Dopo avervi presentato settimana scorsa l’intervista romanzata di Alessandro Cirillo alla squadra di scrittori di Segretissimo, in questo post trovate la seconda parte delle domande e risposte con tutti gli autori (qui la prima).

Buona lettura.

4)Ebook, audiolibri, podcast, biblioteche digitali, gli anni Duemila hanno visto nascere consolidarsi nuovi metodi per fruire di un libro. La collana Segretissimo è storicamente legata alla distribuzione cartacea nelle edicole. È una forma che può durare ancora per tanti anni?

Denise Jane. Penso che le edicole abbiano ancora un futuro, nonostante molte stiano chiudendo. Per un po’ di tempo dureranno ancora e credo che ci sarà ancora molta gente che avrà piacere di trovare un libro nell’edicola sotto casa. Senza contare che il formato da edicola è un formato più economico rispetto a quelli che si trovano in libreria. Questa caratteristica lo rende più appetibile anche ai lettori che hanno limitate capacità economiche. Le edicole potrebbero evolversi, magari anche fornendo la possibilità di fare recapitare a casa un ordine. Se diventasse possibile distribuire anche il formato carta da edicola, ad esempio utilizzando un canale come Amazon, probabilmente sarebbe un’evoluzione che farebbe bene sia alla collana, sia all’edicola in generale.

Andrea Carlo Cappi – François Torrent. Penso di sì, finché resistono le edicole e, soprattutto, gli edicolanti che sanno fare il loro mestiere. A dire il vero, dal 2012 Segretissimo esce puntualmente anche in digitale e l’ebook ha una vita molto più lunga rispetto ai due mesi di esposizione dell’edizione cartacea. Ma, contrariamente alle aspettative, non mi sembra che in alcun settore ci sia mai stato l’atteso sorpasso dell’editoria digitale rispetto a quella cartacea, tantomeno un auspicato allargamento del pubblico: a “consumare” gli ebook ho idea che siano le stesse persone che già leggevano prima, in genere quando hanno esaurito lo spazio in casa per i libri di carta.

Simone Faré. Quello che mi preoccupa maggiormente è il destino delle edicole oggi, visto che anche in una grande città come Milano le vedo scomparire a ritmo preoccupante. Personalmente sono ancora molto legato all’oggetto libro e le collane da edicola esercitano su di me un grande fascino perché significa ogni mese avere a disposizione una serie di titoli nuovi tra cui scegliere. Penso anche che esista ancora chi fa il gesto di prendere un libro di questo tipo anche un po’ casualmente, quando sa di avere del tempo da far passare (come in un viaggio) e non ha niente da leggere. Però, appunto, servono luoghi dove questa offerta sia disponibile!

Fabrizio Borgio. Questa è una questione difficile da affrontare, sembra che i lettori di Segretissimo abbiano una predilezione per l’acquisto in edicola, quasi un rito laico, ma è altrettanto vero che l’istituzione delle edicole sembra destinata a un ridimensionamento. Probabilmente aumentare l’offerta in più formati e più luoghi, fisici e non, sarà un’opzione necessaria per il futuro.

Jo Lancaster Reno. Beh, Segretissimo si è ovviamente adeguato ed esce anche in digitale già da diversi anni. Le due forme assieme sono il connubio perfetto. Anche perché la forma digitale qua da noi, non è ancora tanto usata e vende molto meno. Finché sarà così è chiaro che il cartaceo farà la parte del leone… Grazie al cielo, aggiungerei.

Andrea Franco – Rey Molina. Credo di no. Le edicole stanno soffrendo molto e sempre meno persone ci passano davanti. In questo senso molte cose cambieranno in futuro. I quotidiani e le riviste di gossip sono stati le prime vittime del progresso tecnologico.

Pierfrancesco Prosperi. Grosso problema. Le edicole sono sempre meno, e anche nelle grandi città mi risulta che è difficile trovare Urania e Segretissimo se non nelle edicole delle stazioni importanti. D’altra parte è l’edicola la sede naturale per queste collane. Penso che in futuro le storie verranno diffuse e fruite sempre più in e-book, e gli irriducibili amanti del cartaceo dovranno rifornirsi in luoghi come la Stazione Termini o la Centrale di Milano.

Scilla Bonfiglioli. Non lo so. So che le edicole sono sempre di meno e difficilmente ci sarà un’inversione di rotta. Segretissimo, Urania e Giallo Mondadori sono delle vere e proprie colonne della narrativa di genere italiana, dei tesori che meritano di essere preservati. Sarà necessario trovare un modo per rimanere al passo con i tempi. Confido che ce la faremo.

Scarlet Zeitgeist Phoenix. Segretissimo è disponibile anche in formato digitale, ma ritengo che la distribuzione nelle edicole non sia obsoleta. I lettori vogliono qualcosa di agile, veloce da leggere e da maneggiare. Veloce come solo le migliori avventure possono esserlo.

Andrea Gallerani. Io spero di sì, anche se vediamo che le edicole stanno scomparendo. Probabilmente al settore “edicola” dovranno affiancarsi altri settori per farla sopravvivere. Però il libro “da edicola”, un po’ mordi e fuggi, ma sempre di qualità, non dimentichiamolo, è un modo per tenere legati alla lettura coloro che leggono abitualmente, e nello stesso tempo è anche una via per acchiappare nuovi lettori, anche se sembra un po’ utopistico pensarlo.

Jason Hunter. Le edicole sono già una specie in via di estinzione. Un cambiamento inviso a chi ha la mia età, ma anche nel vecchio West certi avventurieri non riuscivano ad accettare la fine di un’epoca. Tuttavia i cow-boys esistono ancora. Le collane di Mondadori sono già da tempo presenti in molti dei circuiti di cui lei parla. Se continuerà a crederci l’editore dovrà escogitare il modo per adattarsi ai nuovi metodi distributivi delle versioni su carta stampata che un grande seguito, come già detto, vantano ancora.

Davide De Boni – David Bones. Il mondo delle edicole sta purtroppo andando incontro a una flessione costante, una tendenza che temo si accentuerà sempre di più nei prossimi anni. Per ora, comunque, lo “zoccolo duro” dei lettori che si recano ogni mese in edicola continua a resistere, dando grandi soddisfazioni.

5) Nel mondo dell’editoria è necessario essere pronti a cogliere le nuove tendenze per continuare a rimanere sempre appetibili per i lettori. Come vede l’editoria nel prossimo decennio?

