Oggi recensiamo, qui al Thriller Café, l’ultimo romanzo di Tullio Avoledo: “Come navi nella notte“, appena uscito da Marsilio. Stiamo parlando di uno scrittore molto originale, che ha cominciato ormai una ventina di anni fa il suo percorso narrativo con una serie di opere che potremmo definire, sacrificando un po’ la ricchezza di contenuti dei suoi romanzi, “distopiche” o “ucroniche”, che contenevano anche elementi di thriller, fantascienza, fantasy e altro ancora. Insomma, uno scrittore unico, difficilmente catalogabile e anche molto piacevole da leggere. Un paio di anni fa, Avoledo aveva deciso di fare un’incursione più decisa nel territorio del noir con il suo “Nero come la notte” e con il suo detective Sergio Stokar.
Oggi, quando molti si sarebbero aspettati un ritorno di Stokar, Avoledo ci consegna invece due nuovi personaggi: Marco Ferrari e Miriam Milani, in un romanzo che si avvicina come genere al thriller, ma che recupera sicuramente anche elementi della poetica più originaria di questo autore. Marco è uno scrittore con un passato da poliziotto pentito, che vive in Germania dove si è rifugiato proprio per cancellare i suoi errori del passato da poliziotto. Per vendere una casa al mare appartenuta alla famiglia, Marco torna qualche giorno in Italia a Sabbie Dorate (immaginaria località turistica friulana) dove conosce Miriam. Ma un episodio che capita loro casualmente li trascinerà in una serie di avventure che potrebbero ricordare un mix tra Indiana Jones, Ethan Hunt e Jason Bourne (cinematograficamente parlando). La capacità di Avoledo di infarcire la trama con riferimenti storici e culturali di grande interesse, rende questo romanzo una lettura molto piacevole, che non possiamo che consigliare vivamente.
Sicuramente, la dimensione che più affascina Avoledo è quella del rapporto dei suoi personaggi con il tempo, inteso come tempo storico di collocazione della propria azione. Anche in questo romanzo, ci troviamo in un futuro prossimo che potremmo definire “distopico”. Uno scenario nel quale convivono elementi a noi molto noti e presenti, come la pandemia, che Avoledo inserisce prepotentemente in questo romanzo, immaginandone un’evoluzione devastante, con altri più futuristici, come i treni a levitazione magnetica. I rave party (introdotti qui in una versione che definirei “turbo”) insieme a uno scenario fantapolitico super-globalizzato nel quale in ogni luogo può valere una legge concepita anche da qualsiasi altra parte del pianeta.
Come già detto, tutto questo recupera il tradizionale terreno culturale di Avoledo. Insieme a questi “salti” nel tempo, ci pare però di notare, in questo caso, un maggiore bisogno di ritrovare un forte ancoraggio al presente e al passato, che poteva essere anche una valida chiave di lettura della già compiuta “svolta noir”. Marco e Miriam sono personaggi che coltivano con tenacia la memoria del passato, magari per cercare di correggere i propri errori o gli errori delle generazioni che li hanno preceduti. E dentro alla rilettura profonda e cosciente del passato, riescono perfino ad avere fiducia nel futuro. Un futuro che, se può sempre riservare scenari apocalittici, Marco e Miriam hanno a tratti voglia nuovamente di modellare, non arrendendosi a una fine certa. Cominciando magari dalle piccole cose, dai gesti minimi individuali, ai quali possiamo delegare un certo ottimismo riguardo al futuro.
In chiusura permettetemi di citare tre aspetti che mi hanno particolarmente colpito (stavo per scrivere emozionato). Il primo, l’amore per la propria terra di origine, il Friuli, che trabocca dalle pagine del libro. Certo una terra in pericolo di distopica distruzione, ma che conserva ancora risorse enormi. Il secondo, un bisogno di radicalità (nel senso positivo) che si coglie in quest’opera: la ricerca delle radici ultime delle cose, senza sconti. Il vivere, per Avoledo, è un vivere che deve essere pieno e a tinte forti, non sbiadito. Il terzo, un toccante ricordo di un inutile massacro, che l’autore non vuole collocare laddove è realmente avvenuto, ma che chi non dimentica può facilmente situare, anche a vent’anni di distanza. E non dimenticare, in effetti, sembra essere l’invito più pressante che Avoledo ci consegna con il suo bel romanzo.
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