sua madre in giù. Nelle piccole come nelle grandi cose, con chi ama e con chi odia (cosa che fa con uguale vigore), la signorina Rachele va sempre avanti per la sua strada, autosufficiente nelle gioie e nei dolori della sua vita».
(Reggiani, 1981, p. 86)
L’amicizia di Collins e Dickens e la loro passione per le indagini della polizia
Collins conobbe Dickens nel 1851. Diventarono ben presto grandi amici. Dickens, convinto delle capacità di Collins, lo convinse ad abbandonare la professione di avvocato per dedicarsi completamente alla scrittura. Amavano entrambi con passione il teatro, i libri, i viaggi all’estero e soprattutto le giovani prostitute dei bordelli londinesi. Erano inoltre interessati a quei personaggi ancora poco conosciuti che erano i poliziotti.
Durante la prima metà dell’ottocento, la rivoluzione industriale aveva catapultato milioni di persone in cerca di lavoro nelle grandi città come Londra. Purtroppo le aspettative venivano quasi sempre deluse, e fame e povertà attendevano intere famiglie. Crebbero così la criminalità, la contestazione sociale e la violenza. Per arginarle vennero istituiti i primi reparti organizzati della polizia. Negli anni in cui Dickens e Collins scrivevano, Londra passava dai Bow Street Runners, il primo corpo di polizia, fondato nel 1749 da Henry Fielding (costituito da agenti privati che venivano pagati quando arrestavano i criminali; quasi dei cacciatori di taglie), alla creazione dei moderni corpi di polizia inglesi con il Metropolitan Police Act del 1829. Il fondatore fu Robert Peel: “gli occorsero quattro anni di duro lavoro per avere ragione dei pregiudizi del suo governo, che considerava la polizia una seria minaccia alla libertà personale, senza tener conto di quanto fosse ancora più seria la minaccia di una criminalità incontrollata” (Walker, 1982, p. 195). L’ufficio di questo primo gruppo di poliziotti londinesi aveva la porta secondaria che si affacciava su un vicolo chiamato Scotland Yard.
Dickens dimostrò il suo interesse per le indagini già nel suo capolavoro Le avventure di Oliver Twist (1837): Mr. Brownlow indaga sul passato di Oliver e le colpe di Monks. La passione di Dickens per i metodi razionali della polizia e la soluzione di casi criminali divenne palese intorno agli anni cinquanta, quando conobbe e frequentò l’ispettore Whicher di Scotland Yard, che all’epoca si interessò al caso di Constance Kent, uno dei più famosi crimini del XIX secolo. Fra il 1850 e il 1856, Dickens pubblicò una serie d’articoli sulla polizia: On duty with Inspector Field, Three detective anedoctes, che avevano come protagonista il sergente Witchem.
Dickens scrisse due romanzi in cui la trama si intreccia a indagini e crimini, e che hannocome protagonisti dei funzionari di polizia: Bleak House (Casa desolata, 1852- 1853) e The Mystery of Edwin Drood (Il mistero di Edwin Drood, 1870).
Lo stesso Dickens fu da par suo uno scrittore nelle cui ricchissime trame troviamo spesso ben più che un accidentale riferimento a un repertorio da “mystery story”: citiamo almeno Barnaby Rudge (1840), Hunted Down (1859), e soprattutto Bleak House (1853), in cui l’adesione a un formulario “giallo” si fa pressoché totale e in cui Dickens crea quell’ispettore Bucket che anticipa vistosamente nei caratteri molti aspetti del sergente Cuff di La pietra di Luna e di molti altri detectives a venire …
(Franco Fossati –Roberto Di Vanni, 1980, p. 76)
In Bleak house (1852-1853), gli ultimi capitoli sono una vera e propria detective novel, con protagonista l’ispettore Bucket di Scotland Yard. Bucket risolve con grande logica investigativa il caso di omicidio e anticipa di sedici anni il sergente Cuff di Collins. Fu però il poliziotto di The Moonstone a entrare nella storia del poliziesco.