Denise Jane. L’editoria nel prossimo decennio credo che resterà da una parte fedele a quello che è adesso perché dieci anni non sono un tempo lunghissimo, pur considerando che le trasformazioni dal punto di vista tecnologico sono sono molto accelerate. Da un lato sicuramente perderemo alcuni lettori forti storici, puramente per un fattore anagrafico, nel senso che molta parte dei forti lettori italiani in questo momento sono persone di una certa età e ovviamente con il ricambio generazionale questo cambierà. Sicuramente c’è da tenere in considerazione la questione dell’Intelligenza Artificiale, anche se in realtà ciò che preoccupava molto i creativi quando se ne è iniziato a parlare, avrà più o meno lo stesso sviluppo che ha avuto l’ebook. Quando si parlava per la prima volta di ebook la gente era preoccupata che avrebbero soppiantato definitivamente il libro di carta nel giro di poco tempo. C’era chi già dava il libro cartaceo come morto. In realtà si è visto che moltissimi dei lettori sono rimasti affezionati al formato cartaceo. Ecco, io credo che non dobbiamo vedere l’Intelligenza Artificiale come concorrente per gli “scrittori in carne” perché sono convinta che la creatività umana sia sempre superiore a quella di una macchina. Quindi, non credo che i libri scritti da intelligenza artificiale soppianteranno la scrittura creativa di autori veri. Sicuramente cambieranno i testi, probabilmente cercheremo di adeguarli con un ritmo più veloce perché comunque il giovane lettore di oggi è abituato ad un’immediatezza nella comunicazione. Già si vede come cambiamento nei romanzi che vengono pubblicati oggi rispetto per esempio a un romanzo ottocentesco, che chiaramente aveva un formato diverso e una lunghezza diversa. Io credo che si andrà nella direzione di storie magari più brevi, più fruibili rapidamente, magari anche con contenuti media in appoggio, quindi con delle parti grafiche di graphic novel con o delle parti di audio, media e video. Però questo lo vedo comunque più lontano di 10 anni.

Andrea Carlo Cappi – François Torrent. Per nulla incoraggiante. Le case editrici orientate su un pubblico di “non lettori” e “non lettrici” rischiano a lungo termine di deludere chi invece legge abitualmente. Quelle che pensano di dare al pubblico ciò che vuole, in realtà gli danno ciò che loro credono che voglia. Forse è per questo che collane “classiche” come i periodici Mondadori ancora tengono acceso l’interesse: chi le conosce, sa cosa vi può trovare.

Simone Faré. Siamo in un’epoca in cui booktok e altri strumenti stanno avvicinando molto scrittore e lettore. C’è molto entusiasmo a riguardo, ma credo che sia un dialogo a cui bisogna ancora prendere le misure. Dobbiamo capire cosa sarà la maturità di questi nuovi canali di comunicazione e cosa possono realmente portare come idee di scrittura.

Fabrizio Borgio. Il futuro dell’editoria è quanto mai incerto. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale (termine in realtà improprio) sta già scuotendo le fondamenta di tutti i settori basati sulla creatività. Sta diventando prassi specificare sui libri pubblicati da diversi editori se un testo è stato scritto con o senza il supporto dell’Intelligenza Artificiale. Temo che la prospettiva di avere un algoritmo al quale si propone una trama e lui la scriva possa essere troppo ghiotta sia per gli scrittori presunti tali che soprattutto per gli editori, con la possibilità di avere uno strumento che sforni libri di consumo senza il costo aggiuntivo di anticipi, emolumenti e royalties. Spero che ci si preoccupi se non di frenare, almeno di limitare questa prospettiva. Probabilmente avremo una differenziazione dei prodotti: testi in serie scritti da Intelligenze Artificiali, paragonabili a prodotti industriali di bassa qualità e storie scritte da narratori, con il quid dell’inventiva e tutto il valore e la sostanza tipiche dei prodotti artigianali. Non posso e non voglio credere a un’umanità che rinuncia alle sue arti in questa maniera.

Jo Lancaster Reno. Siccome ho più o meno l’età di suo padre, la vedo male. Ma se mi metto un bel paio di occhiali, qualcosa riesco a distinguere nella coltre di nebbia. Un barlume di speranza? Il segreto del successo non è quello di seguire le nuove tendenze, ma quello di crearle. Ma la cosa più importante di tutte è una sola: avere delle cose da dire, da trasmettere. Il futuro che vedo (anche se con gli occhiali), è fatto di libri scritti col cuore, oltre che con la tecnica. Così come nel passato e nel presente, del resto. Ultimamente si parla sempre di più di Intelligenza Artificiale, molti ne sono spaventati, perché pensano che potrebbe persino arrivare a sostituire il lavoro di un autore. A livello tecnico, potrebbe farlo, certo. Ma un’intelligenza artificiale non potrà mai possedere (competere con) un’anima sanguinante che ha urgenza di essere trasmessa, non potrà mai avere un grido da condividere.

Andrea Franco – Rey Molina. L’editoria cambia sempre. Cambiano i lettori, le mode, le idee. Cambiano gli scrittori. Sicuramente ci saranno maggiori contaminazioni di genere e più attenzione a temi sensibili come la sessualità, il razzismo, l’integrazione, l’inclusività. Magari non cambieranno i generi, gli stili, ma gli approcci a determinati argomenti. Già oggi c’è una molteplicità diffusa che solo dieci anni fa ci sognavamo.

Pierfrancesco Prosperi. Sempre più digitale, naturalmente. Si useranno mezzi multimediali, ad esempio testi illustrati in digitale con link per filmati e altro, per catturare l’attenzione della gente. Un grosso problema, secondo me, è che il lettore di oggi è sempre più ignorante, causa anche l’abbassarsi del livello dell’istruzione scolastica, e anche tra i giornalisti e, ahimè, scrittori l’ignoranza dilaga (basta vedere come trattano la grammatica). Difficile quindi prevedere un futuro di qualità per l’editoria.

Scilla Bonfiglioli. Mi piacerebbe che avesse più coraggio, che fosse più aperta a tante nuove proposte creative, che non si focalizzasse su pochi generi che rodati che hanno il pregio di scalare le classifiche di vendita. Ultimamente sono conquistata dalla creatività narrativa che vedo in molte opere videoludiche, dove evidentemente si può sperimentare molto di più. Mi sembra sbalorditivo che un videogioco oggi offra storie visionarie e audaci che in libreria sembrano invece faticare a trovare spazio. Parlo soprattutto da lettrice, visto che sono un’avidissima consumatrice di storie.

Scarlet Zeitgeist Phoenix. Dal mio punto di vista ritengo che l’impostazione commerciale porterà i suoi frutti anche se il rischio, come già stiamo notando, è che l’ispirazione venga soffocata dalle richieste di mercato.

Andrea Gallerani. Penso che in Italia si debbano pubblicare, da parte degli editori medi e grandi, più opere di generi che ora si trovano praticamente solo tradotti. Parlo di fantascienza, fantasy, horror, action, action-thriller, thriller, weird eccetera, e non solo gialli, romance o saghe familiari. Un grande lavoro è stato fatto negli ultimi anni per rilanciare il giallo in Italia e ha dato ottimi risultati, ora bisogna spingere anche gli altri generi. E sto parlando del settore adulti, perché in quello dei ragazzi gli altri generi, appunto, mi sembra tirino parecchio.

