Donato Bilancia - 17 omicidi per casoDonato Bilancia è stato uno dei serial killer italiani più prolifici. In Diciassette omidici per caso, Ilaria Cavo ci ha raccontato nel 2006 la sua storia. Oggi, recensiamo il libro su True Crime.

Titolo: Diciassette omicidi per caso – Storia vera di Donato Bilancia, il serial killer dei treni
Autore: Ilaria Cavo
Editore: Mondadori
Anno di pubblicazione: 2006
Pagine: 209

Trama in sintesi:
Diciassette omicidi in sei mesi. Questo è il record raggiunto da Donato Bilancia, che poco prima di essere arrestato aveva cominciato a uccidere addirittura una persona ogni due giorni. Dal 16 ottobre 1997 al 21 aprile 1998, date del primo e dell’ultimo delitto, la vita di Bilancia è stata quasi interamente dedicata all’organizzazione dei suoi crimini, intervallati soltanto da qualche puntata al Casinò di Sanremo. Amava i tavoli da gioco Bilancia, era spregiudicato, un “compulsivo”. Era un assiduo frequentatore delle bische clandestine di Genova, e anzi, secondo quanto dichiarato da lui stesso al momento dell’arresto, proprio da questo suo vizio era nata l’esigenza di assassinare, quando aveva scoperto che due amici stavano cercando di ingannarlo e di fargli perdere un sacco di soldi. A parte i professionisti a vario titolo impegnati nel processo, nessuno ha mai avuto la possibilità di intervistare Bilancia in carcere e ancora oggi la sua figura è attorniata da un alone di dubbi e mistero. Ilaria Cavo, giovane giornalista che all’epoca dei fatti dirigeva una trasmissione sul procedimento giudiziario presso un’emittente genovese, è stata l’unica ammessa alla presenza del killer, grazie ad un rapporto epistolare precedentemente avviato proprio dallo stesso Bilancia.
Il 13 aprile 2003, dopo vari incontri e una lunga corrispondenza, la giornalista ha potuto intervistare in esclusiva per Porta a Porta Donato Bilancia, tramite una registrazione incisa su nastro. Nel 2004 anche Paolo Bonolis ha condotto un colloquio con il killer durante una puntata di Domenica In, e per la prima volta egli è apparso in volto.
Questo volume narra le varie tappe della “conoscenza” tra la Cavo e Bilancia, svelando i retroscena degli incontri, l’inquietudine e gli stati d’animo dell’autrice, la freddezza e insieme le fragilità dell’assassino.

Non conoscevo bene la storia di Donato Bilancia, non più di quanto la potesse conoscere chiunque risiedesse sul pianeta Terra durante le fasi del processo. Se devo essere sincera non me ne sono nemmeno mai molto interessata, finché in libreria ho notato la copertina del libro di Ilaria Cavo e ho dato un’occhiata, per curiosità, alla biografia professionale dell’autrice sul retro. Nata a Genova nel 1973. Caspiterina, mi sono detta, questa ragazza è giovanissima (il libro è del 2006) e ha già un curriculum che farebbe invidia a giornalisti di fama nazionale. Quando conduceva il programma che ha dato il via alla sua conoscenza con Bilancia aveva 26 anni, l’anno successivo è stata l’unica giornalista ad avere il permesso di parlare con il serial killer più famigerato d’Italia. L’ha cercata lui, le ha detto che nonostante in trasmissione riportasse notizie su di lui non
sempre esatte, era la sola ad avere un quadro piuttosto completo di tutto il caso. Certo, forse un pò di fortuna (se così si può chiamare il fatto di essere scelta come interlocutrice di un assassino) ha dato una spinta alla sua carriera, ma il talento c’è e si vede. Premesso questo devo però ammettere che Diciassette omicidi per caso non mi è piaciuto come mi aspettavo. L’autrice si concentra su ciò che avvenne in seguito ai delitti, le indagini che hanno portato all’identificazione e alla cattura, ma soprattutto il processo e, giustamente, i colloqui e la conseguente intervista.
Posso dire che al termine della lettura ciò che mi ricorderò è l’intricata parabola giudiziaria e l’abnorme smania di notorietà che trasuda da ogni affermazione di Bilancia.
Non vorrei far passare il concetto che per essere interessante un libro su un serial killer dovrebbe per forza insistere sulle atrocità compiute o addentrarsi con fare morboso nelle sue abitudini perverse, tuttavia, per come è impostato, questo testo è lungo e sinceramente anche un po’ noioso. Mi spiego, poiché la mia non vuole essere una critica alla bravura di Ilaria Cavo, che anzi stimo molto. Il problema sta forse nella vicenda stessa, che appare in alcuni punti addirittura assurda. In seguito alla condanna a tredici ergastoli Donato Bilancia ha continuato ad insinuare il dubbio della presenza di un complice durante i primi omicidi, quelli che avrebbero avuto a che fare con la bisca clandestina. L’importanza di questa rivelazione poteva essere notevole: l’assassino avrebbe agito per rapina e non più per vendetta personale, facendo crollare buona parte dell’impianto accusatorio e riaprendo interrogativi fino a quel momento sopiti. Per anni un serial killer ha potuto continuare a prendere in giro magistrati, avvocati, parenti delle vittime e giornalisti, annunciando come imminente una nuova confessione che poi non sarebbe mai avvenuta. Credo che ciò che purtroppo rende un pò pesante la lettura del testo sia proprio questa esasperata ricerca della verità da parte dell’autrice, che sviscera ogni parola del killer per scovarne tutti i significati. Necessità di far luce sugli eventi che, se nella realtà è sacrosanta e doverosa, nella narrazione risulta invece ripetitiva. Sei incontri sono avvenuti tra la Cavo e l’assassino, più un’intervista trasmessa in prima serata e un voluminoso scambio epistolare, il tutto
scrupolosamente trascritto dalla reporter, che ha fatto certo un ottimo lavoro di ricostruzione. Il problema è, però, che Bilancia in quasi tutte queste occasioni ha detto sempre le stesse cose. Rigirandole a suo piacere, cercando di confondere le idee, cambiando termini e a volte tono, mettendole in bocca ad altri… ma sempre le stesse. I suoi tentativi di manipolazione, il continuo cambiare la propria versione dei fatti, il desiderio di essere riconosciuto malato di mente poi trasformato nella volontà di apparire un testimone attendibile, fanno del killer un mentitore patologico. Come ben riassume lo psichiatra Romolo Rossi: “Le sue ultime mosse, prevedibili, nascono dalla sua incapacità di tollerare il calo dell’attenzione, l’uscita di scena.” Forse, dunque, tante pagine per raccontare una storia che è sempre uguale suscitano nel lettore qualche perplessità e, non me ne voglia Ilaria Cavo, un po’ di distrazione.

Giada Melarini

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