Uccido chi voglio – Fabio Stassi
Oggi al Thriller Café recensiamo “Uccido chi voglio” di Fabio Stassi, terzo capitolo della serie dedicata al biblioterapeuta Vince Corso, edita da Sellerio.
C’è chi cura con le mani, chi con le medicine. Vince Corso cura con i libri. È un biblioterapeuta, una professione di confine tra l’ascolto e la letteratura. Ma questa volta, le parole sembrano aver perso ogni potere salvifico.
Tutto comincia con una lettera inviata dal carcere di Regina Coeli, firmata da un certo Queequeg, ergastolano e lettore appassionato. Una provocazione, forse una sfida. Un richiamo oscuro che riporta Vince al significato segreto del suo cognome: Vrascadù, “Uccido chi voglio”.
E da quel momento, per Vince, inizia una discesa nei territori della paranoia e dell’ossessione. Rientrando a casa, trova il suo appartamento devastato, i dischi frantumati, i libri buttati a terra e il cane Django avvelenato. Un atto intimidatorio? Una vendetta? O solo un messaggio, preciso come una minaccia? Intanto a Roma si susseguono strani delitti e Vince è sempre troppo vicino alla scena del crimine. Troppo perché sia solo una coincidenza.
Fabio Stassi ci regala un romanzo atipico che si muove tra Borges e Simenon, raffinato e disturbante, in cui il confine tra realtà e finzione si dissolve come in un incubo a occhi aperti.
Roma diventa una città mentale, fatta di ombre, scale che non portano da nessuna parte, librerie polverose e dedali esistenziali. Il ritmo non è serrato, ma ipnotico, come i pensieri di Vince, fluttuanti tra il presente, le letture passate e il vuoto lasciato da un padre assente.
Il protagonista non è un investigatore classico, né lo vuole diventare. Ma si ritrova involontariamente coinvolto in una spirale di eventi, con il sospetto di essere lui stesso il bersaglio di una messinscena letale.
“Uccido chi voglio” è un noir dell’anima, più che dell’azione. Il mistero non è tanto “chi ha ucciso”, ma “chi siamo diventati” quando smettiamo di ascoltare le parole degli altri e iniziamo a dubitare delle nostre.
La narrazione è disseminata di citazioni letterarie, omaggi nascosti, allusioni metaletterarie – un vero tesoro per il lettore attento, ma che può risultare ostico per chi cerca una trama lineare o una soluzione rassicurante. Eppure è proprio questa ambiguità il fascino più grande del romanzo.
Un titolo provocatorio per un’opera sofisticata, colta e straniante, che si legge come un’indagine ma si ricorda come una confessione.
Libri della serie "Vince Corso"
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