Jason Hunter. Non possedendo la sfera di cristallo mi trovo in difficoltà a formulare una risposta adeguata; si parla da decenni di crisi editoriale; conoscendo qualche numero non si può che constatarne la veridicità. Parlo del nostro Bel Paese, in cui sembra proliferare un numero di aspiranti scrittori che va in controtendenza con i dati delle vendite librarie. Ma il mondo è cambiato, la tecnologia pure, sono nate negli anni opportunità come il self publishing, ha fatto la sua comparsa lebook. La carta stampata continuerà a esistere, anzi sono certo che, come per i dischi in vinile, il suo gradimento rinascerà anche presso nuove generazioni di lettori. Il mio timore è che in Italia gli editori di un certo peso investano prevalentemente su titoli spazzatura dallo scarso valore qualitativo ma dalle ottime rese commerciali. Ma tant’è, il mio mondo ufficiale da anni va a braccetto con vendite e fatturati e comprendo certe scelte. Da ciò che sono in grado di sentire all’estero funziona in maniera diametralmente opposta e chi vale, in qualunque genere si cimenti, viene premiato anche grazie all’operato di agenzie letterarie serie. Ma nella nostra penisola la meritocrazia è un concetto che passa in secondo piano, offuscato dalla certezza del fatturato piuttosto che dal rischio d’impresa. Temo che per molti validi autori elevarsi dal guazzabuglio di aspiranti tali possa risultare impresa ardua se non impossibile. Chi ci è riuscito ha cavalcato l’opportunità di farsi apprezzare da onesti talent scout che vantano un certo peso sul mercato (e scusate se, tra questi virtuosi, cito ancora Franco Forte).

Davide De Boni – David Bones. Domanda sulla quale penso si stiano arrovellando tutti i professionisti del settore. Personalmente, vedo un’editoria sempre più sinergica con gli altri media, dalle produzioni cinematografiche e televisive a quelle grafiche e videoludiche. Le storie piacciono a tutti, anche a chi non ama leggere, e spetta al mondo dell’intrattenimento trovare il modo di renderle universalmente fruibili.

6) Il self publishing ha dato la possibilità a tutti di scrivere il proprio libro. I principali store on line, Amazon primo tra tutti, sono pieni di aspiranti scrittori. Il risultato è che spesso la qualità non è all’altezza degli standard minimi per un libro. Tanta quantità, ma poca qualità. Pensa che queste piattaforme debbano dotarsi di controlli di qualità prima di accettare una pubblicazione o il fenomeno regola da solo con il sistema delle valutazioni/ recensioni?

Denise Jane. Io credo poco nei controlli dall’alto, mentre credo molto nei controlli da parte del pubblico. È pur vero che è possibile comprare recensioni e valutazioni su Amazon e altre piattaforme in pacchetti più o meno costosi, si tratta di qualcosa che è già stato fatto e che si continuerà a fare anche in futuro. Alla lunga chi arriva a un certo livello da best seller fondamentalmente è un autore che veramente conosce il suo mestiere. Cioè è molto difficile che un autore mediocre continui in maniera consistente a vendere tanto se i suoi libri non valgono. Magari potrebbe esplodere e spendere bene uno forse due romanzi, però io credo che la qualità e il parere dei lettori trionfino sempre. Quindi, non credo che bisognerebbe controllare, penso che vada bene così. Sta a noi autori scrivere storie sempre migliori e farci conoscere da chi vogliamo che ci legga.

Andrea Carlo Cappi – François Torrent. Il sistema delle valutazioni/recensioni non mi sembra troppo attendibile: se chi si autopubblica trova amici consenzienti può avere cento voti a cinque stelle, mentre a gente del mestiere può capitare che il pubblico fedele legga senza recensire e che a valutare o commentare siano solo i detrattori o gli haters, sbilanciando completamente i punteggi. Ma non vedo opportuno che siano le piattaforme a controllare i prodotti, con il rischio di veti e censure in base a criteri imprevedibili dell’addetto di turno o, peggio ancora, di un algoritmo.

Simone Faré. No, non credo che i sistemi di self publishing debbano dotarsi di controlli perché, per l’appunto, la responsabilità è tutta in mano all’autore. Guardo però con sospetto il sistema delle valutazioni e recensioni che spesso sono inquinate da attività di puro marketing. Credo comunque che le piattaforme di self publishing offrano soprattutto la possibilità a molte persone di avere a disposizione l’oggetto del loro operato in un formato facilmente distribuibile. Da lì molto spesso il destino del libro dipende da quanto impegno l’autore mette nella promozione. Quando gli riesce di richiamare intorno a sé un buon pubblico, magari anche con un gran lavoro dietro, credo che il successo sia tutto meritato.

Fabrizio Borgio. No, purtroppo il fenomeno non è assolutamente contenuto dal sistema delle valutazione e recensioni. Si è creato un indotto perverso attorno al self publishing, che di suo non voglio demonizzare perché conosco degnissimi autori self, ma che nei numeri premia libri ignobili, spesso obbrobriosi grazie alla compravendita delle valutazioni. Amazon sta cercando di mettere un freno a questo sistema che genera seguito falso e classifiche intossicate ma è sempre più difficile contrastarlo. Altresì non credo abbia senso predisporre una sorta di commissione per valutare la validità di un testo autoprodotto. Sarebbe molto più utile istruire i lettori, renderli più consapevoli del valore di un testo partendo da criteri di base. Dopo è tutto relativo alle impressioni del lettore.

Jo Lancaster Reno. Tanta quantità e bassa qualità, uguale a “gran casino”, per non dire di peggio. Un aspirante scrittore che sogna di esserlo, senza averne la minima capacità, un tempo si affidava agli editori a pagamento, mentre adesso è in grado di pubblicare il libro da solo, pubblicizzandolo con decine di finte recensioni. Un controllo qualità su queste opere sarebbe impensabile da ipotizzare. Non ho idea di come si possa riuscire ad arginare questa ennesima assurdità. Forse si potrebbero assoldare dei sicari?

Andrea Franco – Rey Molina. No, penso che ci dovrebbe essere meno gente che scrive pensando di mettersi sul mercato e meno gente che compra libri autoprodotti. Il sistema “qualità” dobbiamo gestirlo noi, scegliendo cosa leggere e cosa non leggere. Io sono per l’editoria tradizionale, sempre. Ovviamente anche lì trovi brutti libri. Ma se l’editore è serio (no EAP) fa comunque un lavoro che è finalizzato a un obiettivo: cercare il meglio da offrire al lettore per ottenere il maggior numero di vendite. È il mercato, a volte si punta alla qualità, altre a… ad altro, insomma. Ma qui il discorso è lungo, ho semplificato molto. Se ne dovrebbe fare una bella e lunga discussione faccia a faccia, almeno un’ora!

Pierfrancesco Prosperi. Uno dei grandi problemi della letteratura italiana è che gli italiani leggono poco ma scrivono molto. Dimenticandosi che per scrivere molto bisogna aver letto moltissimo. Le nuove tecnologie e il self publishing hanno peggiorato la situazione, nel senso che chiunque può pubblicare un proprio scritto in cartaceo a prezzi irrisori. D’altra parte introdurre meccanismi di valutazione della qualità quale condizione per pubblicare può portare a pericolose forme di censura. L’unica purtroppo è lasciar fare al mercato che implacabilmente farà giustizia di quel 90% di testi illeggibili.