Nel ’52 Collins pubblicava la sua prima “sensation novel”: Basil: A Story of Modern Life. Un romanzo ancora lontano dalla futura produzione poliziesca e legato alla tradizione gotica. Intorno al 1858, sulle riviste di Dickens, vennero pubblicate numerose altre opere di Collins a sfondo poliziesco, tra cui alcuni casi giudiziari raccolti sotto il titoloCases worth looking at. Collins trasse spunto soprattutto da Recueil des causes célèbres di Maurice Mejean, una raccolta dei più famosi casi giudiziari di cronaca nera, accaduti tra il 1807 e il 1814.Lo scrittore aveva acquistato il libro in Francia nel 1856. Fu nel 1859, però, che iniziò a uscire a puntate uno dei capolavori assoluti di Collins che lo rese famoso in tutta Europa: The Woman in White (La donna in bianco, 1860). Dickens, cercando di emulare il notevole successo ottenuto da Collins con The Woman in White e The Moonstone, iniziò a scrivere un altro poliziesco: The mistery of Edwin Drood. La morte dello scrittore nel giugno del 1870, interruppe la stesura dell’opera.
I due scrittori si influenzarono quindi a vicenda, anche se il loro modo di scrivere continuò ad essere profondamente diverso. Uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, Thomas Stearns Eliot, in un suo saggio del 1927, individuò lo scarto artistico tra Dickens e Collins nel modo differente in cui costruivano i personaggi e nella distinzione tra dramma (Dickens) e melodramma (Collins). Secondo Eliot,nei capolavori drammatici, come le opere di Shakespeare e Sofocle, i personaggi sono perfettamente integrati con la trama. La maggior parte delle opere di Collins apparteneva al genere melodrammatico, basate quindi sugli effetti teatrali, e sulla creazione di atmosfere e personaggi intriganti. Collins, però, con La pietra di Luna, era riuscito a bilanciare in modo perfetto la trama e la costruzione dei personaggi e ad avvicinarsi al genere drammatico.
“In comparison with the characters of Dickens they lack only that kind of reality which is almost supernatural, which hardly seems to belong to the character by natural right, but seems rather to descend upon him by a kind of inspiration or grace. Collins’s best characters are fabricated, with consummate skill, before our eyes; in Dickens’s greatest figures we see no process or calculation. Dickens’s figures belong to poetry, like figures of Dante or Shakespeare, in that a single phrase, either by them or about them, may be enough to set them wholly before us. Collins has no phrases…(p. 375)
The one of Collins’s books which is the most perfect piece of construction, and the best balanced between plot and character, is The Moonstone … The Moonstone is the first and greatest of English detective novels(p. 377)
the frontier of drama and melodrama is vague; the difference is largely a matter of emphasis; perhaps no drama has ever beeng reatly and permanently successful without a large melodramatic element … the difference between coincidence, set without shame or pretence, and fate – which merges into character. It is not necessary, for high drama, that accident should be eliminated; you cannot formulate the proportion of accident that is permissible. But in great drama character is always felt to be – not more important than plot – but somehow integral with plot …(p. 379)
(Eliot, 2014, pp. 375-377)Il sergente Cuff progenitore del moderno detective
«… tutto quello che c’è di buono e di efficace nella narrativa poliziesca moderna lo si può già trovare ne La pietra di Luna. Gli autori più recenti hanno aggiunto l’uso delle impronte digitali e di altre bagatelle dello stesso genere, ma sostanzialmente non hanno realizzato alcun progresso rispetto alla personalità o ai metodi del sergente Cuff. Il sergente Cuff è il poliziotto perfetto. I nostri poliziotti moderni sono il più delle volte macchine efficienti ma anonime,che si dimenticano nel momento stesso in cui si chiude il libro, o hanno troppe caratteristiche come Sherlok Holmes. Costui è talmente sovraccarico di capacità, di meriti e di peculiarità da diventare una figura quasi statica: ci viene descritto, anziché esserci rivelato, attraverso le sue azioni. Il sergente Cuff è invece una personalità reale e attraente, ed è brillante senza essere infallibile».
