Vittima innocente – Winnie M Li
In diversi contesti, recenti produzioni artistiche di grande successo sviluppano la propria storia, parallelamente, da diversi punti di vista: cambia spesso cioè la voce narrante, che diviene, a turno, quella di uno dei personaggi. Pensiamo, per esempio, al celeberrimo esempio de Il trono di spade di George R. Martin: all’interno dei romanzi, ciascun capitolo, fin dal titolo, individua il personaggio e il punto di vista di riferimento. Una tecnica analoga, che ha in effetti molto di cinematografico, è usata anche, in Italia, dal regista Paolo Virzì ne “Il capitale umano”, premiato nel 2013 con il David di Donatello per il miglior film.
Anche Winnie M. Li, non a caso una giovane produttrice cinematografica, sceglie questo tipo di impostazione per il suo romanzo di esordio Vittima innocente, pubblicato in Italia da Newton Compton. I punti di vista di riferimento però, in questo caso, sono essenzialmente due e si rincorrono lungo tutta la narrazione.
La presenza di due centri gravitazionali indipendenti di riferimento per la narrazione ricorda in effetti forse più The Affair, vincitrice del Golden Globe per la miglior serie drammatica nel 2015. Ma se la tecnica narrativa di Vittima innocente sembra simile soprattutto proprio a quella di The Affair, il taglio e il tono del racconto sono invece significativamente diversi.
E tale differenza discende anche dal fatto che il lettore non osserva soltanto le azioni dei protagonisti, avendo l’onere di interpretarle e di discernere la verità, ma ascolta anche i loro pensieri. Sa cosa è accaduto. Sa che la protagonista, Vivian, in un drammatico pomeriggio di primavera, ha subito violenza da Johnny, quindicenne dal passato complicato e dal futuro incerto.
Questa verità dolorosa, tragica, scava (a differenza degli altri esempi citati) un crepaccio tra i due punti di vista, che, pur tratteggiati con cura e in modo certo non manicheo, non stanno sullo stesso piano. Sono quello di un colpevole, per quanto disperato egli stesso e come schiacciato da un passato che lo opprime, e quello della sua vittima, senza colpa.
E anche per questo l’ipocrisia di Johnny che, vistosi perduto, cerca di insinuare dubbi sulla versione di Vivian, fa ancora più rabbia. Viene voglia di far sentire la propria voce, per portare, se non ristoro, almeno un po’ di giustizia.
Impossibile non scorgere nella vicenda, in particolare nelle amare eppure lucide riflessioni di Vivian, una traccia autobiografica, indicata in effetti dalla stessa autrice, che fu effettivamente aggredita da un giovane nel parco di Belfast, nel 2008.
Anche Vivian stessa si vede come divisa in due, ai due bordi di un crepaccio che la divide, in un certo senso, da se stessa. Quel terribile pomeriggio scinde ciò che era stata fino a quel momento da ciò che sarà, da quel momento in poi.
Anche se si riprenderà, non sarà più la stessa persona: una ferita così profonda non può che lasciare una cicatrice. Vorrebbe parlarsi, forte della sua nuova consapevolezza, per impedirsi di vivere momenti così terribili, ma non può. Anzi, deve affrontare anche un confronto, in tribunale, con Johnny, che cerca di farla franca.
Sarà forte, come lo è sempre stata. Ma questa non è una storia a tinte tenui, adatta a un lieto fine senza ombre. È un racconto coraggioso e realistico, senza sconti e senza moralismi. Resta però, in conclusione, un augurio non scontato, vivo. Col tempo e senza smettere di lottare, Vivian potrà forse riabbracciare un giorno, pur segnata dalla sua amara esperienza, la ragazza spensierata che era, con il suo luminoso carico di speranze.
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