Scilla Bonfiglioli. Questione spinosissima e su cui non so davvero esprimere un giudizio oggettivo. Nel self publishing ho trovato personalmente delle vere e proprie perle in mezzo all’immondizia, poi tutte le varie sfumature tra i due poli. D’altra parte, è inutile mentire, questi estremi si trovano anche in libreria, magari per motivi diversi o misure diverse. È difficile stabilire quali controlli di qualità dovrebbe impostare un gigante consumistico come Amazon, che ha tutto l’interesse nel permettere a chiunque di pubblicare qualunque cosa proprio per sua natura. Di certo è il pubblico di lettori che sceglie. A volte le recensioni si dimostrano una buona cartina tornasole, altre volte no. È decisamente complicato.

Scarlet Zeitgeist Phoenix. Credo che riuscire a controllare le migliaia di “prodotti” che vengono caricati sulla piattaforma sia impossibile. È un sistema fuori controllo. I gruppi di lettura e il passaparola possono arginare un minimo questo problema. Onestamente non credo molto nelle recensioni.

Andrea Gallerani. Questo è un discorso complesso e non voglio esprimere un giudizio netto. Ci sono tante sfumature. C’è lo scrittore consapevole, con già molta esperienza che sa che per pubblicare un romanzo/racconto bisogna passare per un editing da parte di qualcuno che lo fa in maniera professionale. Poi ci sono coloro che pubblicano senza pensarci, consapevoli o meno della necessità di un controllo editoriale. Infine ci sono le recensioni, che possono addirittura diventare un “mercato”, eticamente molto discutibile, che può affossare o innalzare un libro/autore indipendentemente dai veri meriti. L’importante per me è seguire i vari autori che meritano davvero (basta preventivamente scaricare e leggere le anteprime gratuite degli ebook per capire se un autore è valido o meno).

Jason Hunter. No comment: da “narratore occasionale” fattosi da sé (così amo definirmi) non voglio giudicare opere o strade intraprese da altri, non sarebbe corretto nei loro confronti. In fase embrionale, quando ancora non conoscevo il settore e non avevo metodo, ho valutato tante soluzioni, anche quelle di cui parla. Di mio non ho mai amato scorciatoie più che altro fini a sé stesse e oggi sono felice delle scelte effettuate.

Davide De Boni – David Bones. Penso che imporre un controllo di qualità snaturerebbe l’essenza stessa del self publishing; allo stesso tempo, la mancanza di un filtro fa sì che esca un po’ di tutto, rendendo molto difficile per il pubblico orientarsi tra ciò che è meritevole e ciò che invece rischia di allontanarlo ancora di più dalla lettura. Il sistema delle valutazioni/recensioni purtroppo tende spesso a fallire per una serie di motivi, primo fra tutti la compravendita delle stesse.

7) Da qualche anno Mondadori organizza un premio letterario per romanzi spy intitolato ad Alan Altieri, affiancato di recente da uno per racconti dello stesso genere dedicato a Stefano Di Marino. Quali sono le caratteristiche che deve avere un aspirante autore per entrare nella Legione di Segretissimo?

Denise Jane. Su questo argomento ho un po’ più di polso della situazione perché nel 2023 sono stata finalista sia del premio Altieri, sia del premio Di Marino. Avendo vinto il premio Altieri per il romanzo di spy inedito ho le idee abbastanza chiare. Che cosa serve per vincere? Beh, bisogna conoscere la destinazione editoriale del proprio lavoro, quindi non è che uno scrive una storia con degli elementi vagamente spy e la invia al premio Altieri o al premio Di Marino sperando che vada bene. Segretissimo ha delle particolarità e chi ambisce a scrivere per questa collana deve conoscerle. Innanzitutto occorre avere una forte conoscenza del genere di spionaggio, quindi sapere che tipo di personaggi ci sono all’interno di questo genere di storie. È molto importante il focus sulla tecnologia, sia per quanto riguarda le armi, sia nel più nel senso comune del termine, ovvero informatica intercettazioni, telefoni, satelliti e in generale tutto quello che ha a che fare con l’IT. Insomma, improvvisare su queste cose non porta buoni risultati. Inoltre, è necessario avere un ottimo controllo della trama perché per scrivere una storia che possa andare in finale è necessario che il ritmo della narrazione sia estremamente rapido e concitato, che non ci siano mai dei fili che vengono lasciati così in sospeso. Chi parte senza sapere che cosa sta scrivendo, difficilmente riuscirà a ottenere buoni risultati. Il ritmo deve essere così accelerato per colpa o per merito dei lettori di spy, che sono anche fruitori di cinema d’azione. Loro sono abituati a un ritmo molto accelerato che si aspettano di trovare, ovviamente in misura diversa ma comunque non inferiore, nei romanzi. Oltre a questo, anche se l’ho dato per scontato ma non lo è, ritengo indispensabile conoscere la tecnica di scrittura. Non soltanto scrivere un italiano corretto, non soltanto maneggiare bene la trama, ma conoscere le tecniche per costruire suspense, focalizzare l’attenzione del lettore, per creare attesa, per descrivere un movimento concitato o una scena d’azione, quale punto di vista scegliere per la narrazione. Ci sono moltissimi fattori. Alcuni, come quelli che ho elencato, si possono applicare anche ad altre forme di scrittura. Altri, tipo la conoscenza tecnologica o politica e geopolitica, sono più specifici e prettamente inerenti alla  Spy Story.

Andrea Carlo Cappi – François Torrent. In primo luogo, deve sapere cosa sia Segretissimo, quindi aver letto ciò che vi hanno pubblicato Sergio “Alan D.” Altieri e “Stephen Gunn” Di Marino, ma anche De Villiers e possibilmente qualche vecchia firma, come Jean Bruce o Desmond Bagley. Nel contempo, come sottolineava spesso Di Marino, deve avere familiarità con il “mestiere” spionistico, perché Segretissimo non è un flusso ininterrotto di sparatorie, ma è fatto anche di intrighi, tecniche e giochi sottili, che vanno intrecciati in modo coerente ed equilibrato con l’azione; per cui occorre anche conoscere casi di spionaggio reali del passato (la tecnologia cambia, gli esseri umani no). Inoltre è necessario conoscere lo scenario geopolitico in cui si ambienta la vicenda, il che impone un serio lavoro di ricerca. Insomma, chi si cimenta in questo campo deve avere coscienza che non basta copiare una formula per sfornare una Spy Story. Come giurato del Premio Di Marino, noto con piacere come autrici e autori abbiano saputo fare propri questi concetti.

Simone Faré. Deve avere senso dell’avventura e non tirarsi indietro davanti a niente. Deve sapere di dover proporre una storia che sia Grande sia come scenari che come obiettivi. È importante anche lavorare su un protagonista e un antagonista accattivanti tra cui nasca una buona chimica.

Fabrizio Borgio. Da quello che ho inteso, per entrare nella Legione il requisito principale è saper scrivere. Detta così è banale ma non è scontato trovare autori che abbiano il giusto ritmo, il necessario spessore, una capacità di costruire la storia, la trama, il mondo con una profondità che non si riduca alla mera, telegrafica descrizione. Occorre mestiere e utilizzare con sapienza gli elementi caratterizzanti della collana: azione, intrigo, violenza ed erotismo, il tutto vissuto da personaggi carismatici e dalla personalità ben definita.

