Una stanza per gli interrogatori. Due donne, una di fronte all’altra. Silvia Germano, sostituto procuratore, e Annamaria Ferraro, vedova. Cos’è successo? Al momento sappiamo solo che il defunto marito dell’arrestata, Marcello Nicotra, è “la vittima”. Il colloquio tra queste due donne antitetiche (bionda la prima, dai capelli corvini la seconda; rappresentante della giustizia una, evidentemente coinvolta in qualche delitto l’altra) servirà proprio a fare chiarezza su quanto è avvenuto. In un lungo flashback Annamaria racconta la sua vita e soprattutto il rapporto con Marcello, un legame nato quando lei era ancora una ragazzina e caratterizzato subito da ambivalenza: se con la fidanzata si dimostra gentile e premuroso, è però evidente che Nicotra nasconde un lato oscuro che non tarda a palesarsi. Ferraro non è una stupida, sa perfettamente che genere di lavoro faccia suo marito, così come comprende benissimo da dove venga il rispetto che tutti in paese tributano loro. Ma è più semplice non farsi domande, lasciarsi cullare dal sogno di una storia d’amore che in effetti è perfetta: Marcello è tutto quello che lei, giovanissima, poteva sperare di avere. Adesso, però, il sostituto procuratore è lì per farle affrontare la verità, per metterla di fronte ai fatti implacabili. Germano racconta l’altra metà della storia: figlio di un boss della ‘ndrangheta, Marcello Nicotra è un efferato criminale macchiatosi di diversi omicidi; come poteva Annamaria ignorare gli sporchi affari del coniuge? Molto esperta nel suo mestiere, il sostituto procuratore lascia parlare la donna, ma quando interrompe il racconto la incalza, mettendone in dubbio l’ingenuità. Eppure la vedova sembra sincera, soprattutto quando dice che era davvero innamorata del marito. Sta proprio qui l’interesse che suscita questo personaggio, nelle sue sfaccettature rese così bene dall’autore: la ragazza che crede al suo sogno con un uomo forte che si prende cura di lei e che la attrae per questo convive con la giovane donna che resta fedelmente accanto al boss locale nella sua sanguinosa ascesa. La protagonista creata da Ruju, con questi sentimenti contrastanti e le sue complessità, risulta molto credibile, umana. Tutti i personaggi di questo romanzo, in effetti, sono a tutto tondo e, la cosa che più conta, molto coinvolgenti.
Parafrasando il titolo del romanzo, Un caso come gli altri, si può dire che quella che ci racconta l’autore è la storia di una famiglia come tante: certo, si tratta di una cosca ‘ndranghetista, ma aldilà delle azioni criminali le dinamiche e i rapporti tra i suoi membri non sono diversi da quelli delle famiglie “normali”. Momenti di felicità si alternano a tensioni: il mancato arrivo di un figlio provoca l’allontanamento tra gli sposi, un fratello che in gioventù si è ribellato scopre con gli anni che non ci si può davvero allontanare dal proprio sangue… archetipi magari già visti (e, forse, un paio di scelte narrative che concedono troppo al buon animo dei lettori), ma la cui non originalità deriva proprio dalla loro verosimile quotidianità che li rende immediatamente identificabili dai lettori. Pasquale Ruju ne è consapevole: diverse volte i suoi personaggi riflettono sulla somiglianza tra quanto accade loro e la fiction (film, tv, romanzi).
Spesso, per elogiare un libro, si dice che è cinematografico, che sarebbe perfetto per una trasposizione sul grande schermo. Anche per Un caso come gli altri vale questa affermazione ma sarebbe forse un po’ ingiusta perché rischierebbe in qualche modo di sminuire il carattere specifico del medium letterario: questo è un bel romanzo, ed è la scrittura dell’autore a renderlo tale. Ruju ha una capacità descrittiva davvero limpida e ci immerge in una storia di mafia con tutti gli elementi tipici del genere: troviamo infatti cattivi affascinanti, come il Catanese, fedele scagnozzo taciturno, e il Battista, il capo dei capi, il grande vecchio dalla cui benedizione devono passare tutti i progetti delle ‘ndrine; ma anche il giovane che piano piano scala la gerarchia criminale lasciandosi alle spalle diversi cadaveri, le faide e gli affar di famiglia, le amicizie messe a dura prova dallo spietato mondo della malavita organizzata. Con l’espandersi delle mafie al Nord e il trasferimento della coppia in Piemonte per gestire gli affari, la ‘ndrina di Marcello cresce esponenzialmente e, grazie al ritorno da Londra di suo fratello Paolo (quello “studiato” della famiglia, che si districa con facilità tra le nuove regole della finanza globale), tenterà una mossa vertiginosa nella sua spregiudicatezza: infiltrarsi a tal punto nei gangli dello Stato da diventarne praticamente una colonna portante, un potere occulto impossibile da sconfiggere senza abbattere allo stesso tempo l’intero sistema, l’intera società.
Col passare degli anni, però, qualcosa nell’idillio di coppia si rompe: l’entusiasmo della giovane Annamaria viene eroso pian piano e lascia il posto all’indifferenza verso un uomo la cui vita non gli permetterà mai di essere davvero un marito; il peso di dover fingere di ignorare cosa si nasconde dietro il loro agio si fa sempre più difficile da sopportare.
L’interrogatorio sta per finire: la vedova è giunta al termina della sua storia. La vicenda criminale del marito si esaurisce come ci si aspetta, ma resta ancora un grande colpo di scena prima di chiudere questo bel romanzo che si legge tutto d’un fiato.
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