120, rue de la Gare – Léo Malet
Pubblicato nel 1943, ritroviamo in libreria tradotto in italiano e con la nuova veste grafica della Collana Darkside di Fazi Editori, 120 rue de la Gare, romanzo che vede l’esordio del personaggio più celebre di Léo Malet, l’investigatore privato Nestor “Dinamite” Burma.
Iniziamo dunque a coglierne i tratti essenziali proprio in questo romanzo giallo, al quale seguirà circa una trentina di avventure che lo vedrà protagonista: Burma dirigeva l’agenzia di investigazioni private Fiat Lux, poi lo scoppio della guerra, la chiusura dell’agenzia e la chiamata alle armi, e ancora la prigionia in Germania e finalmente il treno che lo riporterà a casa, una volta liberato, in Francia, costituiscono il biglietto da visita con il quale Malet ce lo presenta.
La trama prende vita durante una sosta a Lione: alla stazione di Perrache, Burma vede per caso Colomer, suo ex socio alla Fiat Lux, e proprio quando i due si riconoscono e stanno per abbracciarsi dopo tanto tempo, Colomer cade a terra, freddato da diversi colpi di pistola. Prima di morire però, riesce a sussurrare all’amico un indirizzo, 120, rue de la Gare, lo stesso che Burma aveva sentito ripetere all’ospedale militare da un internato (colpito da amnesia) in punto di morte. Non può essere una coincidenza: che rapporto c’è tra il prigioniero conosciuto nello stalag e Colomer? E chi è la splendida ragazza armata di pistola che Burma nota sulla scena del delitto?
Il protagonista decide di fermarsi a Lione ed iniziare ad investigare partendo da questo misterioso indirizzo e dai pochi indizi a sua disposizione: la storia diventa complessa, i personaggi sono numerosi e, a mio giudizio, in alcuni momenti si fa fatica a seguire la narrazione ed è necessario prestare particolare attenzione allo sviluppo della vicenda. Nonostante questo, l’atmosfera retró delle indagini “vecchio stile” – in cui prove ed elementi vengono raccolti pazientemente senza alcun ausilio tecnologico – e il fascino dell’intreccio creato dall’autore, rendono la lettura piacevole e coinvolgente.
Il punto di forza principale di questo romanzo è la caratterizzazione di Burma: è un personaggio sagace, attento ai dettagli. Le sue intuizioni sono brillanti, le sue ipotesi risultano essere quasi sempre corrette e se non lo sono è pronto a correggere il tiro. Abile nell’ottenere informazioni almeno quanto lo è nel negarle, astuto nel non tralasciare alcuna pista, poco ligio alle regole fino a rasentare l’anarchia, ha però anche uno spiccato lato umano ed un senso dell’umorismo sottile e acuto che seduce il lettore.
La cornice è la Francia vinta, ma Léo Malet non esprime giudizi sul quadro storico, si limita ad accennare alla necessità di permessi speciali – ad esempio per passare da Lione a Parigi – o alla difficoltà di reperire del buon tabacco per l’inseparabile pipa del protagonista o al disagio di dover esibire i documenti per effettuare una telefonata. Si respira la guerra in atto, certo, ma l’autore non la rende figura di spicco, protagonista.
Il finale è come vuole la tradizione del giallo vecchio stampo, alla Agatha Christie ed Ellery Queen: Nestor “Dinamite” Burma raduna i protagonisti in una stanza, nel caso specifico a casa sua, fornisce ai presenti e al lettore la spiegazione dei fatti, e svela il colpevole.
Recensione di Francesca Mancini
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