Jo Lancaster Reno. Il fatto che ci siano questi premi, è molto entusiasmante, anche se esistono a causa di un avvenimento triste e drammatico. La perdita di questi due grandi uomini, nonché grandi scrittori, ha generato la possibilità che altri possano diventarlo. Ma venendo alla sua domanda: scrivere una Spy Story è piuttosto impegnativo. Richiede un notevole lavoro di documentazione. Per quanto riguarda le location, le armi, le tecnologie, le scene di combattimento Occorre conoscenza storica. Capacità di analisi degli scenari globali. Tutto al servizio di una narrazione fatta di intrighi e colpi di scena. Occorre quindi effettuare un grandissimo lavoro preparatorio, mettendolo al servizio di una buona scrittura per creare trame coinvolgenti. Un romanzo di spionaggio che funziona, deve colpire il lettore allo stomaco e al cuore.

Andrea Franco – Rey Molina. Deve essere un appassionato lettore, conoscere il genere, documentarsi, saper scrivere. Insomma, quello che serve a ogni scrittore di ogni altro genere. Non si improvvisa nulla. Dopotutto, lo dico spesso, scrivere è un mestiere, non un passatempo. E come in ogni mestiere c’è bisogno di competenze specifiche, oltre a capacità personali che spesso non si possono insegnare.

Pierfrancesco Prosperi. Credo che la prima dote, che vale anche per molti altri tipi di storie, sia una curiosità insaziabile. I mass media e i social ci bombardano di informazioni; si tratta di saper “pescare” tra le tante notizie – purtroppo – drammatiche che ci arrivano quelle che possono dare adito a uno sviluppo narrativo. I conflitti grandi e piccoli che ci circondano sono suscettibili in buona parte di far nascere delle storie: io recentemente mi sono ispirato alle mire cinesi su Taiwan, al revanscismo argentino che mira ancora a riconquistare le Malvinas, al sempiterno contrasto tra Israele e Iran. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Inoltre, si possono scegliere anche storie “minori”, personali: il contrasto tra due agenti rivali, ad esempio, con vicende di amore e morte…

Scilla Bonfiglioli. Deve scrivere una buona storia, la regola alla fine è molto semplice. È la storia che parla al lettore e che deve conquistarlo, trascinarlo con sé in mezzo ai deserti, nelle metropoli più esotiche, perfino ai confini del mondo, se necessario. E dal momento che questo è un obiettivo abbastanza ambizioso, è necessario che la storia regga, che l’impianto sia solido per sostenere il peso di personaggi che per natura sono fuori dalle righe. Gli eroi di Segretissimo sono esagerati: eccezionali, straordinari nel senso di extra-ordinari. Non sono uomini e donne comuni, perché devono essere la versione migliore possibile in cui il lettore possa identificarsi, sia nel bene che nel male. Le loro doti devono essere estreme, ma lo stesso vale per le loro debolezze. Scenari esotici, forti emozioni, ritmo adrenalinico sono il resto degli ingredienti.

Scarlet Zeitgeist Phoenix. Leggere i romanzi di Altieri e Di Marino è fondamentale, ma è anche un’ovvietà. Bisogna amare la spy, essere in grado di comprendere la situazione geopolitica mondiale e saperla intrecciare a storie avventurose. Bisogna imparare a dosare fantasia e rigore, lasciandosi pervadere dallo spirito del legionario.

Andrea Gallerani. Secondo me deve piacerti il genere e leggerne tante storie. Potrei fermarmi qui. In realtà ci sono anche molte altre modalità per seguire il genere. Su altri medium, come il cinema, la serialità televisiva, i fumetti, i videogiochi, o i giochi di ruolo. Poi devi essere nella mentalità di voler scrivere una storia breve come quella di un racconto o lunga come un romanzo. Soprattutto la volontà di voler narrare una storia che ti piace, sempre però restando nei “paletti” del genere.

Jason Hunter. Ho avuto il privilegio di vincere nel 2020 l’ambito premio Altieri, tuttavia sono un venditore di prodotti altrui non così bravo a incensare sé stesso. Chi lo ha vinto prima e dopo ha forgiato progetti innovativi o ha calcato temi tradizionali inseriti in un contesto attuale, in ambo i casi realizzati con maestria narrativa riconosciuta da giurie e lettori. Credo gli ingredienti siano questi, per quanto mi riguarda ringrazio ancora a distanza di anni chi ha ritenuto di averli trovati nelle mie produzioni. Credo riesca a immaginare l’emozione e l’onore provati nel trovarsi a fianco di tanti bravi professionisti.

Davide De Boni – David Bones. Potrà sembrare banale, ma la caratteristica più importante che deve possedere l’aspirante autore è una conoscenza a trecentosessanta gradi della collana e del genere: leggere spionaggio, e soprattutto leggere Segretissimo, è un ingrediente imprescindibile. L’altro elemento fondamentale è un’idea originale. La Legione di Segretissimo è sempre pronta ad accogliere nuove leve.

8) I canonici personaggi di  Spy Story e Action Thriller sono agenti segreti o soldati stranieri, spesso appartenenti al mondo anglosassone. La collana Segretissimo non fa eccezione. I personaggi italiani hanno sempre avuto una rilevanza marginale in questo tipo di romanzi, tuttavia, negli ultimi qualcosa sta cambiando. Sempre più storie hanno protagonisti nostrani, sia appartenenti ai servizi segreti, sia in organico a Forze Armate e Forze dell’Ordine. Alcuni prodotti sono di buona qualità, altri meno, ciononostante è interessante vedere che esiste una domanda di libri con queste caratteristiche tra i lettori. Pensa che Segretissimo dovrebbe investire di più in questa tipologia di romanzi?

Denise Jane. Il personaggio nostrano sicuramente può avere per il pubblico italiano una maggiore attrattiva per certi versi, ma non dimentichiamo che il pubblico italiano è anche profondamente esterofilo. Quindi, sarà una trasformazione che secondo me richiederà un po’ di tempo. Credo che semmai i libri della serie Segretissimo italiani verranno tradotti all’estero e il fatto di avere un agente locale potrebbe essere considerato un punto di forza nel momento in cui si presenterà il prodotto sul mercato internazionale. Per quanto riguarda il mercato italiano, sicuramente i personaggi italiani hanno un loro interesse e loro fascino a patto che mantengano comunque una certa internazionalità perché il lettore di spy cerca orizzonti più ampi del giardino dietro casa. Fermo restando che un autore dovrebbe scrivere di quello che conosce o che comunque gli è più vicino, per esempio se conosce meglio i servizi segreti italiani è bene che parli di quelli. Chi invece conosce meglio per vari motivi le forze armate straniere, ma deve conoscerle seriamente, o chi magari a contatto con persone di background diversi da quello italiano, secondo me purché il realismo sia mantenuto dovrebbe cercare di portare in scena personaggi che abbiano la maggior componente realistica possibile. Poi, che siano italiani o stranieri, l’importante è il risultato finale. Secondo me, senz’altro l’Italia come Paese in generale ha tutte le caratteristiche per poter produrre  Spy Story. Questo senza dubbio. Basta vedere la nostra storia recente, quella degli anni Settanta ma anche degli anni Novanta. Ci sono casi che effettivamente starebbero benissimo in una storia, basta solo darsi la pena di cercarli e riuscire a narrarli in modo che abbiano comunque un’attrattiva per chi ha una tendenza esterofila nelle sue letture.

