Non sono un serial killer - Dan WellsLa recensione di oggi di Thriller Café è per Io non sono un serial killer, un romanzo di Dan Wells (che abbiamo intervistato qualche giorno fa), edito da Fazi.
Thriller che negli Stati Uniti ha entusiasmato i fan di Dexter, si tratta del primo volume di una trilogia dedicata al protagonista John Wayne Cleaver (gli altri due titoli sono I don’t want to kill you e Mr. Monster).

Titolo: Io non sono un serial killer
Autore: Dan Wells
Editore: Fazi
Anno: 2012

Trama
John è un ragazzo di quindici anni in piena crisi adolescenziale, ma i suoi problemi non sono i brufoli, una certa goffaggine ad approcciare ragazze, o un nome troppo pretenzioso che gli procura quotidiani sberleffi dai suoi coetanei. John non è un ragazzo normale, è un sociopatico, che ha più familiarità con i cadaveri dell’obitorio in cui, con passione, lavora insieme alla madre e alla zia, piuttosto che con le persone reali, che tendenzialmente vorrebbe vedere morte, magari grazie a lui.
Il suo conflitto interiore consiste nel tenere a bada il suo Mostro, facendogli indossare ogni giorno la maschera della buona educazione,dell’empatia e dell’affetto, concetti per lo più sconosciuti alla mente di John Wayne.
Consapevole del fatto che comportamenti ossessivi, tendenza alla piromania, e istinti omicidi non godono del favore e dell’approvazione della società, il giovane Cleaver cerca di darsi delle regole ferree per tenere imprigionato il suo mostro interiore. Ma tenerlo a bada sarà un’impresa difficile, quando l’odore del sangue di cadaveri orrendamente trucidati inizierà a riempire le vie della città: allora non ci sarà regola o gabbia che possa trattenerlo.

Recensione
Sarebbe facile dire che Dan Wells abbia preso un po’ di Six feet under e un po’ di Dexter, abbia shakerato bene il tutto, e che poi abbia scritto questo romanzo. Certo, a molti il personaggio di John Wayne potrebbe ricordare quello di Dexter, il serial killer etico che uccide solo chi lo merita, creato da Jeff Lindsay, e protagonista di una delle serie televisive più belle e innovative degli ultimi anni, ma l’opera di Wells non è assolutamente un plagio, perché nella sua ricetta ha introdotto un ingrediente segreto, che qui non verrà svelato, che dà un tocco di grande originalità alla storia (per saperlo, dovete arrivare almeno fino al capitolo V) .
Poi c’è il protagonista,voce narrante della storia che coinvolge il lettore con il suo inedito punto di vista da giovane sociopatico, che rende la lettura interessante, avvincente e divertente: ad esempio, nel secondo capitolo John Wayne quando racconta della trepida attesa con cui attende la salma della prima vittima dice “passai la settimana seguente in un’attesa spasmodica, precipitandomi a casa tutti i pomeriggi appena uscito da scuola per vedere se era arrivata. Sembrava Natale”. Quando il macabro incontra il dolce e rassicurante quotidiano, l’effetto è dirompente, è acido solforico che corrode tutti i canoni di un genere.
La narrazione asettica, lucida ed estremamente ironica di John sono, a mio avviso, il pregio di questo romanzo, che si delinea come un viaggio nella mente di un adolescente, che combatte contro se stesso per non diventare quello che la sua indole reclama a gran voce di essere, ossia un (potenziale) serial killer. Nel corso della storia vengono sviscerati- oltre che, in senso letterale, le vittime assassinate o imbalsamate nella camera mortuaria – temi importanti quali il disagio conseguente al dilaniante contrasto tra quello che si deve essere e quello che si è ; l’incapacità della giustizia a risolvere una situazione di grave pericolo per la comunità; la lotta tra forze del male differenti tra loro, in cui entrambe uccidono o vogliono uccidere a fin di bene; l’ambiguità del male stesso.
Niente è nitido in questa vicenda, come se l’autore volesse presentarci un mondo in cui la linea di demarcazione tra il bene e male è così sottile da non poter essere distinta.
Noi gente comune preferiamo credere che l’orrore si annidi in realtà lontane dalla nostra perfetta quotidianità: ma spesso il male vive e cresce nella casa del vicino, perchè “il vero terrore non viene da chissà quali mostri, ma da personcine dall’aria innocente” , personcine proprio come John Wayne Cleaver.

Se siete curiosi di leggere il libro, potete cominciare ad assaggiare un breve estratto tratto dal sito di Fazi Editore, su cui potete leggere anche qualche pagina in più:

La signora Anderson era morta.
Nulla di eclatante, semplice vecchiaia: una sera era andata a letto e non si era più svegliata. Dicono che sia un modo di morire sereno e dignitoso, e immagino che tecnicamente sia anche vero, ma i tre giorni trascorsi prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza avevano tolto gran parte della dignità alla situazione. Alla fine la figlia era passata a dare un’occhiata e aveva trovato il cadavere in decomposizione, che puzzava come una carogna. Ma il peggio non era questo, erano quei tre giorni: tre giorni sani, prima che a qualcuno venisse in mente di chiedersi: «Ehi, ma che fine ha fatto quella signora anziana che abita giù al canale?». Non ci vedo molta dignità, in questo.
E la serenità, invece? Quella sì. Secondo il coroner si era spenta in silenzio nel sonno il 30 agosto, due giorni prima che qualcosa strappasse le viscere a Jeb Jolley e lo lasciasse in una pozza di sangue dietro la lavanderia a gettoni. Ancora non lo sapevamo, ma la signora Anderson sarebbe stata l’ultima persona nella contea di Clayton a morire per cause naturali nei successivi sei mesi. A tutti gli altri ci avrebbe pensato il Killer di Clayton.
Con un’eccezione.
La salma della signora Anderson ci venne consegnata sabato 2 settembre, dopo che il coroner aveva finito gli esami di rito… O forse è più giusto dire che fu consegnata a mia madre e zia Margaret, visto che sono loro a mandare avanti l’obitorio; io ho soltanto quindici anni. Avevo passato quasi tutto il giorno in città a guardare la polizia che ripuliva il casino di Jeb ed ero tornato verso il calar del sole. Sgattaiolai dentro dal retro, per evitare di incontrare mia madre all’ingresso; non avevo nessuna voglia di vederla.
Nel retro non c’era ancora nessuno, solo io e il cadavere della signora Anderson. Giaceva perfettamente immobile sul tavolo, coperto da un lenzuolo azzurro. Puzzava di carne putrefatta e insetticida, e l’unica pala della ventola che ronzava rumorosa sul soffitto non aiutava granché. Mi sciacquai le mani in silenzio nel lavandino, cercando di capire quanto tempo avessi a disposizione, poi sfiorai il corpo delicatamente. La pelle dei vecchi era la mia preferita: secca e avvizzita, con una grana simile a quella della pergamena. Il coroner non si era sprecato più di tanto a ripulire la salma – probabilmente perché avevano il loro bel da fare con Jeb –, ma a giudicare dall’odore, per lo meno avevano pensato a eliminare gli insetti. Dopo tre giorni nel caldo torrido di fine estate, probabilmente ce n’erano un bel po’.
Una donna spalancò di colpo la porta sul lato anteriore dell’obitorio ed entrò, in camice e mascherina verde da chirurgo.

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Articolo protocollato da Chiarastella Grande

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