(T.S. Eliot citato in G.F. Orsi – L. Volpatti, 2005, pp. 25-26)
Tutti conoscono Sherlock Holmes, pochi il sergente Cuff. E ancora meno sono coloro che sanno che uno dei progenitori di Sherlock Holmes fu proprio Cuff, con la sua fede assoluta nell’osservare ogni più piccolo indizio. Con questo poliziotto in pensione, appassionato di rose, Collins creò uno dei primi detective della letteratura mondiale, insieme a Dupin di Poe e a Lecoq di Gaboriau. La prima apparizione di Cuff nel romanzo viene così descritta da Collins:
“… un uomo anziano, brizzolato e così magro che sembrava non avere nemmeno un grammo di carne sulle ossa. Indossava un sobrio abito nero e portava una sciarpa bianca al collo. Aveva il viso affilato come una scure e la pelle gialla, secca e avvizzita come una foglia d’autunno. Gli occhi, di un grigio acciaio chiaro, avevano la sconcertante abitudine, quando si incontravano con i tuoi, di guardarti come se si aspettassero qualcosa di più di ciò che tu stesso sapevi di sapere. Camminava in modo disinvolto, aveva una nota di malinconia nel tono della voce e le sue dita, lunghe e sottili, si incurvavano come artigli. Avrebbe potuto essere un parroco o un becchino, o qualsiasi altra cosa a vostra scelta, tranne quella che veramente era.”
Cuff, anche se fisicamente non gli assomiglia affatto, è l’antenato di un altro grande investigatore: il pachidermico Nero Wolfe di Rex Stout. Cuff è un appassionato cultore di rose così come Wolfe lo è delle sue orchidee. I due investigatori sono accomunati anche dall’amore per l’ozio e per la precisione.
Il sergente Cuff ha un hobby. A partire da lui, quasi tutti gli investigatori avranno un hobby: se Cuff economicamente coltiva rose, Nero Wolfe costosissimamente coltiverà orchidee; e se Sherlock Holmes suona il violino, altri avrà passione per la letteratura o le porcellane cinesi, per i libri rari o i pesci tropicali…
(Sciascia, 2014)
Il personaggio del sergente Cuff si differenzia, però, dai suoi successori per alcune caratteristiche: la sua presenza è limitata a solo alcune parti del romanzo e il suo spirito logico fallisce. Cuff accusa infatti la persona sbagliata. In questo, Collins si distanzia dagli scrittori della Golden Age ma anticipa il noir contemporaneo, in cui la ragione viene spesso sconfitta dal caos. Incapace di cogliere tutti gli aspetti contradditori della realtà e le diverse versioni che di essa gli vengono fornite, Cuff rappresenta un mondo in cui, “l’apparenza non sempre corrisponde alla verità e … ogni persona che si credeva di conoscere appare a un tratto come uno sconosciuto capace di commettere un delitto … la duplicità della realtà e degli uomini, l’ingannevolezza delle apparenze, l’inconoscibilità da parte di ciascuno della vera personalità degli altri, il mistero cioè della realtà e dell’uomo …” (Del Monte, 1962, p. 95).
È evidente che alla metà dell’ottocento la ragione poteva perdere una battaglia non la guerra e il sergente Cuff si rifarà alla fine del romanzo. Proverà le sue doti di poliziotto consegnando a Franklin una lettera con all’interno il nome del colpevole, che lui dovrà aprire solo dopo che il criminale sarà stato identificato e catturato.
«L’anno scorso», disse, «ho sospettato la persona sbagliata, e può darsi che mi accada la stessa cosa anche ora. Non apra la busta, Mr Blake, finché non sarà arrivato alla verità. A questo punto confronti il nome del colpevole con quello che io ho scritto in questa lettera sigillata».
Un breve appunto merita questa notizia: l’ispettore capo di Scotland Yard Charles Frederick Field, un poliziotto molto famoso all’epoca in cui Collins scrisse The Moonstone, si ritirò nel 1852 e seguitò a lavorare come detective privato, proprio come il sergente Cuff.
BIBLIOGRAFIA
Le citazioni de La pietra di Luna sono tratte dall’edizione digitale di Fazi Editore (luglio 2016), traduzione di Martina Rinaldi.
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- Valentino Cecchetti, Generi della letteratura popolare. Feuilleton, fascicoli e fotoromanzi in Italia dal 1870 ad oggi, Mottola, Tunué, 2011;
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