Andrea Carlo Cappi – François Torrent. Certo. A patto di non trapiantare in contesti italiani stereotipi ormai arrugginiti nei romanzi stranieri. Personalmente, sono il sostenitore di un approccio “europeo” alla  Spy Story, cioè diverso da quello del mondo anglo-americano. Vivendo tra Italia e Spagna, ho cominciato con un protagonista italiano, Carlo Medina; ma la mia serie più longeva ha un’eroina spagnola, Mercy “Nightshade” Contreras, ora alternata allo spin-off sulla boliviana Rosa “Sickrose” Kerr. Nessuno di loro è un militare né un agente segreto nel senso classico del termine, perché sono tutti e tre contractor che hanno lavorato per (o contro) diverse agenzie. Non mi sono mancate, negli anni, le ambientazioni italiane, perché anche nel nostro paese agiscono o transitano spie. Noi abbiamo la possibilità di usare questi scenari senza cadere in un “effetto cartolina” come spesso capita ai colleghi americani.

Simone Faré. C’è una grande ricchezza a esplorare come si comportano i servizi segreti delle varie nazioni e come sono interconnessi tra loro. Gli italiani non hanno nulla da invidiare a nessuno in quanto a intrighi e non c’è scenario dove non possano essere inviati. Confesso che la mia squadra in verità è composta da un inglese e un gruppo di russi, però ho voluto che la sede della Silent Corporation a cui rispondono fosse a Milano proprio perché mi piaceva portare il nostro punto di vista di italiani, magari un po’ più disilluso e cinico, nelle avventure di spionaggio.

Fabrizio Borgio. Penso di sì e dicendo così forse entro in conflitto d’interessi visto che il mio personaggio è italiano, ma mi rendo conto che a un certo punto i lettori hanno il desiderio di leggere storie dove anche noi, noi italiani non sfiguriamo davanti a tante altre blasonatissime spie d’oltre oceano. Da qualche parte si parla di Action Tricolore. Segretissimo potrebbe diventarne l’Alfiere.

Jo Lancaster Reno. Direi che lo sta già facendo. La  Spy Story è sempre stata appannaggio di scenari e autori stranieri. Per forza di cose direi. La Legione, in definitiva è stata creata a causa di questo presupposto, come una sorta di provocazione. Per dimostrare attraverso un piccolo inganno che anche gli autori nostrani possono essere all’altezza. Al grido di battaglia di “italians do it better!” la sfida è stata lanciata e vinta. Il lettore alla fine lo ha capito. Così come in altri generi: il noir, il giallo, l’horror, la fantascienza. Trent’anni fa partì una vera e propria rivoluzione grazie a una piccola compagine di scrittori bolognesi (il gruppo 13) che iniziarono a cambiare le cose: ambientando romanzi di genere nel nostro paese, ottenendo risultati sorprendenti che hanno, per così, dire: aperto la strada. Io stesso sono riuscito ad uscire con molti romanzi horror ambientati qua da noi, per grandi editori. Con la  Spy Story, il percorso è stato più tortuoso, ed è dovuto passare attraverso il progetto Legione per diventare conclamato. E i nuovi arrivati, le reclute, stanno dimostrando grande valore. Oltretutto con l’entrata nei ranghi di diverse autrici, impavide guerriere che sono riuscite a dimostrare che gli appannaggi non esistono. Solo la buona scrittura conta. Non so quanti esempi ci siano a livello mondiale di donne che scrivono  Spy Story. In Italia le abbiamo, grazie alla collana di Segretissimo e al lavoro fatto durante tutti questi anni dai comandanti in capo che si sono susseguiti e dagli autori della Legione, che hanno portato avanti questo discorso, come una sorta di militanza, sacrificando a volte anche il loro lavoro da scrittori canonico.

Andrea Franco – Rey Molina. Piano piano. Prima potevamo pubblicare solo con pseudonimi, ora no. Prima si girava il mondo, ora stiamo facendo capire a tutti che un action thriller può svolgersi anche a Roma, Milano, nella provincia italiana. Il mio ultimo romanzo è ambientato proprio a Roma. Anche Stefano Di Marino si è mosso sui nostri territori. E ne arriveranno altri. Il lettore ci sta dando la sua fiducia. E presto accetterà anche l’ultimo passo: l’Italia.

Pierfrancesco Prosperi. Penso che sia giusto dare spazio a personaggi italiani, nel tentativo di dar vita a una “via italica” alla  Spy Story. Poiché però lo sfondo delle storie di Segretissimo è il mondo, ritengo che questi eroi nostrani dovrebbero vivere, il più possibile, avventure internazionali, ai quattro angoli del globo. L’ambiente italiano non è dei più adatti. Io furbescamente ho ideato un protagonista nato in Italia – e quindi imbevuto di spirito e di cultura italiana – ma l’ho trapiantato in Israele, dandogli quindi una doppia natura che si sposa bene, a mio avviso, con l’ambiguità delle storie di spionaggio.

Scilla Bonfiglioli. Sono la persona meno adatta a perorare la causa, probabilmente, i miei personaggi di punta sono entrambi curdi. Nero è di origine iraniana, Zagara è italiana soltanto da parte di padre. In Italia c’è fin troppa xenofilia, per quanto riguarda la narrativa di genere, soprattutto orientata al modello anglo-americano dal momento che siamo stati tutti nutriti a oltranza da esso. Quindi se con la  Spy Story si comincia a esplorare anche qualcosa di più locale, non può certo essere un male. In linea di massima, dipende da quello che si vuole raccontare: il fulcro sono sempre le storie. Io avevo bisogno di raccontare ai miei lettori del popolo curdo e, di conseguenza, i miei protagonisti sono curdi. Magari in futuro arriverà un agente segreto tutto italiano, chissà?

Scarlet Zeitgeist Phoenix. Le grandi piattaforme di servizi streaming stanno investendo sempre più in storie ambientate in varie parti del mondo, segno inequivocabile che la supremazia anglosassone sta perdendo la presa. Penso possa funzionare anche in ambito letterario. Personalmente conosco diverse persone che appartengono a gruppi culturali legati al territorio, felici di promuovere gli scrittori che raccontano del proprio territorio.

Andrea Gallerani. Sarebbe interessante, ma partendo da Segretissimo si potrebbe poi arrivare anche ad altre pubblicazioni, per far arrivare l’interesse a un pubblico sempre più vasto e, speriamo, sempre più interessato a valutare romanzi e storie action prodotte in Italia.

