Oggi al Thriller Café riscopriamo un grande classico: Bersaglio mobile di Ross Macdonald. Il romanzo è del 1949, ma dobbiamo questo ritorno sulla scena al progetto editoriale Time Crime, una costola della Fanucci che sta rilanciando sul mercato opere di grandi autori noir, dotandole di nuove traduzioni, di prefazioni interessanti e di una veste grafica accattivante, il tutto a un prezzo decisamente contenuto.
La lettura ci trasporta in una lussuosa villa californiana il cui proprietario è misteriosamente scomparso. La famiglia ingaggia Lew Archer, un investigatore privato, per ritrovarlo. Le indagini lo porteranno a scandagliare nella vita e nel passato del signor Richard Sampson, “un magnate del petrolio che frequenta santoni e si ammazza di alcol”, tra locali jazz, set cinematografici e pericolosi inseguimenti su strade litoranee. Archer è un ex poliziotto alle prese con un divorzio che lo ha profondamente ferito: scandaglia il mondo che lo circonda con occhio amaro e disincantato, ma non privo di caustica ironia. Inseguirà le tracce di Sampson fino a portare alla luce una verità scomoda, un “cuore di tenebra” che si nasconde appena sotto la placcatura dorata del ruggente capitalismo del dopoguerra americano.

La trama che abbiamo delineato non brilla certo per originalità: possiamo ritrovare gli stessi cliché in centinaia di altre opere “hard boiled”. A fare la differenza, però, è lo stile di scrittura di Macdonald, uno scrittore capace di spaziare dai paesaggi riarsi della California meridionale fino ai deliri onirici, dando comunque vita a un intreccio intricato e coerente. La passione per la psicologia lo aiuta a creare personaggi convincenti, analizzati minuziosamente nelle loro reazioni istintive e nei loro comportamenti irrazionali e violenti.

Non è un caso che questa sia soltanto la prima delle storie di Lew Archer: seguiranno altri diciassette romanzi e il personaggio si materializzerà anche sullo schermo cinematografico con le fattezze di un Paul Newman di mezza età ma di pieno fascino.

Come spiega Luca Briasco nella bella prefazione al romanzo, Lew Archer è un detective che prosegue la tradizione inaugurata da Dashiell Hammett e Raymond Chandler, ma lo fa in modo personale: è un detective che cammina su strade poco illuminate e tra individui poco raccomandabili, per raggiungere la verità deve necessariamente affrontare un percorso tortuoso e venire a compromessi con la propria coscienza. Rispetto al quasi contemporaneo dective Hammer, inaugurato da Mickey Spillane (il cui esordio, “Io ti ucciderò”, è stato pubblicato nella stessa collana), il detective inventato da Macdonald è meno granitico: molto spesso esce dagli scontri con le ossa rotte e un occhio nero. Non sfigura nella “scuola dei duri”, certo, ma rispetto ai suoi colleghi, cavalieri moderni senza macchia né paura, ha sicuramente più macchie e molta più inquietudine.

Come si diceva in apertura, “Bersaglio mobile” ha circa settant’anni ed è figlio un’epoca molto diversa dalla nostra. Perché dunque leggerlo? La mia risposta, e la ragione per cui ve lo consiglio, è che il noir di questo tipo continua ancora oggi a esercitare il suo fascino e a “parlare” al lettore contemporaneo. In fondo, al di là della complessità delle indagini, le detective story di questo tipo parlano sempre di un uomo che insegue la verità, interpretando e distillando la realtà che lo circonda. A ben vedere, è una narrazione che cela al suo interno, dietro all’etichetta del “genere”, un’indagine filosofica. Se Platone e Aristotele potevano permettersi di svolgerla alla luce del giorno, i detective del noir sono costretti a brancolare sotto la fioca luce dei neon, tra le strade pericolose e spesso senza uscita della civiltà capitalistica del dopoguerra. È solo una suggestione, ma per chi fosse interessato consiglio il bel libro di Mark T. Conard “Platone suona sempre due volte. La filosofia del noir”, Edizioni Piemme, 2007.

Per accompagnare la lettura di Bersaglio Mobile potrei consigliarvi uno dei classici “mostri sacri” del bebop, ma voglio stupirvi con qualcosa di meno noto: se vi va, provate a sintonizzare i vostri giradischi virtuali sulle note di Trigg & Gussett, un duo olandese di “rinnegati” del jazz che flirta con la musica elettronica. Questo è il loro album The Way In, del 2020.

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Articolo protocollato da Gian Mario Mollar

Classe 1982, laureato in filosofia, Gian Mario Mollar è da sempre un lettore onnivoro e appassionato. Collabora con siti e riviste di ambito western e di recente ha pubblicato I misteri del Far West per le Edizioni il Punto d’Incontro. Lavora nell’ambito dei veicoli storici e, quando non legge, pesca o arranca su sentieri di montagna.

Gian Mario Mollar ha scritto 96 articoli: