I selvatici - Sarah Savioli

Quattro romanzi in tre anni, protagonista Nannarè, al secolo Anna, a cui un piccolo incidente ha lasciato in dote una macchia sul cervello e la capacità di ascoltare la voce di chi normalmente abbaia, ruggisce, bela o cinguetta. O neppure questo, perché si colloca nella categoria vegetale.

Chi ha letto le avventure precedenti, sa che Sarah se ne è un po’ infischiata delle regole del giallo classico, che per esempio bannano il deus ex machina, il risolutore disumano, la dritta investigativa non tradizionale, e ha affiancato la sua prima donna ad un serraglio zamputo, gusciuto, peloso e sbavante a cui, episodio per episodio, ha fornito un eloquio estremamente caratterizzato e ritagliato su altrettante macchiette umane: il pavido, il rancoroso, il polemico, l’autocalunniatore e così via.

Stavolta si cambia. Questo nuovo romanzo segna il passo. Per cui se vi aspettate un’altra fiaba gialla zoofila, abitata da comici a quattro zampe messi lì, sulla carta, per parodiare noi umani, lasciate stare, non comprate I Selvatici. Qui lo scenario è radicalmente diverso, e non solo perché si lascia la città (chissà quale dove di solito esercita) e l’agenzia investigativa Cantoni – pur a ranghi ridotti – è déplacée sull’Appennino, ma soprattutto perché Anna cambia pelle e non in modo indolore.

La Savioli ci aveva donato un personaggio femminile costantemente in bilico tra desiderio di autonomia economica e sensi di colpa da madre lavoratrice, figlia di genitore anziano e malato e sorella di egosintonica pretenziosa, dandole come contraltare tenero che tutto fa dimenticar quel frugolo di figlio in cui annidava ogni vezzo, ogni moina, ogni semplicità quasi comica di un bimbo di quella età sempre bisognoso della sua Mimi.

In questo romanzo l’ha sbucciata e l’ha messa davanti non tanto al bivio (le hanno proposto l’assunzione, quindi deve decidere se dedicarsi finalmente alla professione senza occhi all’orologio perché Luca esce dalla materna) quanto alla presa di coscienza che tutti gli ostacoli che frappone all’indipendenza mentale sono dentro, non fuori di lei. E glielo fa capire nella maniera più abrasiva: la fa stare male. Non perché parte e va in trasferta in un rifugio, abbandonando figlio febbricitante e colpevolizzante, marito costipato che non trova il paracetamolo, sorella che va in crisi prematrimoniale per tentennamenti sulla scelta del bouquet.  Ma perché per la prima volta gli animali e le piante non la aiutano. La sovrastano. La devastano. Incombono su di lei in maniera talmente pulsante da farla svenire, farle scoppiare la testa dall’emicrania e dalla nausea. Anna allora si sente inutile. Cosa ci è andata a fare se il suo metodo investigativo così originale è non solo azzerato ma in piena ostilità?

Eppure, all’apparenza, i personaggi a due gambe della storia sembrano un catalogo di brave persone, di buoni sentimenti, di alti ideali. C’è la coppia che aiuta i rifugiati a integrarsi in Italia, c’è il bravo ragazzo siriano fuggito agli orrori della guerra che desidera fermarsi e si fa in quattro con tutti, ci sono donne ferite nell’anima e nel corpo che non riescono a sorridere ma coccolano con piatti fumanti e sostanziosi.

Anna non capisce. Anna sbanda. Solo l’alano arlecchino Otto cerca di sostenerla ma, spaventato da tutto com’è, non la protegge. E Anna prova a rendersi ancora utile e a furia di ascoltare (stavolta soprattutto esseri umani) deve ricredersi: essere scappato da un paese devastato non rende un uomo buono. Aver trovato un rifugio e degli amici non alza il livello etico. Essere bravi e cercare di integrarsi non mette al riparo dagli stereotipi.

Siamo umani, sempre. Quel che facciamo o che viviamo non ci migliora, se non siamo noi a farlo. Ed è quando si rende conto di questa acida verità, Anna finalmente “sente” la natura e capisce che le sta urlando tutto il suo patimento. Ma lei non si copre le orecchie come l’omino dell’Urlo di Munch, straziato dal fragore del terremoto. Lei ci va a capofitto nell’occhio del ciclone e capisce cosa gli animali, la terra, le montagne stanno chiedendo.

Un messaggio molto green-crime in questo romanzo di svolta, dopo il quale- se reincontremo Anna- troveremo una donna molto più centrata e in equilibrio.

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I selvatici
  • Savioli, Sarah (Autore)

Articolo protocollato da Alessia Sorgato

Alessia Sorgato, classe 1968, giornalista pubblicista e avvocato cassazionista. Si occupa di soggetti deboli, ossia di difesa di vittime, soprattutto di reati endo-famigliari e in tema ha scritto 12 libri tra cui Giù le mani dalle donne per Mondadori. Legge e recensisce gialli (e di alcuni effettua revisione giuridica così da risparmiarsi qualche licenza dello scrittore) perché almeno li, a volte, si fa giustizia.

Alessia Sorgato ha scritto 121 articoli:

Libri della serie "Agenzia Cantoni"

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