Jason Hunter. Credo sia un bene che anche personaggi e ambientazioni nostrane facciano parte dell’immaginario spionistico mondiale: il nostro Bel Paese ha tutti i requisiti per non sfigurare su tale panorama. Credo altresì che, per variare il menù, si dovrebbe ancora andare alla ricerca di autori stranieri in grado di proseguire una tradizione iniziata con Jean Bruce e Gerard De Villiers. Immagino che sul panorama internazionale oggi non ci sia solo l’immenso Daniel Silva a cimentarsi nel genere e reputo necessario reperire gli altri per pubblicarli in una collana tanto prestigiosa. Opinione personale che non vuole essere una critica o togliere alcunché a chi lavora da mattina a sera, sono un brutto elemento a cui piace nei menù variare spesso portata.

Davide De Boni – David Bones. Diciamo che l’interesse per l’italianità da parte dei lettori di Segretissimo si è acceso fin da quando è stato svelato che molti dei loro autori preferiti erano in realtà italiani sotto pseudonimo; da allora sono stati introdotti sempre più personaggi e scenari nostrani, con una buona risposta da parte del pubblico. L’anima di Segretissimo, però, rimane internazionale, e renderla “troppo italiana” rischierebbe a mio avviso di snaturarla.

9) Cambiamo argomento e parliamo di cinema. Perché in Italia non si riescono a produrre validi film d’azione?

Denise Jane. Questa è una domanda che mi ha fatto sorridere perché effettivamente è un’ottima domanda. Io credo che principalmente sia una questione di budget, nel senso che magari esistono anche degli script che sono degli ottimi film d’azione prodotti da scrittori italiani e portati alle produzioni italiane. In realtà, io suppongo che ci sia una forte barriera. Film così, di scrittori esordienti o anche affermati ma che superino un certo budget per essere prodotti, difficilmente arrivano poi a essere portati nelle sale. Credo che i film d’azione siano estremamente costosi perché basta pensare a un Mission Impossible, per il tipo di attori, il tipo di location e per la quantità di materiale che viene fatto saltare in aria. Sono estremamente costosi e in ragione di ciò penso che la risposta alla domanda vada principalmente ricercata in un problema di budget.

Andrea Carlo Cappi – François Torrent. Forse perché i pochi che ancora si producono – come i tre film di Diabolik dei Manetti bros. (e qui, lo ammetto, sono di parte: ho scritto io le novelization) – vengono stroncati da recensioni che spesso sembrano scritte da qualcuno che non ha visto i film. In fondo il periodo d’oro anni ’60-’80 per l’editoria nelle edicole italiane coincise con quello per il cinema di genere: pensiamo alle coproduzioni italiane di spaghetti western, spy-movies, thrilling, horror, poliziottesco, non tutte di enorme qualità, ma con un gran numero di pellicole di culto. Anche quelle venivano stroncate all’epoca, ma il pubblico non sembrava farci troppo caso. In Francia e in Spagna se ne continuano a realizzare, in Italia no, per poi lamentarsi quando ne arrivano dall’estero e hanno successo. Eppure i fumetti e la narrativa, incluso Segretissimo, attestano che sapremmo ancora fare certe cose, se ce le lasciassero fare.

Simone Faré. È un problema che nasce molto prima, in Italia c’è un pregiudizio nei confronti delle storie d’azione che vengono considerate sempre e comunque di serie B. Non viene riconosciuta ai loro autori l’abilità e il mestiere che vi hanno messo per realizzarle. È un problema che possiamo far risalire fino a Salgari, secondo me, un autore che dovremmo considerare tra le basi della nostra letteratura. Cinematograficamente siamo stati per molti anni la seconda industria al mondo, con una maturità, anche nell’azione, comune a pochi, eppure anche lì siamo arrivati a un momento in cui abbiamo creduto che investirci fosse una perdita di tempo. Prima di realizzare buoni film d’azione dovremmo scoprirci orgogliosi di farlo.

Fabrizio Borgio. Sarei ancora più spietato: in Italia non siamo più capaci di produrre film validi di qualsiasi genere. Il nostro cinema è di certo in crisi profonda e analizzarne le cause non è il luogo. Eppure non è sempre stato così, basta pensare a quella stagione pazza e scriteriata che ha attraversato due decenni: gli anni Settanta e gli anni Ottanta, dai poliziotteschi che erano diventati un vero e proprio genere a sé fino ai vari cloni degli action americani, il nostro cinema produceva moltissimi film di genere, qualità media o medio bassa ma palestra di registi e attori che erano diventati soggetto di culto. C’è un problema proprio di storie, di sceneggiature, del feticcio del cinema serio e impegnato che non si sporca le mani e della commediaccia che vende e non lascia spazio a nient’altro, come una pianta infestante. Ogni tanto ci provano e alcuni risultati sono stati egregi ma sempre casi isolati. Spero nel senso di saturazione di un pubblico che alla fine si stufi di cliché triti e ritriti e di film che si parlano addosso senza fare vero cinema.

Jo Lancaster Reno. Servono tanti soldi. Attori in grado di farlo anche a livello fisico. Le produzioni italiane non investono su progetti troppo costosi e vogliono andare sul sicuro. Qua da noi solo la commedia si riesce a fare bene. Il problema poi riguarda anche l’horror, salvo rare eccezioni. Per non parlare del fantascientifico di un certo livello. Però qualche sprazzo di roba decente si comincia a vedere, quindi… Chissà?

Andrea Franco – Rey Molina. È solo una questione di soldi. Ce ne sono pochi e un film d’azione costa. E siccome, come per la scrittura, noi spesso boicottiamo i prodotti nostrani, perché investire tanto col rischio di un flop?

Scilla Bonfiglioli. Abbiamo abdicato alla realizzazione di film di questo tipo, credo. La tradizione del cinema italiano sembra passare per la commedia o per storie che raccontano la quotidianità borghese, ha tagliato completamente al di fuori generi che gli spettatori cercano come l’aria e vanno a cercare altrove. Vale per il cinema d’azione, come per il fantastico, per esempio. Ogni tanto ci sono dei tentativi sporadici, ma a parte qualche produzione coraggiosa sembra che la situazione sia inamovibile. La sensazione è che ci sia una ricerca sclerotizzata di un’ “italianità” che non corrisponde a quello che gli italiani sono o desiderano davvero, ma che è più una cifra stilistica.

Scarlet Zeitgeist Phoenix. Probabilmente dipende dal nostro retaggio. I film d’azione sono figli del mondo anglosassone e americano. Anche dal punto di vista storico queste nazioni hanno contribuito a creare la figura dell’eroe mentre noi, in Italia, inseguivamo quella del santi e dei martiri. Ma i tempi cambiano, almeno spero.

Andrea Gallerani. Perché i produttori non vogliono rischiare? Vedo che da qualche tempo a questa parte però qualcosa si sta muovendo, però non sono esperto dell’argomento, quindi mi limito a qualche esempio. Parlo di alcune produzioni come i film di Manetti, oppure il film di Di Stefano, L’ultima notte di Amore. Oppure ancora Comandante di De Angelis. Ma vorrei citare anche Soldado, di produzione americana ma con la regia italiana di Sollima.

