La donna che fugge – Alicia Giménez-Bartlett
I tanti fan della spagnola Alicia Giménez Bartlett hanno di che scialarsi. “La donna che fugge”, l’ultimo romanzo della sua ispettrice Petra Delicado, recentemente pubblicato dalla Sellerio, si sviluppa per 430 pagine, che nella Camilleriana collana “La Memoria” assicurano diverse sedute di lettura, tutte con garanzia di godimento letterario. Dunque, trattandosi di un libro straniero forse è giusto esordire omaggiando Maria Nicola, traduttrice di lungo corso capace di far apprezzare la sua prosa, snodo indispensabile per poter gustare appieno il lavoro originale dell’autrice.
Saldato il conto con la traduzione, si deve passare alla storia, ai personaggi, all’ambientazione e a quant’altro contribuisce alla costruzione del romanzo. E non lo si può che fare prendendo atto che la Giménez Bartlett non sbaglia un colpo, dimostrando una grande padronanza dell’arte del narrare. Come l’esperto pilota da corsa sa capire quando il motore è al limite e controlla di conseguenza il pigiare sull’acceleratore, così la Giménez Bartlett sa dosare con maestria gli ingredienti a disposizione, imponendo quella che a teatro sarebbe una standing ovation per l’equilibrio del mix.
Grazie a ciò, una vicenda che scorre soprattutto nella scenografica Barcellona ma ha step anche altrove e rimandi francesi, con piglio sicuro si fa seguire dal lettore grazie al susseguirsi di quadri diversi sapientemente tratteggiati e sempre ben concatenati. Senza temere di riportare i momenti in cui l’ispettrice Petra ammette di sentirsi in un vicolo chiuso dove tutti i personaggi paiono possibili assassini e al tempo stesso assoluti innocenti. Il tutto ovviamente sullo sfondo dei cazziatoni del capo che vorrebbe risultati rapidi e definitivi, propendendo per uno scenario da grande criminalità, che invece lascia perplessa l’ispettrice.
Per quel che concerne le indagini, l’autrice le racconta con puntiglio cronologico e attenzione ai particolari.
Intreccio, ritmo, ambientazione, osservazioni umane e psicologiche, per finire con il fondamentale humour, sono tutti centellinati in maniera da evitare squilibri e sbandamenti. Tutto è misurato, fino a indurre a pensare che l’elemento più importante del romanzo sia proprio la misura. Cosa non da poco.
L’ambientazione è curata, con dettagliati particolari, e strappa la prima osservazione positiva sul romanzo: l’azione si svolge infatti nel mondo degli ambulanti dello street food, gli attrezzatissimi camper che ormai propongono ovunque le cucine più diverse; portando così l’haute cuisine francese e il sushi anche nelle fiere paesane. Già questo ambiente è in grado di attizzare la curiosità del lettore. Da questo mondo minore, su cui la sociologia (accademica o da bar) riflette, promuovendo o condannando, si passa al mondo criminale più strutturato, più feroce. Tutto ciò con una bella manciata di pillole di osservazioni argute o profonde sull’animo umano, sulle sue debolezze e cadute così come sulle sue rabbie e paure, sulla condizione di troppe donne, a cui spesso è lasciata l’unica soluzione della fuga.
Un magma umano delineato con dovizia di agganci alla psicologia, sia pure sempre sotto forma di “pillole”, appunto, non di fleboclisi soffocanti, come purtroppo a volte capita.
Proprio al centro di questo panorama si può collocare un elemento che può essere considerato il perno di tutta la vicenda: cioè l’omicidio come estrema ratio per uscire da una condizione ormai insopportabile. Ma non l’uscita legata semplicemente all’eliminazione di chi si ritiene causa delle proprie sofferenze, ma proprio per avere davanti la “grande fuga”, cioè la calma e la tranquillità della inevitabilmente lunga parentesi carceraria. Un concetto sorprendente e molto forte, da cui l’ispettrice Petra pare più impressionata che sconcertata.
L’elenco degli ingredienti della “ricetta Giménez Bartlett” non è completo se non si cita infine l’humour, che sta alla storia né più né meno come il lievito sta all’impasto. Non serve mai girare più di un paio di pagine per ritrovarsi a sorridere o a ridere proprio. Quasi sempre per bocca del collaboratore dell’ispettrice Petra Delicado, cioè il vice ispettore Garzon, sornione, buona forchetta e campione dell’”adelante Pedro”. Per concludere la lista degli asset della storia va citata l’idea della doppia conclusione. Già, perché “La donna che fugge” ha due finali: quello della storia criminale, e quello del libro, che è slegato dalla vicenda poliziesca. Un finale che è tale appunto perché nelle ultime pagine del volume, ma che potrebbe anche essere capitolo iniziale di un nuovo romanzo, non necessariamente “giallo”, ma intimista-psicologico. Forse anche quello su una donna che fugge. Magari da sé stessa.
Recensione di Franco Fiorucci.
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