Ira Domini. Sangue sui Navigli – Franco Forte
Ira Domini – Sangue sui Navigli, pubblicato da Mondadori, è l’ultimo romanzo di Franco Forte, nome che i lettori di Thriller Café ben conosceranno sia in veste di autore che di direttore editoriale delle collane da edicola della Mondadori. Lo recensiamo oggi per voi.
Milano, 1576. Agosto, il caldo infuria, così come la peste. Le strade sono percorse dai monatti, che raccolgono i morti e inchiodano le porte e le finestre della case messe in quarantena. I fopponi ardono notte e giorno e il fumo acre dei corpi bruciati ammorba l’aria. Niccolò Taverna, notaio criminale del tribunale di Giustizia (già protagonista de Il segno dell’untore), è chiamato a indagare su due casi contemporaneamente. Un misterioso assassino armato di balestra terrorizza la popolazione della città e sembra scegliere a caso le vittime, senza logica e movente. A complicare le cose, arriva poi la notizia che dei banditi hanno sequestrato i figli di Don Carlos de Alcante, ricchissimo nobile spagnolo, amico personale del governatore. Rapitori e ostaggi sono asserragliati in un magazzino di pietre e sabbia sulle rive del Naviglio Grande. Le autorità cittadine sono obbligate a chiudere l’accesso ai canali, bloccando il flusso di materiali necessari all’ultimazione del Duomo, voluta dall’arcivescovo Carlo Borromeo. Il capo dei banditi, Lasser de Bourgignac, è spietato e fin troppo sicuro di sé, tanto che Taverna inizia a sospettare che sotto ci sia qualcosa di molto più di grande di una richiesta di salvacondotto…
Un thriller che colpisce immediatamente per l’accuratezza della ricostruzione storica, sia per quanto riguarda l’ambientazione cittadina in un momento particolarmente infausto, sia per gli usi e costumi dell’epoca. Ricercatissimi i termini tecnici relativi alle armi, come quelli che fanno riferimento agli abiti e agli utensili di uso quotidiano. Si ha l’impressione che la finzione letteraria sia supportata da una solida ricerca storica, che permette all’autore di destreggiarsi con padronanza nei vicoli della Milano del XVI secolo senza mai indurre nel lettore il dubbio che quanto narrato non possa essere accaduto davvero. L’ambientazione, però, si spinge oltre, a un livello più profondo, e incontra la Storia, quando l’intreccio narrativo ricomprende i giochi di potere che stringevano Milano nella morsa della Corona di Spagna.
Si respirano i miasmi di quell’aria malata, si sentono le urla delle persone imprigionate nelle case sbarrate, ma anche le tensioni politiche che attraversavano i vari livelli gerarchici della città. Si scende nell’inferno a cielo aperto che era la Milano dell’epoca, un inferno nel quale Niccolò Taverna, il protagonista, si muove guidato da un intuito acuto e dall’esperienza appresa dal padre (brevi ma incisive le memorie di Amerigo Taverna, note piene di buon senso che guidano il figlio nelle indagini ma anche nella vita di tutti i giorni).
Niccolò Taverna è un personaggio vibrante, tridimensionale, positivo ma non stereotipato. Un eroe molto umano, tanto razionale e inflessibile nel lavoro, quanto arrendevole in amore: tenero e passionale il suo atteggiamento nei confronti di Isabella Landolfi, una donna dal fascino cinquecentesco ma dal piglio straordinariamente moderno e indipendente; il loro rapporto, i battibecchi, le capitolazioni di lui, donano un tocco passionale al romanzo che lo arricchisce di sfumature inaspettate. Interessanti anche gli altri personaggi, primi tra tutti Carlo Borromeo, in odore di santità ancora in vita, gli aiutanti di Niccolò, Rinaldo e Tadino, e poi un antieroe affascinante e misterioso, lo spietato Lasser de Bourgignac.
L’intreccio è complesso, ma si dipana in modo fluido e il lettore segue i ragionamenti e le intuizioni del protagonista come se fossero i suoi. Apprezzabile e originale l’espediente che fa confluire le due indagini poco prima del finale (aperto e presupposto di un nuovo caso, e romanzo, con protagonista Niccolò Taverna).
Ho avuto la fortuna di assistere a una presentazione del romanzo e un particolare che mi ha colpito è che l’autore, nel suo lavoro di ricerca e documentazione, ha potuto leggere incartamenti originali dell’epoca riportanti i rapporti stilati da notai criminali del tribunale di Giustizia di Milano (figura sconosciuta ai molti e che per la prima volta è stata inserita in un romanzo), che molto spesso lavoravano a più casi, proprio come Niccolò Taverna, a volte confondendo i fatti relativi a indagini diverse e cancellando poi le note non pertinenti; che usavano tecniche investigative moderne per l’epoca (riportate nel romanzo) e che in un tempo ancora dominato dalla superstizione e dalla paura, usavano la logica e la ragione per risolvere i casi a cui erano assegnati. Ho così scoperto che esisteva davvero il “laboratorio de’ dottori”, sotto il tribunale: un dedalo di corridoi e stanze dove in ampi calderoni il medico del tribunale (catelano) e i suoi garzoni bollivano i corpi dei morti deceduti per cause non chiare per prepararli all’esame dei notai criminali, che ne esaminavano le ossa in cerca di informazioni per ricostruire gli antefatti.
Un romanzo appassionante, una lettura consigliata per la grande proprietà di linguaggio, per la trama complessa e intrigante, per i risvolti storici che fa conoscere.
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