Jason Hunter. A ognuno il suo: il cinema italiano ha preferito specializzarsi su filoni autoriali e cinepanettoni, o forse è stato obbligato a farlo. Le “americanate” le lasciamo agli americani, agli inglesi, ai coreani e a qualcun altro. Ma poi è sicuro che la domanda sia del tutto corretta? In questo momento mi balza in mente Stefano Sollima, regista di Suburra, Adagio e Soldado, per fare degli esempi. Poi ci sono lavori non necessariamente action, quali la serie “I leoni di Sicilia” distribuita in tutto il mondo da Disney+, che non hanno nulla da invidiare a produzioni internazionali. Non è che siamo troppo affetti da esterofilia?

Davide De Boni – David Bones. Domanda interessante, anche se temo di non essere la persona più indicata a dare una risposta. Credo che i fattori in gioco siano molti, a partire dall’industria stessa, che spesso non ha il coraggio di osare e preferisce puntare sui soliti cavalli. Segretissimo, da questo punto di vista, potrebbe senz’altro offrire un ottimo bacino di soggetti originali “made in Italy”. Forse un giorno, chissà..

10) Concludiamo con una domanda alla Marzullo: qual è la domanda che non le hanno mai fatto e che vorrebbe le venisse fatta?

Denise Jane. Mi hanno chiesto un po’ di tutto, in realtà. Però una cosa che non mi hanno mai chiesto è se scriverei a quattro mani con qualcuno così. Se potessi scegliere, e qui io qui faccio la mia confessione, mi piacerebbe moltissimo scrivere a quattro mani con Michael Connelly oppure con Andy McNab. So che non leggeranno mai questa intervista, so che non gliene può fregare di meno, però se sono là fuori io li saluto e li stimo tantissimo, davvero sarebbe fantastico poter lavorare con loro per imparare i loro trucchi del mestiere.

Andrea Carlo Cappi – François Torrent. La domanda potrebbe essere: «C’è qualche genere o sottogenere della narrativa popolare che non ha mai toccato?» E la risposta sarebbe: «Credo di no!» Tra giallo, noir, thriller, spionaggio, umorismo, fantascienza, horror, fantasy in varie declinazioni, erotico, mystery storico, a volte combinando tra loro diversi generi, penso di averli provati più o meno tutti. Ce n’è giusto uno che sinora ho affrontato solo in modo trasversale: il western: che ho contaminato con il fanta-horror in Martin Mystère, o trasposto in chiave moderna e spionistica con Sickrose – Bandida, il romanzo di Segretissimo del novembre 2023. Escludendo la saggistica, visto che mi sono dedicato anche a quella, l’unica cosa che non abbia ancora scritto è “un libro serio”, se con questo si intende “di narrativa assolutamente non di genere”. Ma per il momento preferisco nascondere, di tanto in tanto, questioni molto serie in storie che intrattengano il mio pubblico. Una cosa non esclude l’altra.

Simone Faré. Spesso mi immagino gente che viene a chiedermi dei dettagli e dei particolari dei miei libri. Nei casi positivi vanno a cogliere qualche collegamento o sottotesto che ho inserito volontariamente, nei casi negativi si insinuano dove la mia costruzione è scricchiolante. In entrambi i casi analizzare approfonditamente con un lettore quello che ho scritto sarebbe molto divertente.

Fabrizio Borgio. Non mi hanno mai chiesto quale sia la mia idea di narrativa, confido di dare così un suggerimento a un eventuale intervistatore per il futuro.

Jo Lancaster Reno. Da che parrucchiere vado.

Andrea Franco – Rey Molina. Chi vorresti che leggesse il tuo prossimo romanzo? Mio padre.

Pierfrancesco Prosperi. «Perché hai scelto un personaggio controverso e discutibile come un agente segreto israeliano?» La risposta è che mi attirava l’ambiente mediorientale perché l’ho studiato per vari romanzi e perché lo stesso Israele è un paese un po’ fantascientifico, un paese che non doveva nascere e che per certi paesi vicini non esiste ancora oggi (le carte geografiche giordane, ad esempio, nominano tutti i paesi confinanti fuorché Israele). La decisione di utilizzare un agente del Mossad mi ha obbligato a fare una scelta di campo; è chiaro che, pur condannando decisamente le prevaricazioni, le violenze e le prepotenze che l’esercito israeliano compie quotidianamente nei riguardi dei palestinesi, non posso che stare dalla parte di Israele contro coloro che vorrebbero cancellarlo dalla faccia della terra. E se a qualcuno non va questa mia presa di posizione, pazienza.

Scilla Bonfiglioli. Potrebbe essere: «Può la narrativa cambiare la percezione del mondo?» È una domanda arrogante, ma credo che dovrebbe essere posta più spesso per tenere il polso della situazione. Non è detto che esista una sola risposta valida. Da parte mia, ci sto pensando molto. Prima o poi, se qualcuno me lo chiederà , risponderò.

Scarlet Zeitgeist Phoenix. «Se te lo dicessi poi dovrei ucciderti…»

Andrea Gallerani. Non sono sicuro che non me l’abbiano mai fatta, ma penso che sia: «perché ti piace tanto scrivere?»

Jason Hunter. Marzullo… mai seguito. Forse ho dato la risposta che non avrei mai voluto dare…?

Davide De Boni – David Bones. Dunque, vediamo… nessuno mi ha mai chiesto qual è la mia parte preferita nei romanzi e nei film di spionaggio. È la parte in cui la faccenda per i protagonisti si complica al punto da dare l’impressione che non riusciranno mai a tirarsene fuori: è lì, secondo me, che i personaggi emergono davvero e la storia svela tutto il suo potenziale.

Articolo protocollato da Alessandro Cirillo

Alessandro Cirillo è autore di una serie di libri appartenenti ad un genere che definisce Action Tricolore. Si tratta di romanzi d'azione caratterizzati da protagonisti appartenenti alle forze armate italiane.Attacco allo Stivale è stato il suo romanzo d'esordio, seguito da Nessuna scelta, Trame oscure (secondo classificato nella sezione e-book del I°Premio letterario Piersanti Mattarella) e L'oro di Gorgona.Dalla collaborazione con l’autore Giancarlo Ibba è nato Angelus di sangue, al quale è seguito Binari di sangue.Un suo racconto breve intitolato Acque agitate è stato inserito nella raccolta Bugie e verità curata dal blog letterario Il Mondo dello scrittore.Schiavi della vendetta, ispirato da un’inchiesta del settimanale Panorama, è arrivato 5° al Premio Letterario Amarganta 2018.Arma Bianca racconta la storia di una soldatessa italiana bloccata dietro le linee nemiche in una Cipro invasa dall’esercito turco.Protocollo Granata è stato scritto a quattro mani con l’autore Francesco Cotti. Dal 2013 al 2018 ha collaborato con la rivista militare “Combat Arms Magazine” scrivendo articoli sulle Forze Armate italiane.

Alessandro Cirillo ha scritto 27 articoli: