“Gli esseri umani possono essere considerati dei punti. Alcuni ubbidiscono a regole di magnetismo, attrazione e repulsione, si aggregano, formano linee e inquiete geometrie, poi si rinnegano e convergono altrove. Altri prediligono l’isolamento, circondati dal vuoto, non peggiori e non migliori di altri. Tra questi ci sono io…”

Questo l’abbrivio (che riecheggia forse un po’ un Antonello Venditti di certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi, e poi … mi fermo) de Il Tessitore, (pen)ultima fatica della scrittrice del mugugno, dello scutisu e della cima, l’unica, la grande, la formidabile, la magnifica, splendida… Maga … Cristina Rava!

E’ straordinario come questa donna schiva, ironica, abrasiva, che vive ad Albenga, fuori dalle aree auree dove si incrociano scrittori glam ed editori gemma, sia arrivata alla seconda decina di romanzi pubblicati e ancora tenga banco nel mondo del … diciamo dell’investigativo, perché i suoi romanzi non sono solo gialli, solo noir o solo cozy (come va di moda dire adesso) ma sono piccole architetture perfette di trama e di sviluppo psicologico del personaggio.

Non a caso, Cristina è uno dei pochi autori italiani a vantare lo stesso numero – o circa- di storie che abbiano a protagonista un uomo (quel commissario Bartolomeo Rebaudengo di cui lei stessa dice che le lettrici si innamorano, e per forza, single, ereditiero, gourmet e pure colto!) ed altrettante storie – spin off – che abbiano a protagonista una donna (quel medico legale di nome Ardelia Spinola) con cui, in uno dei passati romanzi, c’è stato un affaire.

Il Tessitore li vede in scena entrambi, ma rispetto ai precedenti i personaggi sono in posizioni differenti: se fossero scacchi, avrebbero mosso almeno un paio di volte ciascuno.

Lui, Rebaudengo, vive in quella zona del Piemonte che quasi si bagna i piedi nel mare. Lei resta ad Albenga. Sono amici, perché i tentativi di restare amanti, o coppia, sono falliti. Si ritrovano bene solo al desco sapientemente addobbato dalla Perpetua di lui.

Lui dovrebbe essere in pensione, e ritirato, modello Coriolano, ma proprio come l’ex generale e politico romano, non ce la fa a star lontano dal suo mondo, se non altro perché tutti tornano a lui a chieder consiglio.  Lei, come sempre molto simile alla Alexx Woods di CSI Miami (i cui autori hanno sicuramente letto la Rava), accarezza i cadaveri che scrutina e cerca di dar loro la dignità di una causa di morte e, allorquando viene da mano umana, dare un nome a quella mano.

Ne esce un’altra avventura a quattro mani, ma stavolta i personaggi sono evoluti rispetto alle storie precedenti, si stanno allargando, espandendo in equilibri che prima, forse perché in contrapposizione amorosa tra loro, non avevano. Qui sono più lontani e perfino distratti da altre persone, che li attraggono anche eroticamente seppure loro non vogliano ammetterlo e Cristina lo celi tra le righe, pronta come un gatto a ritirare fuori queste nuove bisettrici nel prossimo romanzo. E proprio perché coinvolti solo tiepidamente, possono investigare ciascuno per sé e, persino, l’un contro l’altra.

Della trama non vi ho detto niente, come al solito. Non anticipo mai nulla, o molto poco. Cerco di farvi conoscere, e piacere, l’autore, onde fidelizzarvi a lei, non alla singola storia. Sappiate che questa è persino più articolata delle precedenti. C’è un cadavere femminile in abiti quasi di scena, morta cadendo da una scala alla G.B. Shaw (o alla Sposa Cadavere, se preferite il genere); c’è un manipolo di tatuati inneggianti al ripristino di certe dittature mai sopite; c’è un ometto sfigatello che vive con una mamma semi-inferma che però può diventare pericoloso, c’è un po’ di amore omo… insomma, via, la Rava non ha bisogno di recensioni, si sa, è sulfurea.

E se quest’estate avrete modo di passare da Garessio, dove si svolge buona parte della vicenda, fatevi una foto col libro in mano. Potremmo cominciare un bellissimo contest: cartoline gialle!

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  • Rava, Cristina (Autore)